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Ultime notizie dal mondo

di redazionale - 03/07/2009

  • Italia. 15 giugno. No agli OGM. Intervistato la scorsa settimana da Gian Antonio Stella su Rai Radio3, il ministro dell’agricoltura Zaia ha motivato il proprio diniego agli organismi geneticamente modificati. «Sono contrario in quanto il mondo scientifico è esattamente spaccato a metà, e nei Paesi dove si coltiva con gli OGM non si guadagna di più. Abbiamo fatto un G8 Agricoltura per dimostrare che affamano gli agricoltori e non risolvono l’emergenza alimentare del pianeta, dove 3 milioni di persone muoiono di fame». Zaia ha aggiunto che «gli alimenti a base di OGM si stanno configurando non come cibo del futuro, ma per i poveri. Mentre i ricchi possono permettersi una spesa certificata e biologica. Una cosa assolutamente da combattere perché la qualità a tavola non deve essere un lusso per pochi».

 

  • Italia. 15 giugno. «Togliete gli OGM ai vostri pazienti». Una moratoria sul cibo prodotto con OGM, una chiara etichettatura della loro presenza ed un appello ai medici: lo chiede l’American Academy of Environmental Medicine (AAEM), che ha pubblicato un documento in cui si afferma che «gli OGM pongono seri rischi per la salute». Come constata Slowfood, gli organismi geneticamente modificati sono entrati in commercio solo 13 anni fa, e non ci sono studi accurati sui loro effetti a lungo termine per quanto riguarda gli esseri umani. Gli esperimenti sugli animali hanno mostrato risultati preoccupanti come allergie, disfunzioni immunitarie, alterazioni comportamentali, problemi di fertilità, mortalità infantile. I prodotti geneticamente modificati maggiormente coltivati sono soia, mais, colza, cotone e canna da zucchero, ma molti altri vegetali si stanno affacciando sul mercato come papaia, pomodoro, patata, zucchina. Prodotti come carne, pesce, formaggio, uova non biologici provengono inoltre da animali nutriti con mais e soia OGM.

 

  • Italia. 15 giugno. La settimana scorsa il programma Co-Extra, uno studio di 5 anni condotto da 200 ricercatori di 18 Paesi, ha concluso che la coabitazione su larga scala di prodotti convenzionali o bio con gli OGM è impossibile. I ricercatori hanno realizzato dei modelli per valutare le distanze di sicurezza ed evitare contaminazioni, considerando diversi parametri: specie coltivate, grandezza dei campi, geografia locale, direzione dei venti. Per il mais, il cui polline è considerato poco volatile, la distanza tra le coltivazioni deve essere di almeno 300 metri. «Ma alcuni pollini viaggiano anche per 30 km» dice il coordinatore di Co-Extra, Yves Bertheau, «e quindi saranno necessarie intere zone adibite a barriere anti contaminazione». Ma in Europa, essendo presenti ancora molte piccole aziende e vista la forte parcellizzazione dei campi, questo sistema diventa poco fattibile.

 

  • Francia. 15 giugno. Lamy: il commercio mondiale resta ancora congelato. E non si prevedono segnali di ripresa. Anzi, secondo il direttore dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), la situazione si è addirittura «aggravata». «Non condivido l’ottimismo dei governi, perché dal punto di vista degli scambi mondiali al momento non vedo segnali positivi», ha affermato Pascal Lamy, intervenendo a un dibattito a Parigi il 12 giugno scorso. Il numero uno dell’istituto ha anche voluto ricordare come per quest’anno sia previsto un crollo degli scambi mondiali del 9%: una flessione che egli stesso giudica «senza precedenti». Per trovare performance così negative, infatti, occorre tornare ai tempi della Seconda guerra mondiale.

 

  • Unione Europea. 15 giugno. La UE è pronta ad aumentare la sua esposizione finanziaria con il FMI. L’Unione Europea (UE) potrebbe approvare un incremento di contribuzione al preventivo del Fondo Monetario Internazionale (FMI) a fronte della crisi finanziaria in atto, oltre ai 75mila milioni di euro già impegnati. Ne dà notizia la Reuters, riferendo di una bozza che potrebbe essere presentata al prossimo vertice europeo. Il provvedimento risponde alla serie di accordi creditizi stabiliti nell’ultima decade del secolo scorso tra FMI e Stati ed istituzioni finanziariamente forti per fronteggiare crisi finanziarie.

 

  • Palestina. 15 giugno. Si tratta di «un primo passo verso il rilancio del processo di pace». Così il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha commentato il discorso del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, all’Università sionista di Bar Ilan, vicino Tel Aviv. Gli ha fatto eco la commissaria europea degli Esteri, Benita Ferrero-Waldner, a Lussemburgo. Netanyahu, domenica, ha pronunciato un discorso esigendo la rinuncia dei palestinesi ai loro diritti nazionali per accedere ad un ultralimitatissimo e dipendente «Stato». Sarebbe un’entità priva di una forza militare per difendersi da minacce esterne, priva del controllo del suo spazio aereo. Un territorio strutturato a groviera con una moltitudine di colonie sioniste. «Il problema dei rifugiati palestinesi deve risolversi fuori delle frontiere d’Israele», a sancire la continuità della politica sionista dal 1948 di non riconoscere il diritto al ritorno ai palestinesi cacciati dalla propria terra dai sionisti, diritto che è una delle rivendicazioni fondamentali del popolo palestinese in lotta per la sua sopravvivenza nazionale. Gerusalemme, la città occupata illegalmente nel 1967, sarà «la capitale indivisibile dello Stato ebraico», ebraicità che i palestinesi dovranno accettare pena la loro espulsione dallo Stato. L’«offerta» di Netanyahu si inscrive nella prosecuzione del disegno di dominazione sionista. Quel che oggi Netanyahu, Obama e la UE chiamano «soluzione dei due Stati».

 

  • Palestina. 15 giugno. A Mosca, una fonte del ministero degli Esteri ha affermato che la proposta di Netanyahu «non apre le porte ad una soluzione del problema israelo-palestinese». Il presidente egiziano, Hosni Mubarak, ha sottolineato che «il punto [di Netanyahu, ndr] di riconoscere Israele come Stato ebraico complica le cose e compromette le possibilità di pace». A Damasco, il quotidiano Al-Watan scrive che Netanyahu «ha silurato tutti gli sforzi di pace», mentre il presidente libanese, Michel Suleimane, ha invitato la “comunità internazionale” ad «esercitare pressioni su Israele».

 

  • Iran. 15 giugno. L’”Occidente” travisa la realtà politica e sociale iraniana. Lo afferma George Friedman della prestigiosa agenzia di analisi geopolitica statunitense Stratfor. Friedman ritiene che Ahmadinejad abbia vinto le elezioni in virtù del consenso popolare e che i sostenitori di una “occidentalizzazione” costituiscono una frazione poco consistente della società iraniana. «Senza dubbio c’è gente che vorrebbe liberalizzare il regime iraniano. La si può trovare tra le classi professionali di Teheran così come tra gli studenti. Molti parlano inglese, cosa che li rende accessibili a giornalisti, diplomatici e agenti segreti di passaggio. Sono loro quelli che possono parlare agli occidentali; anzi, sono loro quelli che vogliono parlare agli occidentali. E questa gente dà agli occidentali una visione assolutamente distorta dell’Iran». Sulle accuse di brogli, l’analista geopolitico rileva che «è possibile che vi siano stati, ma è difficile capire come si possa rubare un’elezione con un margine tanto ampio. Farlo avrebbe richiesto il coinvolgimento d’un numero incredibile di persone, ed avrebbe rischiato di generare numeri palesemente in disaccordo coi sentimenti prevalenti in ciascuna circoscrizione. Brogli su ampia scala implicherebbero che Ahmadinejad abbia manipolato i numeri a Tehran senza alcun riguardo per il voto. Ma ha tanti potenti nemici che l’avrebbero subito rilevato e denunciato. Moussawi insiste ancora d’essere stato frodato, e dobbiamo rimanere aperti alla possibilità che sia così, per quando sia arduo immaginare il meccanismo attraverso cui ciò sarebbe accaduto».

  • Iran. 15 giugno. Friedman insiste su un punto: «Ahmadinejad gode di grande popolarità. Non parla delle questioni che interessano i professionisti urbani, ossia economia e liberalizzazione; ma affronta tre problemi fondamentali che interessano il resto del paese». Quali sono questi punti? Innanzi tutto, Ahmadinejad parla di religiosità. «Entro ampi strati della società iraniana, è cruciale la volontà di parlare genuinamente della religione. Sebbene possa essere difficile da credere per gli europei e gli statunitensi, nel mondo ci sono persone per cui il progresso economico non è la cosa fondamentale; persone che vogliono mantenere la loro comunità così com’è, e vivere così come vivevano i loro antenati. Questa gente prova ripulsa per la modernizzazione – che venga dallo Scià o da Moussawi». In secondo luogo, la corruzione. «Nelle campagne è diffusa la sensazione che gli ayatollah –che hanno enorme ricchezza ed enorme potere, riflessi nel loro stile di vita– abbiano corrotto la Rivoluzione Islamica. Ahmadinejad è inviso a molti in seno all’élite religiosa, proprio perché ha sistematicamente sollevato il problema della corruzione, che risuona nel contado». Infine, Ahmadinejad dà maggiore affidabilità in tema di sicurezza nazionale iraniana. «Va sempre tenuto a mente che l’Iran negli anni ‘80 combatté una guerra con l’Iraq che durò 8 anni (…) Gli iraniani, ed i poveri in particolare, hanno vissuto quella guerra ad un livello molto intimo. La combatterono in prima persona, o vi persero mariti e figli». Insomma, «brogli o no, Ahmadinejad ha vinto e pure di tanto. Che abbia vinto non è un mistero; il mistero è come gli altri potessero pensare che non avrebbe vinto».

 

  • Iran. 15 giugno. Quali le evoluzioni future della politica iraniana? Sul fronte interno Friedman ritiene che Ahmadinejad proseguirà il programma nucleare iraniano e darà battaglia agli ayatollah sotto lo slogan della lotta alla corruzione, con il sostegno della guida suprema ayatollah Alì Khamenei. «Quest’elezione ha fatto di Ahmadinejad un presidente potente, forse il più potente che ci sia mai stato in Iran dalla rivoluzione. Ahmadinejad non vuole sfidare Khamenei, e la sensazione è che Khamenei non vorrà sfidare Ahmadinejad. Si profila un matrimonio obbligato, che forse metterà in una posizione difficile molti altri capi religiosi». In merito alle relazioni con gli USA, Friedman ritiene che continuerà a vigere lo stallo attuale. «Il problema è che non si capisce su cosa gli iraniani siano pronti a negoziati, né quali concessioni gli statunitensi siano disposti a dare agli iraniani per indurli a negoziare. L’Iran vuole maggiore influenza in Iraq ed il riconoscimento del suo ruolo di maggiore potenza regionale, cose che gli Stati Uniti non vogliono concedergli. Gli USA vogliono la fine del programma nucleare iraniano, cosa che l’Iran non vuole accettare». L’analista geopolitico ritiene però improbabile che Washington si spinga a promuovere un attacco contro le installazioni nucleari iraniane. Sia Bush che Obama «hanno impedito agli israeliani d’attaccare, posto che quest’ultimi abbiano mai voluto farlo davvero. Per ora, le elezioni sembrano aver congelato lo status quo. Né Stati Uniti né Iran sembrano pronti a mosse significative, e non vi sono terze parti che vogliano farsi coinvolgere nella questione, eccettuate le occasionali missioni diplomatiche europee o le minacce russe di vendere qualcosa all’Iran. Alla fin fine, ciò dimostra quel che sappiamo da molto: il gioco è bloccato sul posto, e va avanti».

 

  • Iran. 15 giugno. La CIA dietro le proteste a Teheran. Un Generale in pensione dell’esercito pakistano, Mirza Aslam Beig, ha affermato che la CIA ha investito 400 milioni di dollari in Iran per provocare una rivoluzione. Nel corso di un’intervista rilasciata a Radio Pashto, il Generale Beig ha affermato che è indiscutibile l’interferenza dei servizi segreti statunitensi in Iran. «I documenti dimostrano che la CIA ha investito 400 milioni di dollari all’interno dell’Iran per provocare una rivoluzione colorata verde dopo le elezioni», ha aggiunto. Beig «afferma che gli sforzi statunitensi erano volti ad insediare un governo pro – USA» in Iran, e che la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad è decisiva per gli equilibri nell’area. «Se Pakistan e Afghanistan si uniscono all’Iran, gli Stati Uniti devono abbandonare l’area, in particolare ritirarsi dall’Afghanistan occupato».

 

  • Afghanistan. 15 gennaio. OGM sulla tavola afghana. Il sito slowfood rileva l’impegno statunitense a promuovere gli OGM nel Paese. Nel 2003 la United States Agency for International Development (Usaid) ha lanciato il progetto Ramp (Rebuilding Afghanistan’s Agricultural Markets Program). L’obiettivo: ristrutturare l’agricoltura afghana per integrarla nel mercato mondiale dell’agrobusiness. I principali beneficiari sono ovviamente le imprese statunitensi. Slowfood rileva ad esempio come non vi siano mai state colture di soia in Afghanistan, estranea alla tradizione culinaria del Paese, e il nuovo programma, suppostamente «concepito per combattere la malnutrizione», sta stravolgendone l’agricoltura. Guardiamo una di queste catene. L’Usaid ha finanziato il programma Nei (Nutrition and Education International), creato da Nestlé, per insegnare ai contadini afghani a seminare e poi consumare soia. Il Nei è legato al Wishh (World Initiative for Soy in Human Health), che è stato fondato dall’Associazione statunitense produttori di soia (Asa). Il Wishh lavora con la Nama (North American Millers’ Association) che conta tra i suoi membri i giganti mondiali ADM, Bunge Milling e ConAgro. Nello specifico, in Afghanistan, Nei lavora con le industrie sementiere a stelle e strisce Stine Seed Company (Iowa) e Gateway Seed Company (Illinois), che forniscono la soia geneticamente modificata Roundup Ready e l’erbicida Roundup, prodotti dalla Monsanto. Catene del genere si stanno sviluppando in tutto il Paese. Ultimo caso singolare, tre multinazionali USA Chemonics, Dai (Development Alternatives Inc.) e Padco (Planning and Development Collaborative International) hanno realizzato una serie di programmi finanziati dall’Usaid, tra cui il loro più grande successo: esportare frutta afghana attraverso aerei forniti dall’aviazione USA per rifornire i supermercati Carrefour di Dubai.

 

  • Russia. 15 giugno. Alleanza militare postsovietica. Costituite ieri forze militari collettive di reazione rapida, nonostante l’astensione di due suoi membri Bielorussia e Uzbekistan. L’accordo fondativo delle forze dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Colettiva (OTSC) è stato firmato da Russia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, mentre l’Uzbekistan si è astenuto e la Bielorussia non ha partecipato al vertice di Mosca (quantunque il giorno prima del vertice OTSC a Mosca, Russia e Bielorussia abbiano firmato un accordo di costituzione di un sistema unificato di difesa aerea regionale). Il presidente russo, Dimitri Medvedev, ha dichiarato che l’OTSC manterrà le sue porte aperte affinché Bielorussia e Uzbekistan possano aggregarsi in futuro.

 

  • Russia. 15 giugno. Secondo gli analisti il possesso di una forza “collettiva” di attacco militare da parte dell’OTSC è un importante passo in avanti sulla via della trasformazione dell’organizzazione in una piena alleanza politico/militare. Definiti formalmente i suoi compiti: difesa dalle aggressioni militari, attuazione di operazioni speciali di lotta alle forze “terroristiche ed estremiste internazionali”, lotta alla criminalità organizzata transnazionale e alle attività di traffico di stupefacenti, risposta alle emergenze provocate da calamità naturali e da altri disastri. Per capire i rapporti di forza interni, due aspetti significativi: 1. detta forza sarà dispiegata in territorio russo; 2. la forza principale è data dalla 98^ divisione di paracadutisti e 31^ brigata di paracadutisti d’assalto russi. Gli altri Paesi membri dell’OTSC invieranno contingenti della dimensione di 1-2 battaglioni. L’accelerazione alla costituzione dell’organismo origina probabilmente dagli scontri militari avvenuti l’anno scorso fra Russia e Georgia e dalla necessità per Mosca di controllare la situazione dell’Asia centrale. Fonti russe hanno a più riprese affermato che le minacce principali per l’OTSC provengono da sud, in particolare dall’Afghanistan, dove sono molto attive «varie forze estremiste», e alcune zone correlate di conflitti potenziali del Pakistan.

 

  • Corea del Nord. 15 Giugno. Pyongyang non smantellerà il suo arsenale nucleare fino a quando non sarà stata eliminata «la minaccia nucleare degli USA». Lo ha scritto l’11 giugno scorso il quotidiano Minju Choson, riportato dall’ANSA. Ricordando che gli USA forniscono il loro «ombrello» nucleare alla Corea del Sud, il quotidiano sostiene che per Pyongyang «l’unico modo di prevenire una guerra e proteggere la sovranità» nazionale è quello di «mantenere una capacità di contro-attacco nucleare».

 

  • USA. 15 giugno. Un’economia globale drogata, tenuta in vita con ulteriore droga. Sul Corriere del Ticino Alfonso Tuor paragona l’economia globale «a un paziente in camera di rianimazione, che non ha dato ancora alcun segnale chiaro di poter fare a meno delle cure speciali». Il vertice dei ministri delle Finanze e dell’Economia del G8, tenutosi a Lecce negli scorsi giorni, ha riconosciuto in sostanza che la situazione rimane molto incerta e che non si vede alcun avvio di un rilancio dell’attività economica. Per questo motivo non verranno cambiate le politiche di stimolo monetarie e fiscali adottate dai diversi Paesi, poiché, come ha dichiarato il direttore del Fondo Monetario Internazionale, «prima si deve uscire dalla crisi». Tuor rileva però che le misure di politica monetaria e fiscale adottate hanno cominciato a produrre effetti negativi. «Infatti, il forte aumento dei disavanzi pubblici ha fatto risalire i tassi di interesse e l’enorme quantità di nuova moneta, stampata soprattutto dalla Banca centrale americana, non sta solo facendo crescere le aspettative di un ritorno dell’inflazione, ma sta anche producendo effetti perversi come il ritorno di quel genere di speculazione finanziaria che è stato all’origine dell’attuale crisi». Come ha denunciato a Lecce il ministro italiano Giulio Tremonti, la liquidità iniettata nel sistema «invece di andare a finanziare l’economia reale, ha fatto tornare la speculazione finanziaria».

 

  • USA. 15 giugno. Fenomeni come il forte rialzo delle materie prime fanno ritenere che i timidi segnali di miglioramento economico siano il riflesso delle enormi quantità di liquidità iniettata nel sistema finanziario. Ci troviamo di fronte ad «un’economia drogata che non può vivere senza droga». Vi sono però limiti anche all’iniezione di nuova liquidità / droga, come mostrano gli avvertimenti sempre più pressanti rivolti agli Stati Uniti da molti Paesi. «I primi ad essersi preoccupati per la politica di Washington sono stati i cinesi che temono di dover subire perdite negli enormi investimenti in titoli statali americani attraverso cui finanziano il debito estero degli Stati Uniti. Timori analoghi sono stati espressi anche dalla Germania. Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha infatti ammonito la Banca Centrale Europea a non seguire la politica monetaria americana, poiché l’impressionante ricorso della Federal Reserve alla stampa di nuova moneta potrebbe condurre ad alti tassi di inflazione e ad una forte svalutazione del dollaro. Insomma cresce la preoccupazione sui possibili effetti perversi delle scelte americane e implicitamente si pone sul tappeto la questione di una riforma del sistema monetario che non ruoti più attorno a un dollaro americano espressione di un Paese in crisi economica e fortemente indebitato». Gli Stati Uniti sembrano però fare orecchie da mercante ad una rifondazione dell’intero sistema monetario e finanziario, oggi costruito attorno al ruolo egemone del dollaro, avanzata inizialmente dalla Cina ed abbracciata dalla Russia. Washington ritiene che basterà il cambiamento di qualche regola, ad esempio in materia di regolamentazione dei mercati finanziari. Al riguardo si discuterà al G20 in programma negli Stati Uniti, in settembre.

 

  • Iran. 16 giugno. Dove nasce il consenso popolare di Ahmadinejad? Farian Sabahi, iraniana, insegnante di storia dei Paesi islamici all’università di Torino, intervistata da L’Unità, afferma con sicurezza che «l’esito del voto non si spiega solo con i brogli. Mentre la campagna elettorale di Moussawi è durata tre settimane, quella di Ahmadinejad è andata avanti per più di tre anni, durante i quali ha elargito a destra e a manca, incrementando del 50% le pensioni e del 30% gli stipendi degli insegnanti. Inoltre 22 milioni di cittadini in più hanno ottenuto l’assistenza sanitaria gratuita. Tutto ciò gli ha guadagnato consensi». La Sahabi puntualizza che «le proteste sono sincere, ma esiste anche un altro Iran, al di fuori della capitale, che spesso non viene considerato. Ci sono 4 milioni di nomadi la cui scelta elettorale non è un fatto individuale. E quando tu vedi il presidente che si sporca le scarpe di polvere per andare nei villaggi a stringere le mani dei tuoi capi, questo basta a orientare il tuo voto». Secondo la studiosa iraniana, le proteste di questi giorni evidenziano comunque «la frattura avvenuta all’interno del sistema istituzionale della Repubblica islamica. La propaganda di Ahmadinejad ha preso di mira figure di spicco dell’élite politico-religiosa. Le accuse di corruzione hanno messo in serio imbarazzo il candidato riformatore Karroubi, la terza carica dello Stato Rafsanjani, grande sponsor di Moussawi, e altri ancora, senza escludere personaggi vicini alla Guida suprema Khamenei. Si è frantumata la coesione e l’omertà interna all’establishment. Il blocco di forze che fa capo ai Pasdaran è emerso sempre più distinto ed autonomo rispetto agli altri centri di potere», concludendo che Moussawi, nel chiedere l’annullamento delle elezioni, pensi in realtà alle presidenziali del 2013 e a stabilire un legame fra il movimento di cui è in questo momento leader e settori importanti dell’élite religiosa.

 

  • SCO / Russia. 16 giugno. Medvedev sprona gli Stati membri dello SCO a non usare il dollaro negli scambi commerciali. Il presidente russo Dmitry Medvedev ritiene che gli Stati membri dell’Organizzazione di Shanghai (SCO) dovrebbero usare le rispettive valute nazionali per il regolamento delle transazioni commerciali tra di loro ed eventualmente cambiarle in uno strumento di pagamento sovranazionale. Parlando al summit della Shanghai Cooperation Organization ad Ekaterinburg, negli Urali, Medvedev ha affermato inoltre che una delle priorità della politica estera russa è la promozione della cooperazione multi-settoriale nell’ambito della SCO. Mosca propone di indire una riunione di esperti che coinvolga agenzie finanziarie e funzionari di organi dell’organizzazione come lo “SCO business council” e la “SCO inter-bank association”. L’idea è convergente con le proposte di Cina, Kazakistan e di altri Paesi per indire incontri tra i ministri delle finanze ed i Governatori delle Banche centrali dei paesi membri. L’Organizzazione di Shanghai comprende Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. India, Pakistan, Mongolia ed Iran hanno lo status di osservatori.

 

  • SCO/ Iran. 16 giugno. Benvenuto, Ahmadinejad. Il neo eletto presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è arrivato in Russia per la seconda giornata del summit dell’Organizzazione di Shanghai, in cui Teheran partecipa con lo status di osservatore. Ahmadinejad, che secondo le sue parole sarà presente al summit come ospite speciale del presidente russo Dmitry Medvedev, era atteso lunedì nella città degli Urali, ma ha rinviato il viaggio per le manifestazioni di protesta organizzate in Iran per la sua rielezione. Al suo arrivo ad Ekaterinburg, in Russia, il vice-ministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, ha dichiarato che «la questione delle elezioni in Iran è un affare interno al popolo iraniano. Siamo contenti che ci siano state e diamo il benvenuto al nuovo presidente in territorio russo». Secondo Ryabkov, ha un valore altamente «simbolico» il fatto che il presidente iraniano rieletto abbia scelto proprio la Russia come primo viaggio all’estero, a conferma del particolare legame tra i due Paesi. L’Iran ha più volte espresso interesse a trasformarsi in membro di pieno diritto dell’Organizzazione, ma finora Russia e Cina hanno rifiutato.

 

  • SCO/ Iran. 16 giugno. «Finita l’era degli imperi». Lo afferma il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad al nono summit annuale della Shanghai Cooperation Organization (SCO). Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Interfax, prima che avesse inizio la sessione dei lavori, i capi di Stato dei membri della SCO si sono congratulati con Ahmadinejad per la sua elezione. «Gli attuali conflitti regionali e la crisi economica globale dimostrano che una struttura unipolare del mondo dominata dagli Stati Uniti non è in grado di sopravvivere». Secondo il presidente iraniano, «l’Iraq continua ad essere occupato, il caos sta crescendo in Afghanistan, la questione palestinese rimane irrisolta, il mondo è scosso da crisi politiche ed economiche, e non c’è speranza per una loro risoluzione», riferisce l’agenzia di stampa RIA Novosti. «La fine è venuta» per l’attuale ordine del mondo unipolare, ha detto Ahmadinejad, constatando che gli Stati Uniti ed i suoi alleati non sono in grado di affrontare i problemi globali. Assistiamo ad un fallimento della politica estera statunitense ed all’ormai insostenibile onnipresenza del dollaro, salvaguardato da una struttura globale ormai anacronistica: «Nonostante l`emergere di crisi ricorrenti e gravissime, le strutture e i meccanismi politici ed economici esistenti nel mondo sono rimasti intatti. Possiamo ancora credere che tutti i problemi potranno essere risolti con tali meccanismi e strumenti obsoleti?». Certo che no, bisogna operare «inevitabili e indiscutibili cambiamenti radicali». Il presidente iraniano ha quindi esortato lo SCO ad impegnarsi attivamente per contrastare il disordine finanziario globale ed ha reiterato l’interesse di Teheran per una più stretta collaborazione con l’organizzazione.

 

  • SCO / Pakistan. 16 giugno. Islamabad vuol diventare membro a pieno titolo dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. L’ha detto oggi il presidente pachistano Ali Zardari al summit dei capi di stato della SCO. «Vorremmo diventare membri a pieno titolo della SCO, ma finché non avremo successo in questo proposito, continueremo ad avere accesso all’Organizzazione come membro osservatore», ha detto Zardari, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Interfax. Zardari ha auspicato la costituzione d’un meccanismo di cooperazione in ambito SCO in tre direzioni: sicurezza e lotta contro “estremismo”, “terrorismo” e crimine transnazionale organizzato; energia; cooperazione economica, volta in particolare alla costruzione di corridoi energetici e al miglioramento delle vie di comunicazione nella regione. «La SCO non ha ancora raggiunto il suo reale potenziale. La sua voce dovrebbe essere sentita meglio ed essere più chiara», ha aggiunto il presidente pakistano.

 

  • USA. 16 giugno. Recessione nel breve periodo, inflazione nel medio periodo. Lo dice l’economista Nouriel Roubini, uno di quelli che ha previsto con largo anticipo la crisi economica degli ultimi due anni. Nel suo intervento al Reuters Investment Outlook Summit, Roubini ritiene che la recessione negli Stati Uniti durerà per tutto il 2009 e sarà seguita da una crescita “anemica” che potrebbe anche rivelarsi di breve durata. A partire dalla fine del 2010, Roubini vede una “recessione bis” per i successivi due anni negli States. «Dopodiché, l’inflazione sarà una bomba a orologeria», ha aggiunto l’economista. Roubini dice di non aspettarsi un rialzo dei tassi USA nel futuro prossimo, ma nel lungo periodo la combinazione di preoccupazioni deflazionistiche e inflazionistiche metteranno la FED di fronte a «un brutto dilemma, affilato come la lama di un coltello». La monetizzazione dei deficit di bilancio federali da parte della FED, dice Roubini, darebbe il via a una spirale inflazionistica simile a quella degli anni ’70.

 

  • USA. 16 giugno. Salvare le banche sì, salvare gli Stati no. Secondo The Washington Post, l’amministrazione Obama ha respinto la richiesta di aiuto proveniente dallo Stato della California, sull’orlo del collasso finanziario. Il segretario al Tesoro, Timothy Geithner, ed il consigliere economico di Obama, Lawrence Summers, hanno argomentato che concedere prestiti alla California sarebbe un precedente di cui si avvarrebbero anche gli altri Stati statunitensi che hanno richiesto sostegno finanziario a Washington. Ogni Stato dovrebbe regolare da sé il proprio bilancio, hanno aggiunto. Funzionari californiani hanno obiettato che il loro Stato, l’ottava economia del mondo, più grande di quella del Canada o del Brasile, «è troppo grande per fallire», rilevando che il fallimento della California, così come di qualsiasi altro Stato o municipalità statunitense, comprometterebbe la fiducia anche mondiale nei mercati finanziari statunitensi. La copertura del deficit californiano, stimato a 24 bilioni di dollari, non soltanto comporterebbe tagli alla spesa sociale ed inasprimenti fiscali fortemente impopolari, ma aggraverebbe lo stato recessivo dell’economia.

 

  • Iran. 17 giugno. I disordini in Iran si concluderanno a breve ed i brogli denunciati dall’opposizione «non sono diversi da quelli che si verificano in ogni Stato democratico». Lo afferma il famigerato capo del Mossad (il servizio segreto per l’estero di Israele) Meir Dagan, convinto che la vittoria di Mahmoud Ahmadinejad è un vantaggio per Tel Aviv. Secondo quanto riferisce il Wall Street Journal, durante un’audizione alla commissione Esteri e Difesa della Knesset Dagan ha dichiarato che una vittoria di Ahmadinejad, divenuto celebre internazionalmente per le sue controverse e manipolate affermazioni sull’Olocausto e la “distruzione dello Stato d’Israele”, favorisce il sostegno internazionale contro il programma nucleare iraniano, mentre una vittoria di Moussawi rappresenterebbero «un più grosso problema». Dagan rileva inoltre che «ciò che conta è la posizione del leader supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei: questi sostiene Ahmadinejad», mentre le tensioni interne sono solo «una controversia in seno all’elite iraniana». I disordini in corso, riferisce Dagan, sono limitati solo a Teheran e ad un’altra provincia.

 

  • Iran. 17 giugno. «Chi ha tradito la voce dell’Iran?». È quanto si chiede Simone Santini di Clarissa.it. Sulla linea del sondaggio preelettorale sul voto iraniano comparso sul Washington Post del 15 giugno scorso, che aveva previsto un’ampia vittoria del presidente Ahmadinejad, Santini ritiene che sia impossibile in un paese grande come l’Iran spostare circa 10 milioni di voti da un candidato all’altro senza plateali irregolarità. «La rielezione di Ahmadinejad sarebbe, volente o nolente, legittima». In questo quadro generale risultano però «fortissime responsabilità di tutto lo scenario istituzionale che sta sprofondando lo stato iraniano nel baratro». Per cominciare Hussein Moussavi ha agito in modo del tutto irresponsabile ed avventurista. «Ammesso che creda in buona fede che la sua sconfitta derivi da brogli, le improvvide affermazioni durante la notte del voto in cui dichiarava di essere il vincitore con oltre il 60% dei suffragi, il suo appello alla popolazione a resistere contro il pericolo di “tirannia”, l’aver chiamato a raccolta i suoi sostenitori in una manifestazione di piazza oceanica, non ha fatto altro che creare i presupposti per un clima da scontro civile e offrendo soprattutto il destro (come ovviamente accaduto) a provocazioni e contro provocazioni di chi mira a far divampare l’incendio».

 

  • Iran. 17 giugno. Secondo Santini «la piazza, intesa come il ribollire delle rivendicazioni giovanili e femministe, soprattutto nei centri urbani come Teheran, ha cominciato a credere al cambiamento non solo come possibile ma addirittura a portata di mano. Nelle riunioni e manifestazioni dell’opposizione circolavano ormai da giorni come reali le voci di brogli. La dichiarazione di Moussavi che si auto-proclama vincitore, giocando in anticipo sulle comunicazioni ufficiali la notte del voto, è stato l’ultimo colpo di scena prima della doccia fredda». Santini critica però anche il comportamento di Ahmadinejad. «Invece di minimizzare le proteste avrebbe dovuto prontamente spiazzare il nemico spuntandone le armi, forte, se i dati sono veri, dell’ampio consenso popolare di cui gode. Senza indugio avrebbe potuto lui stesso chiedere un nuovo conteggio dei voti, se non addirittura sfidare ad un ballottaggio il contendente». Il risultato è che tutti «sembrano aver interpretato, finora magistralmente, un ruolo. Sullo sfondo il popolo iraniano, anche esso, ci pare, utile strumento nella mani di un oscuro regista. A noi sembra che gli unici a poter trarre un vantaggio strategico da questa drammatica situazione siano i nemici geopolitici dell’Iran che stanno utilizzando per i loro scopi gruppi di potere dentro il regime». Una dura repressione delle manifestazioni, prevede Santini, «porterebbe ad una unanime condanna internazionale, a stringere l’Iran ancor più nell’isolamento esterno e nella destabilizzazione interna. Terreno fertile per molte altre manovre a venire». Chi ci guadagna?

 

  • SCO / Russia / Cina. 17 giugno. Si rafforza l’asse Mosca–Pechino. Il presidente russo Dmitry Medvedev e quello cinese Hu Jintao firmano accordi di cooperazione economica e si impegnano ad organizzare periodici incontri tra i primi ministri dei due Paesi. Significative le intese in materia di cooperazione sull’industria del gas e del carbone, così come le intese per stimolare il commercio bilaterale e la produzione di macchinari e beni ad alto contenuto tecnologico.

 

  • SCO / Russia / Cina. 17 giugno. Appello ad un nuovo sistema monetario e finanziario mondiale; azioni concertate per fronteggiare la crisi economica; congratulazioni ad Ahmadinejad per la sua rielezione; impegno per un “mondo multipolare”; benvenuto agli accordi di riduzione delle armi nucleari tra Washington e Mosca; prosieguo delle esercitazioni congiunte “anti terrorismo”; rimprovero alla Corea del Nord; promesse di aiuto all’Afghanistan e ad accogliere nuovi membri nell’organizzazione. Sono gli impegni siglati dai capi di Stato membri dell’Organizzazione di Shanghai (SCO), che segna una crescente cooperazione economica, commerciale e militare tra gli Stati membri, anche oltre il ruolo di “anti-NATO” assegnatogli dalla stampa “occidentale”. «I leader dei Paesi dello SCO hanno incaricato i loro esperti di studiare la questione di una nuova moneta internazionale» ha annunciato il consigliere presidenziale russo Arkadi Dvorkovitch. «Il vertice ha riconosciuto che l’attuale configurazione del sistema finanziario internazionale fondato sul dollaro non è più ideale, e che è inevitabile l’apparizione di nuove monete di riserva». Si sarebbe tra l’altro parlato di introdurre per il commercio intra-SCO una nuova moneta simile a quello che fu l’ECU europeo, cioè una unità di conto per i commerci all’interno del grande bacino economico. La Cina, che compete con la Russia per la preminenza nell’organizzazione, volta ad impedire l’influenza statunitense nella regione, ha offerto 10 bilioni di dollari di prestiti a Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan ed Uzbekistan per fronteggiare gli effetti della crisi economica globale. Il presidente russo Medvedev e quello tagiko Emomali Rakhmon si sono invece espressi per l’ammissione di nuovi membri nello SCO, pur senza fare alcun nome. «È necessario accelerare la redazione di un documento che definisca la procedura di ammissione di nuovi membri nello SCO», ha detto Medvedev, che ha altresì aspramente criticato i recenti test nucleari della Nord Corea ed il comportamento della leadership comunista. Il prossimo summit dello SCO, nel 2010, è previsto a Tashkent.

 

  • BRIC / USA. 17 giugno. Brasile, Russia, India e Cina: «No a dollaro moneta mondiale». In contemporanea al summit dello SCO, si apre oggi sempre ad Ekaterinburg il primo vertice dei capi di Stato del gruppo BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), forum dei Paesi emergenti, con la richiesta di un sistema monetario internazionale «più diversificato», e quindi meno ancorato al dollaro. «Noi pensiamo che sia veramente necessario avere un sistema stabile di valute, affidabile e maggiormente diversificato», si legge nel comunicato finale del vertice. I paesi BRIC sottolineano in tale direzione l’importanza di una «riforma delle istituzioni finanziarie internazionali per riflettere i cambiamenti nell’economia mondiale». Secco l’intervento del presidente russo Medvedev: «Dobbiamo rafforzare il sistema monetario internazionale», in cui non domini solo il dollaro e si promuova «la creazione di nuove valute di riserva, e forse, in ultima analisi, la creazione di divise sovra-nazionali, nuovi mezzi di pagamento e metodi di calcolo». Secondo il presidente russo «l’economia non può funzionare, se gli strumenti finanziari sono denominati in un’unica valuta. Una simile situazione è osservabile attualmente». Secondo alcuni osservatori, Brasile, Russia, India e Cina potrebbero in futuro rimpiazzare la loro eccessiva dipendenza dagli Stati Uniti come mercato primario di esportazione e fonte per il finanziamento degli investimenti.

 

  • BRIC / SCO / USA. 17 giugno. La città di Ekaterimburg, la più grande della Russia, ad est degli Urali, potrebbe essere in futuro conosciuta non solo come luogo in cui sono morti gli zar ed abbattuto nel 1960 il pilota dell’U-2 degli Stati Uniti, Gary Powers, ma anche come luogo in cui al primo posto dell’agenda figura la ricerca di un’alternativa all’ordine monetario e finanziario mondiale basato sul dollaro e gli Stati Uniti. In un sol luogo, nell’apparente indifferenza dei mass media “occidentali”, si riuniscono nell’arco di tre giorni i massimi responsabili dell’Organizzazione di Cooperazione di Shangai (SCO), l’alleanza formata da Cina, Russia, Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan ed Uzbekistan, con statuto di osservatori per India, Iran, Pakistan e Mongolia, ed il BRIC (Brasile, Russia, India e Cina). Al di là delle rassicurazioni diplomatiche dei partecipanti, discutere di cooperazione economica e finanziaria, in un modo che si escluda un ruolo degli USA o del dollaro, significa di fatto voler incrinare l’egemonia statunitense ed implementare un ordine mondiale “multipolare”. Non dimentichiamo poi che fu proprio in una riunione della SCO, nel 2005, che si chiese a Washington di stabilire un termine per il ritiro delle sue basi militari in Asia Centrale in Kirghizistan ed Uzbekistan, Paesi membri dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), stabilita nel 2002 come contrappeso alla NATO.

  • BRIC / SCO / USA. 17 giugno. A Washington si dubita che Russia e Cina possano veramente superare la loro rivalità geopolitica e si confida in quella politica del divide et impera che la Gran Bretagna ad esempio ha utilizzato abilmente per secoli per frammentare l’opposizione estera contro il proprio impero. Intanto però Russia e Cina hanno trovato un terreno comune nel ricercare un’alternativa al dollaro e quindi alla capacità degli USA di finanziare all’infinito il deficit della bilancia dei pagamenti. Sia nell’aprile scorso al G-20 che in modo ancor più esplicito al Forum Economico Internazionale di San Petersburgo il 5 giugno, il presidente russo Medvedev ha chiamato Cina e India «ad edificare un ordine mondiale sempre più multipolare». In sostanza il presidente russo ha detto che è stato superato il limite nel finanziare l’accerchiamento militare statunitense in Asia centrale, permettendo al tempo stesso a Washington di assicurarsi le nostre esportazioni, imprese, azioni ed immobili in cambio di moneta cartacea di dubbia validità.


  • BRIC / SCO / USA. 17 giugno. Come si può leggere sul sito del Kremlino del 5 giugno, il presidente russo ha chiarito che «il sistema unipolare, artificialmente mantenuto», si basa su un «grande mercato di consumo, finanziato da un deficit crescente e quindi debiti che aumentano, una moneta di riserva una volta forte» ed il dominio nella valutazione di attivi e rischi grazie alle agenzie di rating e alle banche d’affari. Gli Stati Uniti producono molto poco e spendono troppo, era la sua conclusione, in particolare per quel che riguarda le spese militari, dagli aiuti alla Georgia, annunciati la settimana scorsa, allo scudo missilistico nell’Europa Orientale. Il punto cruciale è il riciclaggio estero della quantità illimitata di dollari stampata dagli USA. I consumi eccedenti le esportazioni, gli acquisti di imprese ed immobili esteri, le spese del Pentagono all’estero, finiscono tutti in banche centrali estere. Questi Paesi non possono però fare altrimenti. Se non “riciclano” quei dollari di nuovo negli Stati Uniti comprando buoni del Tesoro ed attività finanziarie statunitensi, ne conseguirebbe un rafforzamento della propria valuta rispetto al dollaro, quindi una minore competitività delle proprie esportazioni sui mercati mondiali (quello statunitense rimane il più grande del mondo) ed in ultima istanza disoccupazione e chiusure di imprese al proprio interno.

 

  • BRIC / SCO / USA. 17 giugno. Quando Pechino & Co. riciclano le loro entrate in dollari comprando buoni del Tesoro o attività finanziarie statunitensi, non lo fanno volontariamente o per ragioni di convenienza economica, ma semplicemente perché manca un’alternativa. Il cosiddetto “libero mercato” è una camicia di forza che obbliga i Paesi ad accettare dollari senza limiti. Se consideriamo che metà delle spese statali sono destinate al settore militare, includendo più di 750 basi militari all’estero e operazioni sempre più costose nei paesi che producono e trasportano petrolio, il sistema finanziario internazionale è organizzato in modo da finanziare il Pentagono. Adesso la si vuol far finita con questa situazione. A cominciare da accordi bilaterali sul commercio che escludano transazioni in dollari, sterline ed euro. Concependo una moneta di riserva sconnessa dai singoli Stati. Questo è l’obiettivo delle discussioni a Ekaterinburg.

 

  • USA. 17 giugno. Crisi in “occidente”, crescita capitalistica ad Est. Mentre le economie di Stati Uniti ed Unione Europea sono strette nella morsa a forbice di aumento del debito pubblico e decrescita del tasso di espansione demografica, situazione opposta vige nelle economie emergenti. In Cina, India, Indonesia e Brasile la crescita capitalistica, pur con i suoi squilibri sociali, continua imperterrita; in crescita pure dinamica demografica e riserve valutarie, mentre diminuisce il debito estero. Adesso, in concomitanza con la peggiore crisi finanziaria ed economica dagli anni ‘30, stanno iniziando a cercare alternative al dominio del dollaro. La presente crisi non è un epifenomeno destinato ad esaurirsi in breve tempo. L’ideologia del “libero mercato” su cui si è basato il modello di “globalizzazione” promosso da Washington si è rivelato un inganno a supporto delle mire imperiali statunitensi. Il Re, insomma, è nudo. Il sistema del dollaro sul quale si è strutturato il mondo da Bretton Woods (1944) è messo in discussione. Ogni misura ad oggi proposta dalle due amministrazioni statunitensi –Bush ed adesso Obama– allo stesso modo di quelle del G7 si sono risolte nel dare dosi sempre più pesanti di droga finanziaria ad un malato sul punto di morire per overdose. I sempre più consistenti salvataggi a spese dei contribuenti per mantenere artificialmente in vita un sistema finanziario e bancario fallito stanno ancor più peggiorando la salute dell’economia statunitense.

  • USA. 17 giugno. Gli aiuti record statunitensi promossi dal settembre 2008, quindi in un periodo di soli 10 mesi, hanno portato il debito federale da un ammontare del 60% del PIL ad un enorme 80%. I consumatori statunitensi sono iperindebitati, e la crescente disoccupazione tra i lavoratori giovani metterà in crisi la previdenza sociale. In termini di tassi di crescita, la Cina salirà intorno al 7-8% quest’anno, l’India al 6% e l’Indonesia al 4%. Al contrario, utilizzando dati ufficiali largamente arrotondati per difetto, l’economia statunitense si è contratta nell’ultimo trimestre ad un tasso del 6,1% su base annua, quella europea ad un tasso del 9,6%, quella giapponese ad uno spaventoso tasso del 15%, qualcosa che somiglia molto al periodo del 1930. Gli Stati Uniti stanno avendo difficoltà a vendere il proprio debito a prezzi appetibili. Le ultime tre aste di buoni del tesoro sono andate male. Lo Stato più importante, la California, si sta avvicinando ad un collasso fiscale totale. Il budget per il deficit fiscale annuale statunitense è destinato a sorpassare la quota del 13% del PIL, livello visto per l’ultima volta durante la Seconda Guerra Mondiale. Diversamente da Stati Uniti ed Unione Europea, dove i governi sono senza soldi e senza nuove idee e stanno pregando affinché la cura funzioni, lo stato d’animo in molti di questi paesi rimane ottimista. Gli Stati Uniti rimangono certo il più ricco e potente Stato del mondo, soprattutto dal punto di vista militare. Ma potrebbe incappare
    in un declino irreversibile allo stesso modo dell’Impero Spagnolo nel XVI secolo e l’Impero Britannico nel XX.

 

  • Italia / USA. 18 giugno. Pressioni statunitensi per introdurre gli OGM. Lo lasciano intendere affermazioni del ministro dell’agricoltura Luca Zaia riportate da green planet. Intervenendo nella sede dell’Informatore Agrario a Verona, Zaia si è lasciato andare a una dichiarazione clamorosa: «La prima domanda che l’ambasciatore americano Ronald Spogli mi fa ogni volta che mi incontra a Roma è: Zaia, e gli OGM?». Green planet così le commenta: «Il che significa che Spogli sta facendo gli interessi delle multinazionali degli OGM mentre la signora Obama coltiva il suo orticello biologico nel giardino della Casa Bianca». Inoltre, ha lasciato intendere Zaia, gli USA vorrebbero avere il via libera agli OGM proprio in Italia senza tante limitazioni. Il ministro è contrario: per questo ha parlato di un’eventuale sperimentazione tutta italiana preliminare a un eventuale utilizzo, ma senza indicare scadenze. Secondo Zaia l’agricoltura italiana non dovrebbe fare a meno del settore biologico come nicchia di qualità, definendolo «irrinunciabile» ed auspicando che la sua presenza cresca.

 

  • Lettonia. 18 giugno. Riga in bancarotta smantella lo Stato sociale. Il parlamento lettone ha approvato ieri un drastico taglio al bilancio pubblico del 2009, pari a 700 milioni di euro come condizione per ricorrere ad una serie di prestiti internazionali. I tagli sono stati operati pressoché in ogni settore, compresi istruzione, sanità, pensioni e pubblica amministrazione. Sono stati licenziati un terzo degli insegnanti e decurtato il loro salario del 50%, tagliati i salari di poliziotti, infermieri e medici del 20%, decurtate le pensioni future del 70%, dimezzati i sussidi di disoccupazione. La disoccupazione è salita dal 6 al 17%. Il ministro della Sanità si è dimesso ieri, spiegando che con simili finanziamenti non sarebbe in grado di garantire i servizi ai cittadini. «I tagli al bilancio sono stati terribili», ha spiegato al Wall Street Journal una sindacalista. Per gli insegnanti «è in gioco la loro stessa sopravvivenza». I 1.7 miliardi di euro di fondi d’emergenza provenienti dalla Commissione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale dovrebbero tappare almeno in parte il grave “buco” dell’economia di Riga, che si è contratta del 18% nel primo trimestre del 2009.

 

  • Lettonia. 18 giugno. Senza prestiti internazionali, la Lettonia non potrà pagare già in agosto pensioni e salari per il pubblico impiego. Lo ha detto il primo ministro lettone Valdis Dombrovskis, assicurando che farà quanto è in suo potere per tagliare il più presto possibile la spesa statale. «È impossibile pensare che i politici di propria volontà taglino pensioni e salari, chiudano scuole ed ospedali. Ma quando la situazione del paese è così critica come adesso, il governo non ha alternative», ha aggiunto Dombrovskis, rimarcando di star attraversando uno dei periodi più duri della sua vita.

 

  • Lettonia. 18 giugno. Riga in crisi preoccupa Stoccolma: «Pronti al salvataggio delle nostre banche». Il sistema bancario svedese è strettamente legato a quello della repubblica baltica. Per questo il ministro delle Finanze del governo di Stoccolma ha ammesso due giorni fa in un’intervista rilasciata a Berlino che «sussistono seri rischi per noi». Istituti come la Swedbank AB e la SEB AB, che hanno in carico prestiti per 58 miliardi di dollari in Lettonia, temono perdite in grado di mettere in pericolo le proprie riserve di capitale.

 

  • Lettonia. 18 giugno. Il collasso della Lettonia, per altro già ampiamente annunciato, potrebbe generare una reazione a catena capace di coinvolgere l’intera Europa. È l’opinione degli analisti di RGE Monitor, il portale di indagine economica e finanziaria diretto dal docente della New York University Nouriel Roubini. Insieme alle altre repubbliche baltiche, la Lettonia guida idealmente la crisi finanziaria che da tempo sconvolge l’Europa orientale. Caratterizzata da economie fortemente dipendenti dal capitale estero, la regione sconta oggi il dramma della contrazione di liquidità delle banche “occidentali”. La riduzione dei prestiti ha scatenato un circolo vizioso che ha portato a un’impennata dell’indebitamento e, come in Ungheria, alla svalutazione delle monete locali. La caldeggiata adozione dell’euro si scontra con la difficoltà di mantenere il rapporto deficit/PIL in linea con i parametri di Maastricht. E siccome le obbligazioni statali trovano sempre meno acquirenti, il rischio di un effetto contagio nell’Europa occidentale, afferma RGE, è oggi sempre più concreto. Insomma, una situazione esplosiva che rischia di contagiare gli Stati confinanti e innescare un pericoloso effetto domino in un’area strategicamente importante come il Baltico.

 

  • Lettonia. 18 giugno. Riga come Buenos Aires. La politica di integrazione europea a tutti i costi, privatizzazioni, liberalizzazioni ed apertura dell’economia al capitale estero effettuati in nome del “Washington consensus” e l’aggancio all’euro del Lat con un margine di fluttuazione dell’1% rischiano di consegnare Riga tra le braccia di Vladimir Putin. Tre degli otto eurodeputati eletti dalla Lettonia sono dichiaratamente pro-Cremlino e provengono dalle file dell’ex partito comunista. Una volta la Lettonia era il prediletto degli investitori. Il boom economico, con la crescita a due cifre all’inizio di questo decennio, è stato accompagnato da squilibri massicci –un deficit corrente del 25% del PIL (tra i più alti al mondo) ed un carico di debito estero che ha raggiunto il 140% del PIL. Tanto che sul Daily Telegraph Ambrose Evans-Pritchard stilava uno spaventoso parallelo tra la situazione lettone e quella argentina del default.

  • Lettonia. 18 giugno. Anche Buenos Aires tra il 1999 e il 2000 poteva vantare un surplus commerciale ma la rivalutazione del dollaro (cui il peso era agganciato) devastò le esportazioni in Brasile ed Europa portando a una contrazione dell’economia su base annua del 5%: quest’anno quella della Lettonia si è contratta del 20%! La situazione uscì dai binari del controllo quando nel dicembre del 2001 il presidente Fernando de la Rua ordinò il blocco dei prelievi bancari, sia nelle filiali che nei bancomat: scioperi e manifestazioni di piazza divamparono in un istante trasformandosi in atti di vera e propria guerriglia urbana. Il 17 di dicembre de la Rua ordinò il taglio del 20% della spesa pubblica, esattamente quanto appena legiferato dal parlamento lettone. Il resto è storia: i peronisti pronti a sobillare le piazze, l’esercito che si rifiutava di agire senza il diretto ordine del congresso, de la Rua che indice lo stato di emergenza ma soprattutto 27 morti il 20 di dicembre nelle strade. Poi la resa: il presidente, costretto nella Casa Rosada da una folla inferocita, fugge all’estero con un elicottero militare, il paese conosce cinque presidenti in due settimane ma alla fine decide di convertire i mutui indicizzati in dollari –il 90% di quelli immobiliari– in pesos, consegnando ai creditori esteri un taglio del 70% ma dando respiro al Paese. Per evitare una svalutazione del 30% della sua moneta, Riga ha conosciuto un tasso “overnight” del 200% (il tasso al quale le banche prestano denaro per la durata massima di 24 ore) e la Banca Centrale lettone ha bruciato in una notte il 10% di tutte le sue riserve. Ora si spera che il sostegno di Fondo Monetario ed Unione Europea possa impedire un effetto domino a tutto l’Est, dove le banche europee sono esposte per 1.6 trilioni di euro.