«… e la lor cieca vita è tanto bassa che 'nvidïosi son d'ogni altra sorte»
di Francesco Lamendola - 19/08/2009
Così descrive gli ignavi il gran padre Dante, nei versi 46-48 del terzo canto dell'«Inferno»:
«Questi non hanno speranza di morte,
e la loro cieca vita è tanto bassa,
che 'nvidïosi son d'ogni altra sorte».
Queste parole, così crudamente realistiche e così spietatamente vere, ci tornano alla mente ogni qualvolta ci capita d'imbatterci, non volendo, in quella esiziale forma di bassezza umana che consiste nel covare gelosamente il proprio orticello culturale, la propria immagine deformata di sé, la propria illusione di grandezza, tenendosi pronti a scattare come vipere non appena si abbia la sensazione, a torto o a ragione (di solito a torto), che qualcosa o qualcuno minaccino quel comodissimo «particulare», mettano in forse quelle misere certezze prefabbricate.
Talvolta è stata la boria professorale di qualche barone universitario, magari divenuto tale a forza di leccare gli stivali del suo predecessore, e che è partito all'attacco, ciecamente e a lancia in resta, di colui che, oltretutto privo del pedigree accademico, aveva osato invadere la sua proprietà riservata, il suo campicello coltivato con sospettosa diffidenza e considerato, ormai, proprietà sacra e intangibile; qualche barone, diciamo, totalmente disinteressato alla libera e franca discussione, totalmente infastidito dalla prospettiva di potere o dovere tener conto di altri punti di vista, di altre visioni del reale, e unicamente concentrato nell'esercizio logorroico e maniacale di un soliloquio erudito nel quale chiunque altro, prima di avventurarsi, deve chiedere umilmente il permesso e fare pubblico atto di sottomissione a quel tremendo signore feudale.
Individui che si trincerano dietro l'alibi della scientificità della ricerca e che tutto ciò a cui mirano, in realtà, è difendere ciecamente, contro tutto e contro tutti, la propria riserva di caccia; che non sono disposti a scendere dalla loro amata cattedra mai e poi mai, per nessun motivo, perché, se lo facessero, sembrerebbe loro di abbassarsi al livello dei comuni mortali, del «vulgo odioso et inimico», come lo definitiva il loro grande capostipite, il barone cortigiano per antonomasia, messer Francesco Petrarca; che non sono mai stati sfiorati in vita loro, neppure una volta, dal sospetto che forse, dopotutto, la vera università non è quella industria pseudoculturale che rilascia i diplomi di laurea, ma la vita, la vita vera e vissuta, con i suoi dolori e le sue difficoltà, con la sua saggezza e la sua ansia di verità e di bellezza.
Altre volte sono stati colleghi invidiosi e malevoli, divorati dalla gelosia, ma, in realtà, tarlati nel profondo dalla mancanza di autostima; e, più in generale, persone assolutamente incapaci di guardarsi dentro con un minimo di onestà intellettuale e spirituale, di leggere nelle proprie miserie e debolezze: e ben decise, al contrario, a costruire l'intera loro esistenza sotto le bandiere della rivincita, del rancore, della malevolenza, particolarmente contro quanti intuiscono essere loro di gran lunga superiori, non tanto per ragioni contingenti, professionali o culturali, ma proprio sul terreno della capacità di mettersi in discussione; di farsi umili davanti al mistero del mondo; di seguire con fedeltà la propria chiamata; di leggersi dentro senza sconti e senza ipocrisie; di lavorare incessantemente su se stessi per migliorarsi, affinarsi, perfezionarsi.
Persone che si credono vive, mentre sono già in avanzato stato di putrefazione spirituale e morale; persone sopravvissute alla rovina della propria dignità, della propria trasparenza, della propria autenticità; persone che, per cibare l'orgoglio del proprio cadavere, hanno sempre bisogno di un nemico contro il quale scagliarsi, di qualcuno con cui venire a contesa, di un capro espiatorio sul quale riversare tutta la loro frustrazione, la loro rabbia impotente, la loro intima disperazione di anime perdute.
Un caso abbastanza tipico è quello di quanti esercitano una forma di potere o di autorità legale; di quanti, da una posizione di forza, lavorano presso un ufficio pubblico; di quanti indossano una divisa, solo per nascondere la loro insufficienza e per prendersi una effimera rivincita sul prossimo: una rivincita che non sarebbe alla loro portata, mai e poi mai, se dovessero misurarsi con la vita ad armi pari, e rinunciare all'effimera superiorità conferita loro da circostanze puramente esteriori, e che poco o nulla hanno a che fare con il loro autentico valore di esseri umani.
È noto che l'imbecille in uniforme è un tipo umano estremamente caratteristico; anche se va aggiunto, subito dopo, che non è assolutamente vero che tutti gli individui in uniforme siano degli imbecilli: niente affatto; ma è un dato incontrovertibile che l'uniforme, e specialmente i gradi cuciti su di essa, costituiscono il guscio ideale per tutti quei molluschi che hanno bisogno di sentirsi dei leoni, ma senza fare troppa fatica e senza esporsi al benché minimo rischio.
Poi, in una categoria a parte, o in una sottocategoria a parte, bisognerebbe mettere le donne (con buona pace del dilagante servilismo nei confronti di una cultura femminista sempre più logora e ipocrita): quelle donne, precisamente, che cercano nell'uomo solamente il trastullo della propria vanità più banale e grossolana, pronte e disposte a servirsi di qualunque mezzo, pur di riuscire a strappare una nuova conquista, che gratifichi il loro ipertrofico ego e le aiuti a cullarsi ancora un poco nella dolce illusione della propria potenza e irresistibilità.
E sia chiaro che, fra esse, le peggiori non sono quelle che giocano, per così dire, a carte scoperte, gettando sul tavolo della partita la propria avvenenza, vera o presunta, e la propria capacità di sedurre, sul piano puramente sensuale: perché quelle, almeno, non pretendono di essere altro da ciò che sono; e, non fosse altro che per questo, meritano un certo grado di rispetto.
Nossignore: le peggiori sono quelle che mascherano lo stesso identico desiderio, dietro una facciata di pretese culturali e persino spirituali; che parlano di viaggi interiori, di percorsi di conoscenza, di esigenze durevoli dell'anima: ma che, in realtà, tutto quello che vogliono è di rigirarsi l'uomo - non un uomo qualsiasi, ma quello che sentono essere loro superiore, appunto sul piano della coerenza esistenziale e della ricerca spirituale - fino al punto di vederlo in propria balia e, con un sorriso di trionfo, aggiungerlo all'elenco delle loro pretese «vittorie».
Questo tipo di donna, così come il corrispondente tipo di uomo, è una creatura del fango, che ha fatto della propria vita un impegno indefesso non già per tirarsene fuori e portarsi sul terreno asciutto, ma per trascinare in basso, ancora più in basso di sé, gli altri; e che gode particolarmente se vi riesce proprio con quelli che, con infallibile intuito, avverte appartenere all'altra grande razza umana: quella di coloro che sono disposti e decisi a lottare per trarre fuori dal fango se stessi e, se possibile, in un secondo tempo, anche i propri simili più vicini.
Aggiungiamo che non è cosa semplice esprimersi in questi termini, perché la cultura del sospetto di freudiana memoria, nella quale noi tutti, figli della modernità, ci troviamo impantanati, vorrebbe che un simile giudizio si ritorca immediatamente contro colui che ha osato pronunciarlo, almeno dal punto di vista della maggioranza. «Ecco, è chiaro - bisbiglieranno le creature del fango, con le palpebre ricoperte da uno spesso strato di mota - che costui, per parlare in questo modo, chissà quante esperienze negative avrà fatto, chissà quante volte sarà caduto: e ora vorrebbe venderci queste pillole di saggezza, solo per addolcire le proprie sconfitte e la propria amarezza!».
No, creature del fango: il vostro ricatto non ci fa né caldo né freddo; e non ha alcuna importanza quello che voi pensate, perché soltanto chi si sente inadeguato, ha vergogna di riconoscere che qualcuno gli ha rubato il portafoglio; e, per non passare da ingenuo, proclama fin dall'alto dei tetti che i ladri, in città, non esistono, ma soltanto le persone oneste.
Ma colui che possiede un animo abbastanza forte da poter riconoscere di aver subito un furto, non esiterà a mettere in guardia i propri concittadini contro la presenza dei ladri che si aggirano per le strade e sulla piazza, nel giorno di mercato, con l'intento di rubare il portafoglio al maggior numero possibile di persone.
Beninteso, quello che abbiamo descritto è il tipo femminile inferiore (apparentato, già lo abbiamo detto, con un analogo tipo maschile: per quanto, di virile, quest'ultimo non possieda proprio un bel nulla); ma vi sono anche delle donne magnifiche, che nell'uomo cercano il vero completamento e che sono capaci a far dono della parte migliore di sé; ma, purtroppo, sembra che il tipo inferiore si stia oggi diffondendo in maniera vertiginosa, con la deplorevole velocità di una infestazione di organismi parassiti delle colture.
Un altro gruppo di infelici è costituito da coloro i quali si atteggiano eternamente a vittime: vittime degli altri, vittime della società, vittime della sfortuna, vittime del destino. Si tratta, sovente, di persone costituzionalmente incapaci di essere felici, e che fanno tutto ciò che sta in loro per rendere infelici quanti le circondano o vivono insieme a loro.
Autentici vampiri psichici, tutti protesi a succhiare le forze vitali del prossimo, riescono sempre a trovare la parola molesta che semina il dubbio, che diffonde il sospetto, che avvelena anche le gioie più pure e disinteressate; nulla li può soddisfare, perché hanno deciso, una volta per tutte, che la vita è il regno del male, e che niente mai potrà loro capitare di buono o di bello.
Di conseguenza, vivono nell'eterno timore che altri possano trovare qualche fonte di piacere o di serenità, cosa che guasterebbe il godimento della propria amarezza e del proprio rancore universale, che è tutto ciò di cui hanno bisogno per effettuare una buona digestione e per godersi lo spettacolo del mondo nelle migliori (si fa per dire) condizioni di spirito. L'esistenza di una persona serena, o addirittura felice; l'esistenza di una persona soddisfatta di sé, e sia pure senza compiacimento e senza arroganza, smentirebbe clamorosamente la loro teoria nichilista: dunque, essi devono assolutamente fare in modo che ogni serenità si trasformi in angoscia, che ogni felicità si muti in cupa desolazione.
È la loro ragione di vita, la loro missione: una missione alla rovescia, ma pur sempre una missione. E l'essere umano, come è noto, non potrebbe in alcun modo affrontare la fatica di vivere, se non possedesse almeno degli obiettivi negativi davanti a sé, posto che non sappia o non voglia perseguire quelli positivi.
Più in generale, tutti questi tipi umani che abbiamo menzionato, ed altri ad essi simili, hanno una caratteristica in comune: quella di aver sostituito il proprio desiderio abortito di eccellere - abortito per mancanza di talento, o di costanza, o di serietà di vita - con il desiderio, altrettanto furioso e incoercibile, di sprofondare in basso coloro i quali essi sospettano essere invece in grado, almeno potenzialmente, per trasformare se stessi in ricercatori delle altezze, in pionieri della verità interiore, conquistata a duro prezzo e pagando sempre di persona, in moneta sonante.
Si tratta, alla lettera, di poveri indemoniati: di individui, cioè, che hanno venduto la propria anima al diavolo dell'infelicità, dell'invidia e del rancore, e che vivono per augurare e, se possibile, per provocare il male degli altri, nella forma più estesa possibile.
La loro, beninteso, è una battaglia persa: perché, se è in loro potere di trascinare in basso, nel medesimo fango in cui giacciono sprofondati, gli individui strutturalmente simili a loro, o, comunque, privi di discernimento, volontà e buone disposizioni spirituali, sono però del tutto impotenti a distogliere dalla via i veri ricercatori spirituali, coloro i quali sono riusciti a raggiungere, a prezzo di duri sforzi, le regioni superiori dell'anima.
Possono, questo è vero, molestarli e tormentarli in vario modo, e ci mettono tutto l'impegno e tutto lo zelo di cui sono capaci, con una tenacia ed una perseveranza realmente degne di una miglior causa; ma non possono fare molto di più, e questo lo sanno oppure lo intuiscono segretamente; e ciò li rende ancora più incattiviti, rancorosi e vendicativi.
Si dice che il Diavolo, essendo impotente a colpire in profondità uomini santi, come il famoso Curato d'Ars, si sfoghi a molestarli sul piano più grossolano dell'esistenza, ossia quello materiale, con ogni sorta di colpi e di dispetti: misera e sterile soddisfazione, che è, al tempo stesso, una confessione di totale e irrimediabile sconfitta.
La grande legge dell'evoluzione spirituale, infatti, è questa: nessuna anima che si trovi, per sua ignavia e viltà, nei regni spirituali inferiori, sarà mai in grado di sviare un'anima la quale, procedendo con purezza d'intenti e con retto giudizio, sia riuscita ad accedere alle regioni superiori, e sia pure a quelle meno elevate. Un'anima evoluta può, a determinate condizioni, aiutare un'anima meno evoluta a progredire; ma quest'ultima non è in grado di arrecare danni permanenti alla prima, se non su di un piano meramente fisico ed esteriore. Per il resto, riuscirà a turbarla e, forse, a farla soffrire, così come Giuda, con il suo tradimento, provocò turbamento e dolore nell'animo di Gesù Cristo; ma niente di più. Non si tratta di un turbamento irreparabile, né di un dolore capace di annullare le precedenti conquiste spirituali.
Giunti a questo punto, potremmo domandarci come ci si debba regolare quando si incappa in codesti vampiri psichici, in codesti denigratori della vita, in codesti indemoniati, bramosi unicamente di danneggiare e di abbassare il prossimo.
Crediamo che il giusto atteggiamento dovrebbe essere, piuttosto che l'ira o lo sdegno, la compassione: perché si tratta, come già abbiamo detto, di anime perse, ossia di anime che hanno scelto, deliberatamente, di perdersi, avendo individuato nella propria perdizione - e, per quanto sta in loro, in quella degli altri - la via più facile da percorre, la più comodo e la più piacevole. Il che equivale a riconoscere che si tratta di creature profondamente meritevoli di compassione, per quanto sgradevoli, e perfino pericolosi, possano essere i loro atti. Tuttavia, in definitiva, esse trovano già in sé il proprio adeguato castigo: che è, appunto, quello di precludersi, scientemente e pervicacemente, il cammino verso la luce e la liberazione, ossia l'unica strategia che potrebbe trarle fuori dalla sofferenza in cui giacciono.
Certo, si tratta di persone che hanno, talvolta, il potere di arrecare un grave danno all'insieme del corpo sociale, dal momento che la folla è gregaria, e, nella sua pigrizia e stoltezza, è propensa ad ascoltare molto più volentieri la voce di questi disperati, di questi falliti, di questi indemoniati, che quella delle autentiche guide spirituali.
Non bisogna, d'altra parte, sopravvalutare la loro capacità di nuocere: perché ciascuno riceve, in fondo, solo quel che desidera ricevere, ciò per cui è spiritualmente pronto; e nessuna verità è in grado di cambiare positivamente la vita delle persone, se non viene ricercata ed accolta con un moto sincero e spontaneo dell'animo; altrimenti, anch'essa finirebbe per degenerare nella più abietta menzogna. Per la stessa ragione, nessuna menzogna è in grado di cambiare negativamente la vita di alcuno, se questi non è disponibile a darle il proprio assenso.
A ciascuno, dunque, la sua parte; a ciascuno il suo sentiero.
Solo al termine del viaggio si potrà vedere chiaramente chi avrà camminato a vuoto, e chi sarà giunto alla meta.
Solo allora potremo riconoscere e distinguere, separandoli nettamente nel nostro giudizio - come è giusto e necessario -, i veri amici da quelli falsi; i veri maestri, dai cialtroni; i veri iniziati, dai tristi seminatori di scandali e di discordie.