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Dietro il dramma di Giovanni Battista e Salomé il conflitto inconciliabile fra due modi d'essere

di Francesco Lamendola - 24/07/2009



La vicenda di Giovanni il Battista e della principessa Salomé, per i suoi caratteri altamente drammatici e per il suo intenso valore simbolico, ha sempre colpito enormemente la fantasia dei lettori del passo evangelico ad esso relativo.
Come è noto, scrittori, drammaturghi, pittori, ne sono stati ispirati e ci hanno lasciato un numero impressionante di opere le quali, dai mosaici bizantini ai disegni allucinati di Aubrey Beardsley, testimoniano la ricchezza quasi sconcertante di uno dei temi più frequentati dell'arte occidentale, esteso lungo un arco di tempo di quasi due millenni.
Il conflitto tra l'austero predicatore ebreo e la sensuale e crudele figlia di Erodiade (nata dal primo matrimonio di lei), adombra uno scontro molto più profondo di quel che le circostanze contingenti, di natura politica e culturale, possono lasciar immaginare; poiché si tratta, in effetti, di uno scontro psicologico, morale ed esistenziale fra due caratteri opposti ed antitetici, fra due inconciliabili modi dell'essere.
Ecco come lo storico cattolico Giuseppe Ricciotti, nella sua celebre «Vita di Gesù Cristo», ha ricostruito quella oscura e sanguinosa vicenda («Milano, Mondadori, 1941, § 355; edizione 1974, vol. 1, pp. 391-93), che, secondo lo storico Flavio Giuseppe, avrebbe avuto luogo nella fortezza di Macheronte, presso la riva orientale del Mar Morto:

«Verso il tempo della missione dei dodici avvenne l'uccisione di Giovanni, forse tra il febbraio ed il marzo dell'anno 29.. Se egli era stato chiuso in prigione verso il maggio del 28, erano già passati una decina di mesi; ma ne sarebbero passati molti di più, se non fosse avvenuto un caso imprevisto. Antipa, infatti, s'intratteneva volentieri col venerato prigioniero e non voleva in realtà la morte di lui ("Marco", 6, 20, greco); la voleva invece Erodiade, l'uno e l'altra per i motivi che già sappiamo [ossia, la prima perché esasperata dai rimproveri del predicatore relativi al suo adulterio, essendo ella sposata con Erode Filippo, fratellastro di Erode Antipa; e quest'ultimo perché, oltre a provare un reverente interesse per il Battista, temeva la possibile reazione dei seguaci di quest'ultimo]. Nel contrasto tra i due, prevalse l'astuzia e il rancore femminile.
Erodiade, che stava in agguato, colse per agire l'occasione in  cui  Antipa festeggiava il suo giorno genetliaco. La festa era solenne, e vi erano stati invitati i maggiorenti della corte e dell'intera tetrarchia.: tutta gente autorevole e danarosa, ma provinciale e ansiosissima di tenersi al corrente nel conoscere ed ammirare le ultime finezze dell'alta società metropolitana. L'occasione era opportunissima per Erodiade, giacché aveva sotto mano il mezzo per far rimanere sbalorditi quei provincialoni e nello stesso tempo ottenere ciò che agognava: aveva presso di sé Salomé, figlia del suo vero marito di Roma, la quale nell'alta società dell'Urbe aveva imparato a ballare stupendamente, ad eseguire danze tali di cui quella gente grossa non aveva neppur l'idea. La madre risvegliò l'amor proprio della ragazzetta, e la ragazzetta messa sul punto si comportò egregiamente.
Introdotta che fu nella sala del gran banchetto al momento buono, quando i fumi del vino e della lussuria avevano già annebbiato i cervelli, la ballerina con le sue gambe piroettanti e lanciate in aria in tutti i sensi suscitò fra quegli imbambolati un delirio. Antipa ne fu addirittura intenerito. Con simili spettacoli la sua corte dimostrava di essere veramente "up to date", aggiornata, e superiore alle altre corti orientali; soltanto in essa si davano delle esibizioni che appena nella corte del palatino e in alcune delle più aristocratiche "domus" di Roma era possibile ammirare. L'infrollimento del monarca fu tanto, che fattasi venir dappresso la ballerina tuttora ansante e sudata le disse: " Chiedi quello che vuoi e te lo darò! - E per maggior solennità aggiunse alla promessa il giuramento: "Qualunque cosa (tu) mi chieda te la darò, fin la metà del mio regno!" (Marco, 6, 23).
Tra gli applausi frenetici dei convitati e le mirabolanti offerte del monarca la ballerina tornò ad essere inesperta fanciulletta, e si sarebbe forse smarrita: ma appunto questo momento delicato era già stato previsto dalla navigata madre, che le aveva dato consigli in proposito. Di quei saggi consigli materni si ricordò ella nel suo smarrimento, e subito riavutasi attraversò di corsa la sala per andare a consultarsi da sua madre, che teneva banchetto nella sala riservata alle dame:  Mamma, il re è disposto a darmi fin la metà del suo regno, e l'ha giurato pubblicamente. CHE COSA CHIEDERÒ?  ("Marco", 6, 24). La navigata femmina capì che il suo uomo era caduto in trappola, e quindi ch'ella aveva vinto. Rivolta allora alla ballerina, fra una carezza e l'altra, le disse recisamente: Lascia tutto il resto, che non conta, e chiedi una cosa sola: LA TESTA DI GIOVANNI IL BATTISTA! - L'adultera, per essere sicura nel suo adulterio, aveva bisogno dei servigi di una prosseneta e di un carnefice, ed affidava queste nuove incombenze all'inconscia sua figlia. Anche questa volta la ragazzetta si comportò egregiamente. ED ENTRATA SUBITO IN FRETTA DAL RE, CHIESE DICENDO: "VOGLIO CHE ALL'ISTANTE (TU) MI DIA SOPRA UN VASSOIO LA TESTA DI GIOVANNI IL BATTISTA!". E, PUR DIVENUTO AFFLITTISSIMO IL RE PER I GIURAMENTI FATTI E (PER) I COMMENSALI, NON VOLLE DARE A LEI UN RIFIUTO. E  SUBITO, INVIATO IL RE UN BOIA, ORDINÒ DI PORTARE LA TESTA DI LUI.  E IL BOIA, PARTITO, LO DECAPITÒ NELLA PRIGIONE,  E POIRTÒ LA TESTA DI LUI SU UN VASSOIO E LA DETTE ALLA RAGAZZETTA E LA RAGAZZETTA LA DETTE A SUA MADRE ("Marco, 6, 25-28). L'afflizione del tetrarca, che si ritenne impegnato dal giuramento fatto in presenza dei convitati, non impedì che tutto si svolgesse con la massima naturalezza, come se si fosse trattato di accontentare il capriccio di una bambina che desidera un frutto maturo pendente da un albero: si manda un servo a staccare il frutto per porgerlo alla bambina, come allora si mandò il boia a tagliar la testa a Giovanni per porgerla alla ballerina. Dalle mani della ballerina, a cui non interessava affatto, quella testa ancora calda e grondante sangue passò nelle mani della madre, a cui interessava moltissimo: secondo una tardiva notizia data da S. Girolamo, l'adultera avrebbe sfogato il suo odio forando con uno stiletto  la lingua di quella testa, come già aveva fatto Fulvia con la testa di Cicerone ("Ad Rufinum", III, 42). Più tardi i discepoli del martire riuscirono a recuperare la salma, e le dettero sepoltura.»

Secondo Reimar Banis, uno dei massimi esperti di medicina energetica e di psicosomatica in Germania e nel mondo, dietro questa tragica vicenda, che sembra scaturita dalle pagine di un racconto dell'orrore (tanto che alcuni storici l'hanno revocata in dubbio, ma con scarsi elementi a proprio favore) vi sarebbe, oltre alle ragioni politiche, una motivazione di fondo dovuta alla assoluta incompatibilità dei caratteri di Giovanni il Battista e della giovane Salomé (cfr. «Manuale di medicina energetica psicosomatica», Macro Edizioni, 2005, 2007, p. 208)
Banis non tiene conto del fatto che Salomé, secondo il racconto evangelico, non agisce di propria iniziativa, ma interamente manovrata dalla madre Erodiade, che ne stuzzica l'orgoglio di donna per servirsene come di una potente arma di pressione sulla debole volontà del tetrarca Erode Antipa (che era doppiamente adultero, in quanto già sposato con la figlia di Areta IV, re degli Arabi Nabatei). Tuttavia, dal punto di vista della sua interpretazione, essenzialmente psicologica, la cosa passa in secondo piano; e anche noi la lasceremo sullo sfondo, per concentrare la nostra attenzione sul conflitto di caratteri rappresentato dai due protagonisti della vicenda.
Innanzitutto, bisogna dire che per Banis i caratteri umani fondamentali sono quattro: schizoide, ossessivo, depressivo, isterico. I primi due sono essenzialmente di tipo maschile, gli altri due, di tipo femminile; e ciascuno è legato ad un determinato «chakra» (discorso che qui non approfondiremo, perché non essenziale alla comprensione del resto).
Il carattere schizoide è contraddistinto da una divaricazione irrimediabile tra la sfera dell'intelletto e quella delle emozioni; di conseguenza, il tipo schizoide (esempio classico: Napoleone Bonaparte) è tutto proteso ad imporre la propria volontà su un mondo che gli appare caotico, ostile e dominato dall'insicurezza e dalla malvagità degli uomini.
È un sobrio, un austero, che non si concede alcuna debolezza, ma che sente la propria vita essenzialmente come un dovere; vita della quale ha un concetto altamente drammatico. Le gioie che desidera assaporare, sono quelle legate al trionfo della propria intelligenza e della propria volontà, non all'appagamento dei sensi, che egli signoreggia inflessibilmente e che, anzi, considera espressione di un livello inferiore di esistenza.
Il carattere ossessivo e quello depressivo - che in questa sede ci interessano di meno - sono, rispettivamente, espressione del tipo sospettoso, insicuro, maniaco dell'ordine e della disciplina, il primo; del tipo ingenuamente sentimentale il secondo, che vorrebbe fidarsi ciecamente di qualcuno, ma che, ogni volta, ricava amare delusioni dal rapporto con il prossimo, cosa che lo spinge verso un cupo stato di depressione cronica.
Infine, il carattere isterico è contrassegnato da un incoercibile bisogno di esibirsi, di primeggiare, di essere amato e ricercato, senza però sentirsi mai interamente appagato e, perciò, portato sempre a reiterare ogni sforzo per piacere e per essere ammirato e desiderato. Ha il terrore dei legami stabili, in cui si sentirebbe imprigionato; e, come un eterno Peter Pan, svolazza da un fiore all'altro, sempre concentrato nell'impegno di riuscire irresistibile.
In tutto quello che fa, si porta sempre un poco al di sopra delle righe: non ha il senso della misura, non sa fermarsi, quando sente essere in gioco la propria capacità seduttiva. In pratica, ha bisogno d continue iniezioni di gratificazione esterna per rafforzare la propria autostima, che, nell'intimo, sente in continuo pericolo di vacillare.
Il tipo più caratteristico del carattere isterico è proprio la persona seducente, che gioca a fare la prima donna sempre ed ovunque: ha bisogno della luce dei riflettori per sentirsi vivo, per sentirsi bene con se stesso, quasi come il tossicodipendente ha bisogno della propria dose di droga, senza la quale il mondo gli pare un luogo orribile e intollerabile.
Da quanto si è detto, apparirà ormai chiaro come, per Banis, Giovanni il Battista (o il Battezzatore) e la giovanissima Salomé rappresentano realmente due caratteri assolutamente incompatibili, nel senso che il conflitto tra essi si pone come totale e non suscettibile di alcuna mediazione. Non si tratta, infatti, di un semplice conflitto tra diversi, ma tra opposti: opposti che vivono la presenza dell'altro come un attacco diretto e radicale non ai propri singoli comportamenti, ma al proprio modo di essere, ossia, in definitiva, al proprio «diritto» di esistere.
Anche se l'interpretazione di Banis, come quella di tutti gli psicologi, tende a dare un rilievo forse esagerato agli aspetti caratteriali e alle motivazioni inconsce dei comportamenti di un determinato fatto storico, ci sembra che esso abbia messo a fuoco un aspetto importante, e sovente sottovalutato, della conflittualità interpersonale: l'impossibilità di mediare i conflitti che hanno per oggetto non delle singole azioni, ma dei modi d'essere.
A molte persone sarà capitato almeno una volta nella vita, ma probabilmente più spesso, di venire aggredite, talvolta anche sul piano fisico, ma in genere su quello verbale, da individui quasi inspiegabilmente carichi di risentimento e di rancore, in una maniera che, a tutta prima, non può non lasciare alquanto sconcertati. Non ci riferiamo alle aggressioni estemporanee, dovute ad una aggressività che cercava solo il primo pretesto utile per scaricarsi su un qualsiasi capro espiatorio, magari un perfetto estraneo; ma a quelle che partono da persone conosciute, le quali hanno covato in silenzio, forse per anni, sentimenti fortemente ostili nei confronti del prossimo, e che ad un tratto s'infiammano, come se fossero animate dalla precisa volontà di distruggere letteralmente l'altro, di cancellarlo dal loro orizzonte esistenziale.
Nel loro furore, nella loro violenza, questi attacchi testimoniano l'esasperazione di chi si sente gravemente minacciato nella propria sfera più intima, e ritiene di dover lottare per la propria difesa e quasi per la propria sopravvivenza; questo è il loro tratto più caratteristico e meritevole di un minimo di approfondimento.
Infatti, se è vero - e la storia ce ne offre numerosi esempi - che non sempre il vero aggressore è colui che attacca per primo, è altrettanto vero che vi è qualcosa di profondamente paranoico nel comportamento di coloro che, ritenendosi attaccati, in realtà aggrediscono delle persone dalle quali non hanno ricevuto alcun torto, se non forse, tutt'al più, una tacita disapprovazione o una silenziosa indifferenza.
La personalità isterica e la personalità schizoide sono assolutamente incompatibili, perché il loro modo di porsi rispetto alla vita esclude che possano trovare un reciproco «modus vivendi» che sia, non diciamo soddisfacente, ma anche solo tollerabile. Non esiste, quindi, un terreno neutrale sul quale la loro conflittualità reciproca possa avere tregua; non c'è alcun «angolo morto» ove possano passare inosservati l'uno agli occhi dell'altro.
Per il carattere schizoide, la sola esistenza dell'isterico è fonte di disgusto e di disprezzo: tutto quello che esso fa, tutto quello che dice e perfino quello che non dice, lo irritano e quasi lo indignano oltre ogni dire. Per lui, abitante delle profondità, è assolutamente inconcepibile che vi siano delle persone che vivono solo per mettersi in mostra, per sedurre, per giocare con le emozioni epidermiche del prossimo.
È chiaro che, a questo riguardo, si può intravedere, nella reazione del tipo schizoide davanti al tipo isterico, un elemento di auto-repressione sessuale: è abbastanza verosimile, infatti, che egli detesti proprio quel fascino da cui si sente segretamente turbato; di più: quel fascino che suona per lui come una sfida alla sua visione seria e drammatica della vita e che, quindi, scuote sino alle fondamenta il suo modo d'essere, puritano e spregiatore della esteriorità.
I sentimenti che la presenza del tipo schizoide suscita nel tipo isterico, d'altra parte, sono, se possibile, ancor più agitati e rabbiosi: non è un caso che il «duello» ingaggiato fra i due opposti caratteri psicologici sfoci sovente, come nell'esemplare vicenda di Giovanni il Battista e di Salomé, nel cruento trionfo del secondo e nella disfatta, almeno esteriore, del primo.
Quello che l'isterico percepisce, nell'atteggiamento dello schizoide nei propri confronti, è una riprovazione che va molto al di là dei propri concreti comportamenti; è una negazione di tipo radicale, quasi metafisico, che investe la totalità del suo essere, senza salvare assolutamente nulla. L'isterico avverte, con le sue antenne infallibili (come tutti i narcisisti che vivono all'insegna dell'esibizionismo, egli possiede una sensibilità quasi medianica a tale riguardo), che fra sé e l'altro non possono attuarsi compromessi di alcun genere, e che l'ubica legge possibile è quella dei gladiatori nell'antica Roma: «mors tua, vita mea».
Ora, siccome l'isterico è abituato a cercare l'ammirazione e l'approvazione degli altri, in genere possiede una rete di contatti sociali che lo mette automaticamente in posizione di vantaggio rispetto allo schizoide, sdegnosamente introverso e solitario; per lui, sarà un gioco da ragazzi quello di mettere tutti contro il suo «nemico», calunniandolo implacabilmente. Se Robespierre ben rappresenta il tipo schizoide, è Madame Tallien il perfetto prototipo del carattere isterico, che riesce a coalizzare tutta la Convenzione contro un uomo grande, ma sostanzialmente solo.
Non che il tipo isterico sia sempre rappresentato da una donna e quello schizoide sempre da un uomo; tuttavia, questa è la regola. Naturalmente, il tipo isterico può essere un uomo (con spiccate tendenze psicologiche femminili) che si sente «trascurato» e vilipeso da un maschio di tipo schizoide, e reagisce con rabbia non solo al rifiuto totale implicito nel modo di essere dell'altro, ma anche alle sue proprie pulsioni omosessuali. È già accaduto molte volte, e continuerà ad accadere, come possiamo attestare per averlo osservato con la massima chiarezza.
Pertanto, al di sotto della palese incompatibilità fra questi due caratteri, esiste anche, o almeno può esistere, una segreta attrazione, in genere dell'isterico verso lo schizoide (perché quest'ultimo, nella sua autonomia, è più virile), ma talvolta anche dello schizoide verso l'isterico (perché quest'ultimo, nella sua capacità seduttiva, sa essere molto femminile).
Giunti a questo punto, possiamo domandarci come si possa, eventualmente, uscire dal vicolo cieco rappresentato dalla conflittualità radicale esistente fra questi due tipi umani.
La vita è già abbastanza impegnativa per suo conto, senza bisogno che gli esseri umani si logorino e si esasperino mediante tensioni, collere e rancori, che contribuiscono ad inquinare l'atmosfera spirituale nella quale noi tutti viviamo, e che, di riflesso, coinvolgono anche molte altre persone, oltre ai diretti protagonisti del conflitto.
Ancora una volta, la via d'uscita esiste, ma è lunga e faticosa: e consiste nell'abitudine allo scavo interiore, alla diuturna ricerca della propria verità intima, alla capacità di leggere nel profondo di se stessi, per riconoscere la vera natura dei propri sentimenti e delle proprie emozioni e per cercare delle soluzioni costruttive ai propri disagi interiori.
Coloro i quali scaricano tutta la propria rabbia contro un soggetto esterno sono degli immaturi i quali si illudono che, una volta distrutto il proprio antagonista, troveranno la pace e il benessere. Questa è, un po', la psicologia dei terroristi suicidi: uccidendo il nemico, in qualche confusa maniera essi pensano di trovare un sollievo ai propri conflitti interiori, e non si rendono conto che il conflitto interiore può essere superato solo e unicamente mediante un paziente, coraggioso ed onesto lavoro su se medesimi: non certo partendo per una crociata senza quartiere contro qualche supposto nemico esterno.
Il vero nemico della nostra pace interiore si annida nelle profondità del nostro essere: chi non ha il coraggio di guardare in faccia questa semplice, elementare verità, non troverà mai la strada giusta per comporre, o anche solo per lenire, la propria sofferenza interiore. Continuerà a scaricare all'esterno la propria collera e la propria frustrazione, in una spirale distruttiva senza fine e senza alcuna possibilità di redenzione.
«Nosce te ipsum», «Conosci te stesso»: oggi come ieri, come sempre, è questa la via maestra per il superamento dei conflitti interiori, per realizzare il progresso spirituale, per costruire la condizioni che rendano possibile il conseguimento della pace, del benessere, della gioia vitale.