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Irving: quando la storia diventa 'verità di Stato'

di Segio Romano - 25/02/2006

Fonte: corriere.it

 

 
È ammissibile che uno storico sia trattenuto in arresto tre mesi e poi condannato a tre anni di reclusione per i risultati del suo lavoro di ricerca? Anni fa un altro storico, Robert Faurisson, è stato privato della cattedra universitaria per lo stesso motivo. La ritrattazione di Irving, probabilmente motivata dalla speranza di potersi ricongiungere alla moglie malata, mi ha ricordato Galileo che a sua differenza è riuscito però a farla franca. Tempi meno duri quelli? Sinceramente riesce difficile immaginare che un provvedimento come questo possa incoraggiare la libera ricerca. Almeno in Occidente non vedo vocazioni al martirio, ma al pecorismo. Si può essere in disaccordo con uno storico, si possono contestare i suoi metodi di ricerca, ma metterlo in catene per il suo lavoro è aberrante.
Provvedimenti di questo tipo dovrebbero suscitare generale indignazione. Forse non siamo mai stati tanto lontani dallo spirito di Voltaire, dal suo: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma mi batterò fino all’ultimo perché tu possa farlo».
Trieste


Caro Manco,
il negazionismo, di cui Robert Faurisson è stato uno dei maggiori rappresentanti, è un reato in Francia sin dall’approvazione della legge Gayssot nel 1990. In un articolo pubblicato qualche giorno fa dal Financial Times , Christopher Caldwell ricorda che leggi analoghe esistono da allora in Germania, Svizzera, Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Lituania, Polonia e Slovacchia. Quasi tutte sono state approvate da governi che volevano dare un segnale di particolare sensibilità alle comunità ebraiche e fare un implicito atto di contrizione per le passate colpe antisemite dei loro lontani predecessori, soprattutto durante la Seconda guerra mondiale.
David Irving ha avuto la cattiva sorte di finire proprio nelle mani del Paese che era costretto a dare prova, in questo esercizio, di un particolare zelo. L’Austria fu sul banco degli imputati negli anni Ottanta quando il suo presidente, Kurt Waldheim, venne accusato di avere preso parte, come ufficiale della Wehrmacht, a razzie antiebraiche in Jugoslavia. E vi tornò negli anni Novanta quando il partito di Jörg Haider, grazie a un considerevole successo elettorale, divenne il partner della Democrazia cristiana austriaca nel governo presieduto dal cancelliere Schüssel. Haider non è, strettamente parlando, un negazionista, ma ha spesso rivendicato i meriti del regime di Hitler e ha trattato la questione ebraica con una certa noncuranza. Censurata dai suoi partner europei e collocata per alcuni mesi in una sorta di purgatorio diplomatico, l’Austria, per riscattarsi, è diventata in queste faccende più realista del re. Irving, nel processo di Vienna, era semplicemente l’occasione per dimostrare che il Paese si era ravveduto e si sarebbe comportato d’ora in poi con esemplare correttezza. Ciò che è accaduto mi conferma nella convinzione che i «giorni della memoria», decretati negli ultimi anni da alcuni Parlamenti nazionali, abbiano prodotti risultati ed effetti che i loro promotori, probabilmente, non avevano previsto. Il primo risultato fu quello di elevare una verità storica (il genocidio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale) al rango di «verità di Stato». Inevitabilmente alcuni gruppi di pressione pretendono ora che il diniego di quella verità sia trattato alla stregua di un reato. E offrono così a qualche malizioso musulmano il diritto di affermare che anche l’Europa ha un Maometto di cui è vietato parlare male.
Il secondo risultato è stato quello di scatenare una micidiale corsa alla memoria. Se il ricordo dell’Olocausto è iscritto nei calendari ufficiali degli Stati europei, perché altri popoli e altri eventi non dovrebbero avere la stessa distinzione? Perché dimenticare il genocidio degli armeni, la falcidie della popolazione ucraina durante la collettivizzazione della terra, la persecuzione degli italiani in Istria, il commercio degli schiavi, le stragi delle potenze coloniali in Africa, le popolazioni civili massacrate dai bombardamenti alleati durante la Seconda guerra mondiale, i quindici milioni di tedeschi espulsi dalle loro terre dopo la fine del conflitto? Tutti chiedono una fetta di memoria e pretendono di piantarvi sopra la loro bandiera. E tutti pretenderanno prima o poi che qualsiasi critica alla loro verità riceva una punizione esemplare. Spero che l’assurdità del caso Irving contribuisca a suscitare qualche ripensamento sull’utilità di attribuire ai Parlamenti e ai giudici il governo della storia.