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Recessione finita? Caro Bernanke, negli Usa c’è chi dice no

di Mauro Bottarelli - 17/09/2009

 

Come volevasi dimostrare, il G20 di Pittsburgh sarà l’ennesima photo opportunity per i grandi della terra, ma non servirà a nulla se non a buttare al vento qualche miliardo di dollari in organizzazione e sicurezza. La bozza, di fatto resa nota ieri, parla di mantenimento degli sforzi fino alla ripresa e di norme vincolanti sui bonus. Ovvero, altro denaro a pioggia che gonfierà bolle già ben pasciute e inutili manovre populistiche che non faranno altro che ottenere l’effetto contrario a quanto desiderato.

Complimenti. E complimenti anche al commissario Ue agli Affari economici e monetari, Joaquìn Almunia, che ieri ha dichiarato al Parlamento europeo che «non si possono sottrarre gli stimoli troppo in fretta a un'economia che ha ancora le stampelle ma non si possono neanche mantenere troppo a lungo, per evitare di creare le condizioni che hanno portato alla bolla speculativa». Come dire, la pioggia è una rottura di scatole ma anche il troppo caldo dopo un po’ stanca: ecco chi governa le politiche economiche dell’Ue.

«Spero che i temi in agenda al vertice sfocino in un accordo» ha dichiarato ancora Almunia, in particolare per quanto riguarda «il coordinamento delle principali economie mondiali, che deve proseguire definendo strategie d'uscita e i tempi della loro applicazione in modo coordinato». Ci stanno, vi stanno, prendendo sonoramente in giro. Come d’altronde ha fatto l’altro giorno Ben Bernanke, capo della Fed e persona affabile: peccato per un paio di difettucci, veste in maniera impresentabile e soprattutto dice le bugie.

Quando infatti Bernanke ha dichiarato al mondo che «la recessione è finita» ha soltanto cercato di mandare un segnale tranquillizzante, ma ha mentito. Il credito Usa, infatti, si sta contraendo a livelli ben peggiori della Grande Depressione e i principali analisti a stelle e strisce parlano di una recessione a doppia cifra nel futuro prossimo del paese.

Il professor Tim Congdon dell’International Monetary Research ha detto chiaro e tondo che i prestiti delle banche Usa negli ultimi tre mesi si sono contratti del 14%, un qualcosa che non succedeva appunto dai tempi della Grande Depressione e che «sta creando un folle circolo di distruzione dei bilanciamenti monetari nel paese».

La massa monetaria M3 è crollata di oltre il 5% e stando a quanto valutato da David Rosenberg, capo analista alla Gluskin Sheff, le quattro settimane che hanno portato al 24 agosto hanno portato con sé qualcosa di addirittura epico, ovviamente in negativo: ovvero, credito bancario a un -9% su livello annuale, la massa monetaria M2 contratta del 12,2% e quella M1 del 6,5%. «Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra mondiale abbiamo deflazione nel credito, nei salari e negli affitti: è una situazione a dir poco tossica», ha sentenziato Rosenberg.

Uno dei principali motivi scatenanti di questa situazione è la montante pressione presso le banche affinché aumentino i ratios di capitale, un qualcosa di sacrosanto in tempi di boom economico, ma non in tempi di recessione. «Rendere le banche più sane in momenti simili ha il perverso effetto collaterale di far saltare i bilanci di capitale, rafforzando così le forze deflazionarie. Per il prossimo anno dobbiamo attenderci una recessione a doppia cifra», ha concluso Tim Congdon. Insomma, più che ripulire i bilanci per Congdon occorre evitare di gettare soldi e anzi far ritrovare al denaro valore e farlo crescere.

Non la pensa così il numero uno del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss-Kahn, che ieri svegliatosi dal torpore garantitogli da questi mesi di prestiti a pioggia e denaro stampato come nelle cantine dei falsari, ha sentenziato che «alcuni paesi asiatici stanno guidando la ripresa mondiale, che però resta debole. L'economia mondiale ha iniziato la ripresa. I dati più recenti confermano la stabilizzazione economica globale. Alcuni paesi hanno addirittura ripreso a crescere. L’Asia è più avanti di altri su questa strada ma la situazione sta migliorando anche negli Usa e nell'Europa occidentale. Tuttavia la ripresa resta fragile. La domanda privata è debole, le tensioni finanziarie pesano sui consumi e la disoccupazione continuerà a crescere per un po'. Le nostre previsioni non prospettano una recessione a doppia V. L'economia mondiale si riprenderà alla fine del 2010».

Insomma, l’Asia - cioè la Cina - cresce e questo potrebbe essere un volano per la ripresa, la quale però resta debole ma non andrà incontro a contrazioni a doppia V. Purtroppo, come dimostrano invece le analisi di Congdon e Rosenberg, non solo la recessione sarà a doppia V ma coinvolgerà l’America in maniera devastante: questo non può che portare a un’unica conclusione, ovvero che la Cina non sarà volano per il semplice fatto che renderà sempre più drastica la sua operazione di diversificazione attraverso gli investimenti interni e non l’export, le fonti energetiche rinnovabili e non il petrolio, le riserve auree e monetarie in euro e yen e non più in dollari e soprattutto il graduale , ma netto, sganciamento dal ruolo di sostegno del debito Usa attraverso l’acquisto a pioggia di bonds.

È il nuovo ordine che si prospetta all’orizzonte e, ad occhio e croce, i temi posti in agenda del G20 non paiono all’altezza della gravità di questa situazione: peccato che nessuno sembri voler disturbare il manovratore e tutti plaudano alla ghigliottina verso i bonus dei banchieri. Fosse quello il reale problema, ci sarebbe davvero da tirare un sospiro di sollievo.