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Quel bongo di Omero

di Massimo Gramellini - 15/01/2009


  


Avvertenza: l'articolo che segue parla di scuola in modo passatista e moralista. Se ne sconsiglia la lettura a insegnanti, studenti e genitori troppo evoluti.

Ora che siamo rimasti in pochi, vuoterò il sacco. Ho letto l'inchiesta delle nostre Amabile e Ricotta sulla miriade di attività «parascolastiche» con cui gli istituti affamati di iscrizioni cercano di attrarre i ragazzi. Si va dalle diete agli oroscopi, fino alle lezioni di portamento e di musica tribale. Comprendo gli immensi benefici di questa svolta ludico-pragmatica: la mia vita sarebbe stata diversa e probabilmente migliore se il prof di latino e greco, un aguzzino che sogno ancora la notte, mi avesse permesso di frequentare seminari di subbuteo e un corso accelerato sull'arte del rimorchio durante le feste. Invece quell'uomo ossessivo si ostinava a destinare la scuola, il doposcuola e anche il parascuola allo studio di Omero e Tacito, la cui utilità pratica all’epoca mi sfuggiva e il cui divertimento, sempre all’epoca, era pari a quello che oggi traggo dall’ascolto del pastone politico di un telegiornale. Se avessi potuto scegliere fra Omero e un corso di bonghi, non ho dubbi che avrei optato per i bonghi e oggi sarei una zucca, ma delizierei gli amici con degli splendidi assolo alle percussioni. Per fortuna non mi fu concesso di scegliere. Sono diventato una zucca lo stesso, ma un po' meno. E questo lo devo a Omero, a Tacito e a chi me li piantò nella testa con bravura e passione, ma senza cercare di comprarsi la mia gratitudine attraverso forme apparenti di libertà che fanno rima soltanto con comodità.