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Parmalat: le banche sapevano

di Eufemia Giannetti - 03/03/2006

Fonte: Rinascita

 

 

Le banche non potevano non sapere. Il famoso assunto per cui Craxi venne messo alla gogna, è valido anche per gli istituti di credito legati al crack Parmalat.
Le parole di Enrico Bondi, presidente attuale di Parmalat, pronunciate ieri a Milano nel corso del processo a Calisto Tanzi, non lasciano spazio a interpretazioni: “E’ fuori dubbio - ha dichiarato Bondi - che le banche sapevano” della situazione di insolvenza del gruppo di Collecchio. Per esserne a conoscenza, ha dichiarato Bondi, “bastavano semplici confronti sull’indebitamento dichiarato a bilancio”. Tanto più, ha aggiunto, “il livello del debito segnalato dalla centrale dei rischi e il debito a bilancio mostrava una differenza di 700 milioni nel ‘97, poi diventato un miliardo nel 2002”. Proprio oggi parte l’altro troncone del procedimento, quello contro le banche, davanti al Gup Cesare Tacconi.
Nell’udienza di ieri, l’attuale presidente di Parmalat, ha affermato che è bastata la prima settimana da amministratore straordinario per comprendere la gravità dell’insolvenza. Di questa situazione, ha spiegato ancora l’ex manager Fiat, tuttavia, nessun componente del consiglio d’amministrazione della vecchia Parmalat, compreso Tanzi, aveva pensato di dirgli qualcosa.“Subito dopo la nomina, avvenuta il 15 dicembre, tre giorni più tardi, fui convocato in Consob dal presidente Cardia, con procedura d'urgenza, e appresi che mancavano all’appello 3,9 miliardi di euro depositati sui conti di Bank of America”. Dopo la convocazione del cda e la nomina della società di revisione Pwc e dei consulenti Lazard e Mediobanca, ha spiegato Bondi, “non solo Bank of America dichiarava che la liquidità sui conti non esisteva, ma anche emergeva che le attività di Bonlat non esistevano. E, con esse, metà del margine operativo lordo del gruppo”. L’amministratore delegato della Parmalat ha negato “di aver mai appreso direttamente e indirettamente da qualsiasi esponente del consiglio di amministrazione” della situazione dell’azienda. “L’unico elemento era la preoccupazione che colsi per l’illiquidità momentanea”, ha aggiunto. La successiva dichiarazione della Consob sulla situazione “è stata la mina che ha fatto innescare il disastro”, ha ricordato Bondi.
Dunque l’emissione dei bond avveniva, ha spiegato, “nient’altro che per tenere in piedi il gruppo, che altrimenti sarebbe collassato. La spiegazione vera è solo questa”, ha detto, tanto che “nel 2003, quando il massiccio ricorso ai bond non è stato possibile, il gruppo è collassato”. Bondi ha ricordato, rispondendo alla domanda dei pm sui rapporti tra le banche e Parmalat riguardo all’emissione dei bond, che c’era un programma e che “Ubm e Caboto sono stati lead manager, poi sono venuti gli altri”. Sul versante aziendale, nel programma di emissione dei bond protagonista, ha aggiunto Bondi, è stato “Fausto Tonna”. “In nessun momento, l’azienda - ha proseguito il manager - era in grado di far fronte alle obbligazioni che emetteva, perché il patrimonio netto era negativo e il mol che generava non era in grado di farvi fronte”. Bondi ha ricostruito i tassi di interesse pagati per le diverse obbligazioni, sottolineando come gli spread fossero superiori a quelli di mercato: “In definitiva, collego il tutto sempre alla necessità del gruppo di finanziarsi e alla disponibilità per questo di pagare spread più elevati, anche se si cercava di tenere sotto una cortina di fumo l’effettivo costo” del debito.
Da parte sua Tanzi è rimasto in aula per gran parte della giornata, con l’intezione di rilasciare dichiarazioni spontanee dopo Bondi e il consulente tecnico della Procura, Stefania Chiaruttini. Nel pomeriggio, però, ha abbandonato il processo, affermando di “non sentirsi bene”.
Il presidente della Consob, Lamberto Cardia, la cui testimonianza era prevista, non si è presentato a causa di “impegni improrogabili”.
Il processo milanese - che ha preso il via il 28 settembre scorso - è il primo di una serie destinata a far luce sul fallimento dell’ex colosso agroalimentare, crollato, nel dicembre del 2003, sotto il peso di un debito da 14,4 miliardi di euro. Tanzi e altre 15 persone fra ex dirigenti, amministratori e revisori - oltre alle due società Deloitte & Touche e Italaudit - devono rispondere a vario titolo delle accuse di aggiotaggio, ostacolo alla Consob e false revisioni.