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25 Aprile: Enrico Mattei, 50 anni fa

di Claudio Moffa - 26/04/2009

Fonte: claudio moffa



 

Mezzo secolo fa, in un mondo e un'Italia diversissimi da quelli di oggi e veramente spaccati in due, in Enrico Mattei c'era già tutto quel di cui si va discutendo – fra revisionismi e contrasti - in questa ricorrenza del 25 aprile 2009: era stato dirigente del CLNAI, ma fu subito pronto a difendere la sopravvivenza dell'AGIP fascista e a collaborare con le maestranze ex repubblichine; stava con i governi centristi, ma non esitò a sostenere nel ‘58 il milazzismo fascio-comunista in Sicilia; fu filo atlantico ma siglò il primo contratto rivoluzionario con l'URSS dopo essersi battuto come un leone per difendere il petrolio e il metano della valle padana dalle compagnie angloamericane.

Tutto questo non era frutto né di stravaganze né di equilibrismi tattici, ma di una spregiudicatezza geniale volta alla costruzione di una politica di sviluppo nazionale attenta allo stesso tempo ai diritti delle classi lavoratrici. Mattei era datore di lavoro, ma illuminato e generoso come pochi; era manager, ma veniva dal popolo; credeva nel mercato, ma fu difensore strenuo dell'industria di stato nei settori chiave dell'economia; aveva conosciuto la povertà dell'Italia contadina, e divenne modernizzatore e nuclearista convinto; maneggiava miliardi ma per produrre ricchezza materiale e non per speculare come un parassita usuraio. Un esempio per la crisi di oggi.

Mattei era un “padrone”, ma viveva senza lussi; aveva uno stipendio da dirigente che donava in beneficenza; non si era laureato ma fu ingegnere e costruttore geniale della più grande azienda italiana; era democristiano ma propositore di una politica economica e sociale che faceva concorrenza ai comunisti; fu l'artefice principale del boom italiano grazie alla metanizzazione dell'economia, ma anche uno straordinario sostenitore dell'emancipazione economica dell'allora Terzo mondo; fu patriota convinto (un residuo della sua giovanile adesione al fascismo?) ma nemico attivo del colonialismo e fautore di una politica estera di fatto internazionalista che persino Cina e URSS se la sognavano.

Per questo, probabilmente, egli ricorse anche a “fondi neri” per ben indirizzare la politica estera italiana. Per questo fu decisamente filoarabo, fino a sostenere la guerra di liberazione algerina e a stringere con Nasser un'amicizia profonda che non è spiegabile solo in termini di petrolio. Mattei credeva in Nasser come leader emancipatore del mondo arabo: come JFK Kennedy, che ebbe una corrispondenza cordiale col rais egiziano almeno fino alla crisi yemenita del 62.

Come Kennedy, un anno prima di Dallas, Mattei finì assassinato. La sua ultima battaglia era stata contro Israele, con la cui arroganza si era già scontrato dopo la guerra di Suez: nel dicembre del 1961 Mattei aveva scoperto che il suo vice Cefis aveva intessuto rapporti con lo Stato ebraico, mettendo a repentaglio l'intera strategia ENI. A gennaio Cefis fu espulso dall'ENI. A giugno Montanelli – il miserrimo giornalista dei poteri forti oggi conteso dal centrodestra e dal centrosinistra – gli sparò contro paginate di attacchi sul Corriere della Sera. Il 27 ottobre 1962 ci fu l'attentato aereo di Bascapé e Cefis tornò alla guida dell'ENI frenando sul troppo filoarabismo del suo precedessore.

Cefis era stato partigiano, come Mattei: ma fra i due c'era un abisso di linea politica, di umanità, di carattere. La loro diversità è l'emblema di una guerra di liberazione dalle diverse facce che solo la faziosità può ridurre a una marcetta unitaria di tutti eroici combattenti, o a un evento senza pagine negative e in cui quel che solo conta sarebbero l'affiliazione partitico ideologica e le battaglie contro i nazisti. Esistono pagine oscure di una storia che come sempre è a più livelli. Cattolici, socialisti o comunisti, forse non erano solo queste le differenze di una guerra di liberazione “vista dall'alto”, e questo nonostante la spaccatura del vecchio CLN nel ‘48: fondamentale è che un Mattei fu combattente ben diverso da Igor Markevitch, uno dei numerosi partigiani per fede tribale e con strategia neo-totalitaria; o da un Cefis, l'uomo dei servizi segreti inglesi con le loro trame oscure e determinanti. Si parla tanto di “rifondazione” della festa di liberazione come momento di unità e pacificazione nazionale: la ricerca storica libera è una cosa, il suo uso o semplice sbocco “politico” è altra cosa. Ma nei fatti un revisionismo non fondato soltanto sul rimbeccarsi fra destra e sinistra le atrocità vere o presunte dei due campi, ma attento a individuare le possibili strumentalizzazioni della guerra civile per finalità che avevano poco a che fare con gli interessi dell'Italia e delle stesse cause “di parte”, potrebbe aprire prospettive interessanti.