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L'Enel, la Francia, l'Italia e le dinamiche monopolistiche del capitalismo

di Carlo Gambescia - 28/02/2006

Fonte: carlo gambescia

 

Lo stop francese alla scalata Enel della società Suez sta scatenando uno psicodramma nazionalista, soprattutto in Italia. Tuttavia il vero punto della questione, a differenza di quel che si legge su molti giornali, non è lo "sgarbo" francese nei riguardi dell'Italia, ma l'assenza di una politica energetica e industriale europea veramente comune.

La reazione francese, in assenza di una volontà politica europea, è se non giustificabile comprensibile. I francesi cercano di tutelare la propria autonomia energetica e industriale, in un settore economico segnato dall'assenza di qualsiasi vera politica comune. E dove i diversi paesi procedono in ordine sparso, oppure si limitano a discutere in interminabili riunioni di contributi alle dismissioni industriali e all'agricoltura protetta. Insomma quello francese è un puro e semplice riflesso di autodifesa... Al quale sarebbe stupido rispondere con ritorsioni economiche.
Il problema invece è piuttosto complesso e di non facile soluzione.
In primo luogo, gli studiosi di geopolitica hanno ragione quando affermano che sui mercati mondiali possono competere solo le grandi imprese, dotate di notevoli risorse, quadri adeguati e strategie globali. Dal punto di vista strettamente geopolitico l'Europa dovrebbe puntare, proprio in termini di accorpamento, sulla formazione di una specie di supergruppo pubblico per l'energia, con quadri europei, capace recepire attuare, nei riguardi del resto del mondo, le linee guida di una politica energetica e industriale comune
In secondo luogo, quel che può essere giusto dal punto di vista geopolitico può non esserlo da quello strettamente economico. Un supergruppo pubblico europeo per l'energia implicherebbe prezzi certamente più stabili, ma proprio perché monopolista i prezzi sarebbero più alti rispetto a quelli attuali. Inoltre sul piano delle dimensioni una macrostruttura economico-industriale imporrebbe sue gerarchie, suoi quadri, e una logica di tipo particolaristica, legata al funzionamento di una grande struttura, fortemente burocratizzata. Di qui sprechi e disfunzioni.
In terzo luogo, una macrostruttura economica richiede, alle sue spalle, un struttura politica, ancora più forte e accentrata, capace appunto di controllarla. Senza poi considerare il fatto che per giungere alla creazione di una supergruppo pubblico europeo dovrebbe essere modificata tutta l'attuale legislazione europea sulla concorrenza. Inoltre andrebbe ripercorsa in linea teorica e pratica la stessa strada che negli anni Cinquanta e Sessanta condusse alle nazionalizzazioni. Dovrebbe perciò essere chiaro quanto una scelta del genere possa confliggere con la dominante retorica delle privatizzazioni e gli interessi dei grandi colossi dell'energia europea, che invece tendono a "correre" ognuno per sé. Un progetto dunque di difficilissima realizzazione.
In quarto luogo, visto che il capitalismo procede per razionalizzazioni e accorpamenti (insomma, tende naturalmente al monopolio), sicuramente anche nel settore dell'energia, si giungerà alla nascita di un supergruppo europeo. Ma con caratteristiche private e non pubbliche. In che modo? Attraverso le "guerre di mercato" tra imprese medio-grandi. Il supergruppo europeo potrebbe essere a capitale privato franco-tedesco, con piccole partecipazioni di altre imprese europe, e dunque anche italiana.
Sempre che gli Stati Uniti ne consentano la nascita... Da questo punto di vista andrebbero monitorati attentamente gli investimenti americani nei settori energetici e industriali europei, investimenti che attualmente stanno crescendo. Infine, per quel che riguarda la durata del processo di concentrazione, è difficile stabilire una data-termine: probabilmente ci vorranno almeno dieci-quindici anni, o forse più. E quel che ora sta accadendo mostra che il processo è appena iniziato. E che la Francia, cerca di bloccarlo puntando su antiche prerogative nazionalistiche. Il che è comprensibile, ma insufficiente dal punto di vista storico-economico: i nazionalismi( francese, italiano, ecc.) non possono più influire, per una evidente sproporzione di risorse e forze, in alcun modo sulle gigantesche dinamiche di concentrazione monopolistica del capitale, non solo europee ma mondiali.
Né si deve confidare troppo nella nascita di un nazionalismo europeo. Che avrebbe come inevitabile corollario il dirigismo politico ed economico.
L'Europa purtroppo è finita in un vicolo cieco. Come ne uscirà?