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Lo sapevate? La “verde” Cina può fare a meno del petrolio. E si prepara allo scacco matto

di Mauro Bottarelli - 01/09/2009



Come spiegavo in un precedente articolo, il mercato delle commodities appare un vero e proprio rompicapo. Infatti, nonostante l’Ice di Londra, il mercato della City dove si trattano i futures sul petrolio statunitense, abbia trovato l’accordo con l’ente di vigilanza Usa affinché smetta di funzionare come una dark pool per squeezes e corners e sia obbligata a tracciare e comunicare le operazioni che in essa vengono compiute (ridicolo nel ridicolo, però, ad oggi il personale addetto a tale operazione è di quattro persone), nessuno sa spiegarsi perché, nonostante la ripresa industriale latiti, il petrolio punti diretto verso quota 80 dollari al barile.

Persino a BlackRock, hedge fund dove certo la parola speculazione non scandalizza nessuno, fanno notare che si sta continuando con lo short covering, ma che il range tra 60 e 80 dollari prefissato per stabilizzare le economie sta virando secco verso il punto massimo: «Nonostante alcuni paesi emergenti chiedano energie, un prezzo a 80 dollari potrebbe creare qualche problema», ha dichiarato Bob Dole, capo dell’investment di BlackRock sempre alla Cnbc. Anche perché altrove, per l’esattezza in Cina, la vecchia dipendenza dai combustibili fossili sta per essere battuta con passi da gigante che noi, sonnolenta Europa ma anche l’America, nemmeno immaginiamo.

Pechino sta infatti “scappando” verso il traguardo dell’energia verde come fonte primaria, conquistando il primo posto per quanto riguarda il tasso di conversione del fotovoltaico salito al 15,6% del totale energetico, ma i tre giganti del settore - Suntech Power, Trina e Yingling - intendono arrivare a quota ancora superiore entro il 2012, anno in cui si intende abbattere del 70% il costo di un watt grazie alle nuove tecnologie basate sull’utilizzo di cadmio telluride. Inoltre, entro il 2020 nasceranno nuove turbine eoliche per il controvalore energetico di 100 gigawatts.

Insomma, la Cina ha trovato il mondo di investire le proprie riserve e la propria manbassa di commodities - soprattutto metalli preziosi e scientificamente strategici - per spezzare il nodo che la lega all’oro nero, alle sue fluttuazioni speculative e alla dipendenza unica. Se andrà avanti di questo passo diverrà davvero il gigante in grado di dominare il mondo: indicizza già i commerci nella sua moneta con tutti i paesi dell’Asia - tranne il Giappone -, si prepara a mettere con le spalle al muro gli Usa rispetto alla gestione del loro debito e ora si lancia sul mercato strategico delle energie alternative dicendo addio a possibili ricatti di Opec, Russia e speculatori di ogni razza e paese.

Sarà anche in crisi - e lo è - ma è destinata a uscirne più forte di prima. Anche perché capace di investimento e attivismo che stanno spazzando via la concorrenza nel settore. I pionieri tedeschi Solarworld e Conergy hanno chiesto l’intervento dell’Ue affinché denunci il dumping messo in atto dalla Cina e dalla sue aziende, i cui progetti saranno coperti per metà dell’investimento dal potente portafogli del ministro delle Finanze cinese.
A Ubs l’analista strategico Patrick Hummel non ha dubbi: «Un gran numero di produttori tedeschi di cellule solari e moduli solari non sopravviverà». E parliamo di un indotto che dà lavoro a 75mila persone e poco tempo fa era leader al mondo. La Q-Cells sta già tagliando le linee di produzione e 500 licenziamenti sono già stati annunciati a Thalheim, vista la scelta di spostare gli impianti in Asia: detto fatto la sempre previdente e rapida Goldman Sachs ha infilato il titolo della compagnia nella lista della “convinction sell”, quelle da vendere subito.

Qualcuno a Bruxelles sta preoccupandosi per caso di questo e di altro che accade nel mondo mentre ancora noi ci arrovelliamo con la ratifica dell’ormai inutile Trattato di Lisbona da parte di un paese in default tecnico? Riflettiamoci…