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La Fiat, tra monopolio legale e monopolio volontario

di Carlo Gambescia - 05/05/2009


Il cosiddetto assalto della Fiat al “potere automobilistico” mondiale, ha dato luogo, grosso modo, a due interpretazioni principali. Vediamo quali.
La prima è quella dell’ “orgoglio italiano”. Tra fanfare, pifferi e applausi ci si compiace del fatto che una grande impresa nazionale stia finalmente mostrando di essere capace di dominare il mercato, o comunque di riuscire a determinarlo sul piano delle grandi alleanze. In genere, questa, è la posizione del centrodestra, di larga parte del centrosinistra e degli ambienti economici che contano. All’unisono, tutti sembrano servilmente ripetere il fastidiosissimo mantra,
Fiat-Fiat-Fiat.
La seconda è quella del piagnonismo anticapitalista. Che, lacerandosi le vesti, scorge nella marcia (troppo) irresistibile della Fiat, una nuova conferma della natura monopolistica del capitalismo italiano e mondiale. In genere, questa, è la posizione della sinistra più accesa e delle lunatic fringes, a sinistra della sinistra radicale (anarchici, decrescisti, complottisti, eccetera). Quelli che sognano “un mondo nuovo”, senza indicare concretamente come costruirlo.
Diciamo, subito, che hanno ragione entrambi. Perché per un verso si tratta di un successo italiano, soprattutto di Marchionne, un manager di grande valore; ma per l’altro di una conferma della irrimediabile natura monopolistica del capitalismo. Ma non solo. E qui, infatti, sbagliano i piagnoni anticapitalisti. Perché quest'ultimo fatto indica che il potere di mercato, come ogni altra forma di potere sociale, tende sempre a concentrarsi nelle mani di pochi.
Insomma, non esistono eccezioni alla “regolarità” sociologica circa l’esistenza, in ogni campo, di una classe di governo politico, economico, culturale, religioso, eccetera. Certo, il “libero mercato” - cosa di cui presero atto liberali intelligenti come Hayek e Leoni - in alcuni settori può sfociare, anche legittimamente, dal punto di vista della teoria economica, in forme monopolistiche. Ma, attenzione, senza l’aiuto determinante dello stato… Di qui, ad esempio la distinzione leoniana, tra monopoli legali (sostenuti, in qualche modo, dalla coercizione statale) e monopoli volontari (frutto di accordi tra produttori e consumatori) .
E qui veniamo al punto. Perché la vera questione in gioco è che la Fiat punta a godere di appoggi e massicci finanziamenti pubblici (in Italia, Stati Uniti, Germania), frutto di inevitabili compromessi tra i “forti” (classi politiche ed economiche), a danno dei “deboli” (lavoratori, cittadini e consumatori). Rischiando così, dal punto di vista economico, di trasformare il monopolio volontario (in favore del consumatore) in monopolio legale ( contro il consumatore)…
Inoltre, al momento, resta sconosciuto il costo dell’intera operazione in termini di “ristrutturazioni”. Un “prezzo” che non potrà non essere pagato dalle maestranze. Perché è vero che il monopolio legale, spesso si risolve in una difesa parassitaria dell’occupazione. Ma nel caso della Fiat - semplificando - potremmo ritrovarci con un monopolio legale dal punto di vista dei finanziamenti pubblici, ma volontario, in quanto ai licenziamenti… Il peggio dei due sistemi. E per dirla fuori dai denti: sulla pelle dei lavoratori.
Concludendo, si rischia di favorire la materializzazione di una di quelle operazioni, tipicamente Fiat, dirette a privatizzare i profitti e socializzare le perdite.
Se fosse così, sarebbe una vergogna.