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Completa Beatitudo

di Massimo Campanini - 27/02/2006

Fonte: enec.it

 

Molti sono i fili che connettono la tradizione della filosofia greca con quella latina medievale attraverso la mediazione araba. Uno dei più seducenti è quello della "felicità mentale",, che ha le sue radíci forse píù remote nell'Ethica Nicomachea di Aristotele e che, dipanato in chiave cosmologica da al-F‰r‰b" sino ad Averroè, si annoda in Dante e nell'eredità dell'intellettuale medievale (1) . La felicitá mentale è uno stato di beatitudine, appunto mentale o intellettuale, acquisibile per altro dai soli filosofi, che consente loro di "farsi simili a Dio" se non proprio di attingerlo direttamente. Si tratta di una sorta di misticismo, il cui fulcro non è però l'esperienza estatica o religiosa, quanto la sapienza e la conoscenza teoretica. Aristotele aveva parlato della vita contemplativa ed esaltato il nobile piacere dell'intelletto che deriva dalla pratica filosofica e dalla conoscenza. Tra i primi al- F‰r‰b" nelle Idee degli abitantí della città virtuosa aveva recuperato questa prospettiva elaborando il concetto di felicità mentale. "L'impressione dei primi intelligibili sull'uomo costituisce il suo primo perfezionamento. Questi intelligibili sono dati a lui affinché egli se ne serva per realizzare il suo perfezionamento più alto. Tale è la felicità (sa'‰dah), la quale consiste nel fatto che l'anima umana raggiunge la perfezione dell'esistenza senza aver bisogno di sussistere nella materia, diventando quindi uno degli esseri privi di corporeità e una delle sostanze separate dalla materia in uno stato (di sublimità) che conserva eternamente e per sempre" (2). Presupposto di siffatta concezione è la struttura emanatistica del cosmo, dì origine questa volta neoplatonica ma articolata e sviluppata in tutta la sua complessità dai fal‰sifah musulmani, da al-F‰r‰b" stesso ad Avicenna (più tardi Averroè apporterà significativi mutamenti, su cui non è il caso di puntualizzare in questa sede, pur conservando la struttura delle Intelligenze motrici dei cieli). E' una cosmologia che individua i cieli e la Terra uno stretto legame, perché, come diceva anche Dante, l'incessante moto delle sfere governa il mondo (3). L'Uno, Dio è il Primo Essere, assolutamente autosufficiente, collocato al vertice della realtà cosmica in una trascendenza inavvicinabile; l'Uno o Primo Essere conoscendo se stesso emana una gerarchia scalare di Intelligenze che terminano con la decima. la cosiddetta Intelligenza Agente. L'intelligenza Agente può - ma non tutti i pensatosi condividono questa opinione - conferire le forme al mondo sublunare, ma soprattutto ha la funzione di illuminare l'intelletto possibile umano e di attualizzarlo, rendendo vivi e imprimendo in lui gli intelligibili. L'intelletto umano che si volge verso l'intelligenza Agente e cerca con essa la "congiunzione" (copulatio) diventa intelletto acquisto si fa uno con l'Agente (e dunque prossimo a Dio) e attinge il grado più alto della sua perfezione e felicità. Viene ripercorsa a ritroso la strada dell'emanazione: come dalla sovrana trascendenza dell'Uno si discende fino alla materia, così dall'oscurità materiale dello spazio sublunare l'intelletto è in grado di salire alla luce della divinità, sia pur mediata dalle Intelligenze e in qualche modo depotenziata nell'Agente. In questo modo, tuttavia, si genera un uomo nuovo, nobile, superiore, virtuoso, e il "profeta" Dante ne è stato uno dei più consapevoli enunciatori.
"Pensata ad un tempo biologicamente, psicologicamente e cosmologicamente, la connessione perfetta del mondo superno col mondo di quaggiù dà luogo a un tipo d'uomo nuovo: l'uomo nobile, l'intellettuale" nel senso dell'uomo secondo l'intelletto. Questa connessione - quella che i filosofi arabi chiamano "congiunzione con l'Intelligenza separata" - è voluta- dalla natura stessa, presa nella sua totalità. Come Averroè, Dante aderisce alla tesi secondo la i quale la filosofia è necessariamente realizzata in qualche parte del mondo in qualche istante qualsiasi, il che implica dire che l'esistenza di un uomo nobile, d'almeno una congiunzione tra il mondo sublunare e il Primo Motore, è un postulato di natura. Un mondo senza nobiltà non è pensabile, poiché è nell'uomo nobile che si realizza l'ordine totale delle cose, il legame completo tra le parti. Se, come si è visto in un capitolo [precedente], la Monarchia fa della vita secondo l'intelletto il fine di tutta la società umana" e impone all'umanità tutta intera il compito di pensare e il peso della grazia filosofica, nel Convivio l'esistenza filosofica è descritta in termini che strutturalmente l'apparentano, secondo l'ordine della natura, a ciò che può essere l'incarnazione nell'ordine della salvezza. L-'intellettuale non è semplice intermediario, un funzionario della divinità, è un uomo "divino" che, attraverso la filosofia - la felicità terrestre - si fa compagno, altro, del Dio incarnato venuto ad annunciare la beatitudine celeste. (4). La prospettiva di Dante è una prospettiva cristiana. Ma nel delineare la figura del filosofo che si "india" attraverso l'intelletto e la conoscenza, qualche volta i filosof i arabi sono "laici". E' il caso di Avempace (Ibn B‰jjah) che nel Regime del solitario delinea la figura del filosofo che rifiuta di scendere a patti con la società perversa e corrotta e si isola per perseguire in autonomia e solitudine la perfezione spirituale. Questo filosofo sembra del tutto immune dalla necessità di praticare una religione, sia pure la religione islamica. Si fa divino rendendosi uno con le Intelligenze, contemplandole; con la corporeità è semplicemente esistente, con la spiritualità è nobile, ma con l'intellettualità è virtuoso, un uomo nobile come appunto voleva Dante, che sublima le forze spirituali al punto di sapersi distaccare completamente dalla materia e da scegliere addirittura il suicidio dell'onore piuttosto che cedere al nemico e alle passioni (6). E' questo il quadro concettuale che fa da sfondo al libro di Augusto Illuminati Completa beatitudo (7), in cui non solo si pubblicano tre opuscoli pseudo-averroistici sulla beatitudine dell'anima e la congiunzione, ma si riprendono ricerche che avevano già avuto un esito positivo in Averroè e l'intelletto pubblico (8). Illuminati segue la storia del concetto di congiunzione dalle premesse nella filosofia greca (Plotino Alessandro d'Afrodisia, Temistio) fino ad Averroè, passando per al-Kind", al-F‰r‰b", Avempace e Maimonide. Alessandro d'Afrodisia e Plotino impostano il quadro di riferimento della questione, ma le loro soluzioni non sono per più versi accettabili in una prospettiva che deve fare i conti con la religione rivelata.
"Con Alessandro l'esigenza diffusa di una relazione diretta al divino entra massicciamente nel quadro della noetica nazionalistica aristotelica. Per un verso, però, resta una relazione impersonale, per lo meno a parte obiecti, per l'altro è strettamente connessa all'ordinario processo del pensiero, dato che, il principio attivo si identifica con un Dio che è pensiero di pensiero. In Plotino il principio intellettuale attivo (Nous = Intelligenza) è diverso dall'Uno, anteriore all'essere e al pensiero che sono pluralizzazione, pur se discende per immediata processione da esso. L'intimo commercio con l'Uno impersonale, evento singolare (pur se in esso temporaneamente la personalità si annulla), differisce dall'ordinario meccanismo conoscitivo, in cui ad agire è l'Intelligenza, che fornisce direttamente gli intelligibili all'intelletto umano senza che essi scaturiscano da una laboriosa procedura di astrazione delle forme dai dati sensibili e immaginativi. Soprattutto il trascendimento della sfera del pensiero è così radicale da aprire la strada, al di là delle intenzioni plotiniane, a pratiche teurgiche e magiche - come avverrà per ì suoi discepoli (9). AI-F‰r‰b", Avempace e Averroè, d'altro canto, sono le tre pietre miliari di un percorso che invece ha come presupposti, da un lato, il monoteismo, di cui la concezione emanatistica è un corollario quasi obbligato da un punto dí vista filosofico, stante la necessità di garantire la trascendenza di Dio e la sua non compromissione con la materia; dall'altro lato, la necesità di f are della copulatio un'esperienza straordinaria di piena realizzazione del piacere del pensare. Illuminati ripercorre, dove possibile, l'evoluzione interna del pensiero di questi autori, evidenziando per esempio come aI-F‰r‰b", passi dall'accettazione della possibilità della congiunzione nel trattato sulla Città virtuosa al suo rifiuto nel perduto commentano all' Ethica Nicomachea di Aristotele (10) . Nel primo caso la congiunzione è i frutto di un perfezionamento gnoseologico:
" " ... L'intelletto passivo è come la materia e il sostrato dell'intelletto acquisito, il quale è come la materia e il sostrato dell'Intelligenza Agente. La potenza razionale, che è una disposizione naturale, è materia sottoposta all'Intelligenza Agente, che è tale in atto". Il primo grado, grazie a cui l'uomo è uomo, è l'acquisizione della disposizione naturale ricettiva pronta a diventare intelligenza in atto (l'intelletto potenziale). Vi sono ancora due gradi tra questa e l'intelligenza Agente: l'intelletto attualizzato e l'intelletto acquisito in via di formazione. Quando l'uomo si è attualizzato come composizione di materia e forma raggiungendo la sua auentica forma umana, fra lui e l'intelligenza Agente non vi è più che un passo che li separi: "quando la disposizione naturale [ricettiva] diviene materia dell'intelletto passivo, che a sua volta si trasformerà in intelletto in atto, e quando l'intelletto passivo diviene -materia dell'acquisito e l'acquisito diviene materia dell'Agente -, nel momento in cui tutte queste cose convergono insieme, l'uomo [che ne risulta così perfezionato] è precisamente quello in cui l'intelligenza Agente trova la sua residenza" ("the man on whom the Active Intellect has descended", come conclude la versione di Walzer) " (11); nel secondo caso, la possibilità della congiunzione è negata come "favola da vecchie". Illuminati, pur evidenziando il fatto che si dà una convergenza tra analisi politologica e dottrina della congiunzione, non risolve la questione se la copulatio sia riservata all'im‰m, filosofo-profeta-re reggitore della città virtuosa, oppure se sia un obiettivo perseguibile da qualsiasi filosofo. La risposta al quesito sarebbe importante per valutare della verosimiglianza dell'ipotesi che fa di al- F‰r‰b" uno sciita o forse addirittura un proto-ism‰'"lita.
Certamente la congiunzione è esperienza sublime riservata ai solitari per Avempace.
"L'uomo, microcosmo che costituisce il termine medio fra 1'ordine della contingenza materiale e della stabile spiritualità, ha due facce, una (contingente) volta ai fantasmi immaginativi, l'altra (immortale) volta all'intelligenza Agente, quella per cui, come nell'esaltazione aristotelica delle virtù dianoetiche, è un essere divino e perfetto (f‰dil il‰h"), ormai esonerato da paura e dolore. Solo a pochi è riservato questo grado ulteriore, che nel ricorsivo sistema triadico assume il nome risonante di "conoscenza di terzo genere". Viene subito da pensare all'identico termine spinoziano, che nel Tractatus de intellectus emendatione § 25, figura nella forma canonica di -perceptio iper solam suam essentiam ed in Ethica II, prop. XL, scolio 2, diventa non meno classicamente scientia intuitiva, da cui nasce l'amor Dei intellectualis e grazie a cui si elimina la sofferenza e il timore della morte" (12).
La ricostruzione del pensiero di Avempace è tuttavia per molti aspetti indiziaria data la frammentarietà e l'incompletezza dei testi che ci sono pervenuti e la cripticità di una scrittura filosofica particolarmente complessa. Un problema estremamente interessante che si pone è il seguente: è forse ipotizzabile che i solitari nelle città pervertite, proprio grazie alla perfezione raggiunta attraverso l'affinamento delle capacità intellettuali, possano costituire una rete interattiva di intelligenze preparate alla trasformazione della società e - in qualche modo - alla rivoluzione? Avempace non lo dice espressamente, ma i solitari nelle città deviate sono "piante", fruttiferi arbusti tra le erbacce della devianza, e quindi uniche speranze di una potenziale rivivificazione della scienza e della virtù e dunque di una rifondazione della società.
Dal canto suo, Averroè mantenne costante la convinzione della possibilità della congiunzione. La dottrina dell'intelletto umano e delle Intelligenze (celesti) è evoluta parecchio nelle opere averroistiche alla ricerca, dalle più giovanili epitomi ai più maturi commentaria magna, di una più rigorosa fedeltà al modello di Aristotele. E' per ottemperare a questo principio di fedeltà che Averroè finirà per abbandonare nella sostanza il modello emanatistico, pur conservando la struttura delle Intelligenze animate da un Dio aristotelicamente primo motore del cosmo. Col passare del tempo, Averroè si rese conto che in un sistema emanatistico la congiunzione non sarebbe stata possibile poiché avrebbe posto sullo stesso piano la causa (l'Intelligenza Agente separata) e il causato (l'intelletto umano). Rídotta la funzione dell'Intelligenza Agente da dator formarum, come in Avicenna, a semplice strumento dell'attualizzazione dell'intelletto umano, la possibilità di un trascendimento verso le sfere superne è comunque conservata dal filosofo di Cordova Egli anzi evidenzia, soprattutto nel grande commentario al De Anima di Aristotele, una continua tendenza all'unificazione: unico è l'intelletto possibile, anch'esso separato e in pratica strettamente connesso alle Intelligenze; unico l'intelletto acquisito; unica, naturalmente, l'intelligenza Agente separata. La prospettiva è quella di una continuità tra le varie stratificazioni degli intelletti; e anche se in qualche modo il rapporto tra intelletto umano e Intelligenza rimane analogo a quello di materia e forma,
"si creerà fra noi e l'Intelligenza Agente lo stesso pseudo- rapporto di materia e forma che si era creato tra forme immaginative e intelletto in abito e l'uomo intenderà per intellectum sibi proprium omnia entia e compirà un'azione a sé propria in tutti gli enti. Al punto culminante "l'uomo sarà simile a Dio" conclude trionfalmente il commento richiamando Temistio (De Anima, p. 99, 24 ss.), "poiché è ormai in qualche modo tutte le cose e tutte le cose in qualche modo conosce", dato che gli enti non sono altro che la sua scienza, né la causa degli enti è altro che la sua scienza. Et quam mirabilis est iste ordo, et quam extraneus est iste modus essendi ! L'identità greco-araba di recipiente e ricevuto fonda adesso positivamente il transumanare dell'uomo nell'universo intelligibile, senza perdere contatto con ragione ed esperienza" (13).
Il saggio di Illuminati è esauriente e indubbiamente fornisce una panoramica stimolante della affascinante questione della copulatio, ma si limita ad un ambito per lo più gnoseologico, mentre vi è un importante sviluppo sotto il profilo politico. Questo si evidenze particolarmente in al-F‰r‰b".. In al-F‰r‰b". la congiunzione non permette soltanto la felicità a chi è in grado di realizzare le sue capacità intellettive; ma permette all'im‰m, il reggitore della città virtuosa, di concretizzare pienamente le sue facoltá divine e profetiche.
"Il reggitore supremo della città virtuosa (...) è un uomo che ha attinto la perfezione ed è divenuto intelligenza e intelligibile in atto. La sua immaginazione è pervenuta per natura a quel grado massimo di completamento e perfezione secondo il modo cui si è accennato prima, ed è disposta per natura a ricevere dall'Intelligenza Agente, nella veglia e nel sonno, i particolari, sia in se stessi sia secondo le loro imitazioni, e quindi le imitazioni degli intelligibili. L'intelletto passivo [del governante della città virtuosa] ha attinto la sua perfezione per mezzo di tutti gli intelligibili, senza che nulla gli sia mancato, ed è perciò che è diventato intelligenza in atto. [Egli] è l'uomo in cui l'intelletto passivo si è perfezionato per mezzo di tutti gli intelligibili in modo da divenire intelligenza e intelligibile in atto, cosicché l'intelligibile in lui [corrisponda] a ciò che intellige" (14). L'im‰m in quanto intelletto, intelligibile e intelligenza è da un lato identico a Dio; dall'altro, in quanto dotato della capacità di pronosticare il futuro e in grado di padroneggiare un'immaginazione da sgorgano le metafore e i miti utili a insegnare al volgo, è idoneo a farsi latore della Legge è, appunto, profeta. Per questo il reggitore farabiano della città virtuosa è ad un tempo filosofo, profeta e re; e per questo potrebbe sembrare rivestire i compiti riservati dalla tradizione sciita-ism‰'"lita proprio a quell'im‰m che è ad un tempo parusìa di Dío, guida e maestro della comunità dei credenti, e individuo in cui si è perfettamente realizzata la sintesi del pensiero e della spiritualità.
Anche in Dante la compiuta realizzazione della virtù intellettiva sembra rivestirsi di panni politici. Pur negando la dottrina averroistica dell'unicità dell'intelletto possibile, il poeta individua in tutta la collettività umana il sostrato idoneo affinché la sapienza si attualizzi garantendo alla collettività certamente, ma anche ai singoli, l'attingimento della perfezione e dunque della felicità:
"E' dunque evidente che il termine ultimo della potenza dell'intera umanità è potenza o virtù intellettiva. E poiché questa potenza tutta insieme non può essere ridotta in atto per mezzo di un unico uomo o per mezzo di una delle comunità particolari distinte più sopra, è necessario che esista nel genere umano una moltitudine per mezzo della quale tutta questa potenza si attui. (…) E con questa sentenza concorda Averroè nel suo commento al De anima" (15).
L'unità della comunità è il fine cui deve tendere il percorso di perfezionamento degli intelletti; ma essa è possibile soltanto in un regime monarchico.
"Il genere umano si trova in uno stato di benessere e di felicità quando, nei limiti delle sue possibilità, è simile a Dio. Ma il genere umano è assolutamente simile a Dio quando è assolutamente uno: infatti la vera natura dell'uno è in Dio soltanto; per questo è stato scritto.- "Ascolta, Israele, uno solo è il Signore, Dio tuo". Ma allora il genere umano è assolutamente uno quando è tutto unito in uno: e questo non può essere se non quando soggiace interamente ad un unico principe" (16).
Il sogno della Monarchia di Dante è il sogno dell'unificazione, politica e spirituale ad un tempo, delle potenzialità intellettive e civili degli uomini. Analogamente, nella città virtuosa di al-F‰r‰b"., la monarchia dell'im‰m e il saggio governo della filosofia supportata dalla Legge garantiscono, nella vita associata, il più alto livello possibile di felicità attingibile dalle masse. La copulatio non è riservata alle masse; ma nella traduzione politica, e quindi collettiva e comunitaria, della sublime esperienza della mistica intellettuale propria dei sapienti e dei filosofi, si scopre una via praticabile per far comunicare anche gli uomini comuni con la dimensione superiore dei cieli e delle Intelligenze.

NOTE
(1)   M. Corti, La felicità mentale, Einaudi, Torino, 1983; Fumagalli Beonio-Brocchieri e E. Garin, Lintellettuale tra Medioevo e Rinascimento, Laterza, Roma-Bari, 1994; L. Bianchi, La felicità intellettuale come professione nella Parigi del Duecento. in "Rivista di filosofia", 78 (1987), pp. 181-199 e dello stesso il capitolo apposito in Il vescovo e i filosofi. La condanna parigina del 1277 e l’evoluzione dell’aristotelismo-scolastico, Lubrina, Bergamo, 1990, pp. 149-195.
(2)   Al-F‰r‰b»., La città virtuosa, a cura di M. Campanini, Rizzoli, Milano, 1996, cap. XXIII, p
.183
(3)    Convivio, II, iv, 13.
(4)     A. De Libera, Penser au Moven Age, Seuil, Paris, 1991, pp. 285-286.
(5)     Avempace, El Regimen del Solitario, a cura di J. Lomba, Trotta, Madrid, 1997.
(6)    Cfr. ibidem,' cap. XI. La nobiltà del suicidio è un topos non ignoto alla storia della filosofia.
(7)    A. Illuminati, Completa beatitudo.

L’intelletto felice in tre opuscoli averroisti, L’Occhio di Van Gogh, Chiaravalle (An), 2 000.
(8)     A.   illuminati,   Averroè    e   l'intelletto   pubblico, Manifestolibri, Roma, 1996.
(9)    Completa beatitudo, cit., pp. 17-18.
(10)         Tra le due opere per altro, entrambe appartenenti alla piena maturità dell'autore, non dovrebbe esservi grande scarto temporale, per cui sembrerebbe doversi ipotizzare un’improvvisa svolta scettica in al-F‰r‰b»..
(11)         Completa beatitudo, cit., pp. 47-48.
(12)         Cfr. La città virtuosa, cit., cap. XXVII, pp. 217-219. Si fa riferimento a R. Walzer, Alfarabi an the Perfect State, Clarendon Press, Oxford, 1985.
(13)         Completa beatitudo, p. 56. Ibidem, p. 102.
(14)          La città virtuosa, cit., cap: XXVII, pp. 215-217.
(15)          Dante, Monarchia, a cura di P. Sanguineti, Garzanti, Milano, 1985, I, iii, p. 9.
(16)          Ibidem, I, viii, p. 17.