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Presso la limpida corrente del fiume, nel silenzio luminoso del primo mattino

di Francesco Lamendola - 30/09/2009


Quando l’anima è ammalata di tristezza, tormentata da pensieri cupi e da preoccupazioni d’ogni genere, esiste un rimedio che non costa nulla, non richiede lunghe sedute da qualche venale e presuntuoso medico della psiche e, meno ancora, l’uso o l’abuso di farmaci, che dovrebbero fare per noi quel che non sappiamo fare per noi stessi.
Basta alzarsi presto al mattino, scendere in riva al fiume e contemplare lo spettacolo dell’acqua limpida che scivola mormorando verso la sua meta lontana; basta avere occhi capaci di vedere e non solo di guardare distrattamente; basta avere l’anima aperta alla bellezza incomparabile del nuovo giorno che sorge.
E non è una medicina da ricchi: è una cosa che si può fare benissimo prima di andare al lavoro, se appena si ha la fortuna di abitare un po’ fuori dal traffico e dal cemento; la si può fare anche andando al lavoro, pur che ci si levi un’ora prima che automobili e rumori comincino a far velo all’incanto della natura.
Di primo mattino, specialmente nella bella stagione, c’è qualcosa di benefico e amichevole nell’aria: si respira a pieni polmoni la gioia e lo stupore di un nuovo inizio, di un ridestarsi delle correnti vitali che, la notte, si erano raccolte in se stesse. Un gatto che attraversa il sentiero e un merlo che canta sui rami del nocciolo, offrono il cordiale benvenuto al passante non frettoloso, e paiono augurargli il buongiorno.
A oriente, il cielo è solcato di cirri che solcano l’azzurro con i loro delicatissimi ricami e disegnano uno scenario incomparabile attorno al Sole che sorge, mentre questo diffonde un chiarore dorato al di sopra delle chiome dei platani.
È uno spettacolo solenne, commovente, che solo la forza dell’abitudine ci ha portati a considerare abituale, fino al punto di non farci più caso. La verità è che nessun imperatore può disporre a suo piacere di una tale meraviglia, che si offre spontaneamente, quando essa lo vuole, anche al più misero degli uomini.
Ancora pochi passi sotto le fronde dei salici piangenti, nell’erba rorida di rugiada, ed eccoci in riva al piccolo fiume, che scorre incassato tra due alti argini rivestiti da una fitta vegetazione di alberi e arbusti: sono acacie e noccioli, pioppi bianchi e carpini, dai tronchi in gran parte avvolti di edera selvatica, e nel cui fogliame si destano centinaia di uccelli, riempiendo l’aria di un festoso cinguettio.
I ciottoli della riva sono lisci e levigati come dall’eterna carezza di una mano amica; piccoli mulinelli e cascate in miniatura rompono l’uniformità della corrente, levando una voce ora più grave, ora più acuta, che l’acqua ripete sempre uguale.
Ma no a mano che il sole si innalza, sulla superficie appena increspata si forma un complesso e stupendo ricamo di macchie di luce alternate a zone di fresca ombra, a seconda che i raggi trovino una via per penetrare attraverso il fitto fogliame ancora di un bel verde smagliante, come se questa calda estate non volesse decidersi a finire mai.
In controluce, con il riflesso del sole che strappa alla corrente delle piccole increspature luminose, la superficie dell'acqua appare in perenne movimento, come se la percorresse un debole fremito, dolce e continuo, o come se una mano invisibile muovesse lievemente la superficie di uno specchio, con ritmo uguale e tranquillo, con un effetto ipnotico.
Pace e silenzio; riflessi di luce; il mormorio dell'acqua che si frange contro le rocce affioranti: tutto l'insieme è una rivelazione di bellezza, di grazia, di vita; una rivelazione che scende sino alle fibre più riposte dell'anima.
Qui, all'ombra degli alberi, davanti al fluire della corrente cristallina, con le macchie luminose di tarassaco e di altri fiori selvatici che ingentiliscono le sponde e introducono una nota di allegria, si potrebbe credere che non siamo alle soglie dell'ottobre, ma ancora in piena estate o, addirittura, alla fine della primavera. Tutti i colori sono ancora così freschi e brillanti, che la natura sembra avere indossato l'abito più sontuoso delle grandi occasioni, per allietare questo inizio di autunno che ha il languore di una donna stesa sulla sabbia, dopo una lunga nuotata nel mare.
Ammirando le luci e le ombre, ascoltando la voce argentina dell'acqua, sentendo la carezza frizzante dell'aria sulla pelle, si ha la netta sensazione che ogni cosa sia proprio così, come dev'essere; che tutto sia pacificato e risolto; che non vi sia bisogno di domandare nulla, perché la Risposta è già qui, adesso, dispiegata innanzi a noi.
Tutta l'inquietudine si placa, davanti allo spettacolo di un fiume che scorre nella luce del mattino, immerso nel verde e sovrastato da un cielo azzurro e senza nubi; spettacolo in apparenza comunissimo, ma, in realtà, prezioso ed eloquente a chi lo sappia vedere nella sua reale dimensione, più di un intero trattato di filosofia.
Nessun libro, nessun sapere cartaceo potrebbe competere con la tranquilla evidenza, con la superba consapevolezza di questo corso d'acqua che se ne va per la sua strada, sicuro e misurato come un atleta fidente in se stesso, come un sapiente i cui occhi si siano liberati dalla benda delle illusioni e delle false credenze.
No: nessun sapere astratto potrebbe reggere il confronto con la verità immediata del fiume che scorre limpido e argentino, cantando sui sassi della riva la sua canzone sempre uguale, eppure mai monotona o stancante.
Non è forse questa la pace, la pace dell'anima?
Non è forse in questo immergersi nelle cose, in questo aderire ad esse, in questo comprenderle nella loro intima essenza, amandole illimitatamente, senza giudicarle e senza  pretendere che esse siano in modo diverso da come  realmente sono?
Mentre lo sguardo si perde sulla superficie dell'acqua, appena increspata da mille minuscole onde, simili ad una rete lucida e impalpabile, un senso di perfetta armonia si diffonde nell'anima, e riduce al silenzio i mille rumori inutili di essa: speranze e timori, illusioni e amarezze, domande senza risposta e aspirazioni a beni irraggiungibili.
Chi lo dice che un fiume non è un essere vivente? Chi lo dice che in esso non vi è una sublime forma di sapienza, che noi umani dovremmo prendere ad esempio?
Esso non si agita, non smania, non si tormenta con vani pensieri, con inutili rimpianti, con indomabili desideri; non si oppone alla corrente della vita, ma docilmente l'asseconda, vi si lascia trasportare come una docile fibra.
Certo: ogni tanto s'impenna; gonfio d'acque fangose, irrompe con forza tremenda e sale fino a lambire la sommità degli argini. Allora, fa paura: nella sua corsa selvaggia, trascina con sé tutto quello che ha strappato dalle rive. Guai a chi tentasse di opporglisi, in quei momenti: la sua forza indomabile lo spazzerebbe via.
Ma sono furie momentanee, e non durano mai a lungo; sono eccessi di irruenza giovanile, quando giorni e giorni di pioggia, sulle montagne, ne hanno gonfiato il corso oltre misura, sino a trasformarlo in un flusso potente e inarrestabile di pura energia. Bisogna lasciarlo sfogare, e aspettare che passi; rientrerà da se stesso nel suo alveo normale., ritroverà il suo colore limpido e la sua placida bonomia abituale.
La natura non va mai presa sottogamba.
Anche l'animale più mite, se messo alle strette, può diventare estremamente pericoloso; anche la montagna più facile, se percossa dalla bufera, può trasformarsi in una trappola mortale. Siamo noi gli ospiti e, in un certo senso, gli intrusi: la nostra presenza è soltanto tollerata, purché la nostra attitudine sia contemplativa e non manipolatrice.
Per il pescatore, il fiume è soltanto una fonte di trote da prendere all'amo; per il cacciatore, la boscaglia che ne ammanta le rive è il rifugio ideale della selvaggina da abbattere, col fucile spianato: senza occhi per la bellezza, senza orecchi per udirne la canzone.
Tuttavia, se sappiamo porci in contemplazione e in ascolto, senza nulla voler pretendere e senza voler dominare, la natura ha degli autentici tesori da offrirci: tesori di bellezza e di sapienza che non hanno prezzo, perché eccedono la logica del profitto materiale.
Un fiume che scorre limpido nell'aria chiara del mattino, non è soltanto un essere vivente che ha molte cose da insegnarci, o una sorgente di bellezza e di armonia, capace di ispirare la mano di un pittore o i versi di un poeta. Esso è molto di più: una metafora della vita, una fonte di perenne saggezza e di limpido insegnamento.
Anche noi, come lui, corriamo verso il mare; anche la nostra vita, come la sua, è chiazzata di ombre e luci, ora riscaldata dai raggi del sole, ora immersa nella fresca oscurità; anche noi, di tanto in tanto, ci gonfiamo di ire subitanee, per poi rientrare in mi stessi; e, talvolta, ci svuotiamo di forza vitale fino quasi all'esaurimento.
Un essere umano amareggiato e disilluso è simile ad un fiume disseccato, rimasto all'asciutto, con gli ultimi pesci che si contorcono vanamente in qualche minuscola pozza d'acqua, in attesa della fine inevitabile.
Anche noi, da bambini, corriamo e saltiamo sulle strade della vita, pieni di stupore e d'incanto, come il giovane torrente che non si stanca di misurare le proprie forze, correndo giù per la valle superiore, fra rocce e boschi di montagna; poi, raggiunta l'età adulta, il nostro passo si fa tranquillo e regolare, come il corso del fiume quando scende in pianura.
A partire da quel momento, anche se sappiamo di avere ancora molta strada davanti a noi, una certezza si fa strada, sempre più chiara e ineludibile: siamo avviati verso la fine del nostro cammino.
Che cosa sarà di noi, quando getteremo nel mare le nostre acque, non sapremmo dire con certezza, per quante ipotesi e congetture possiamo avere fatto. Saremo ancora noi, o scompariremo per sempre? Nessuno può dirlo; nessuno è ritornato per raccontarcelo. O forse sì; ma noi non abbiamo inteso, il suo linguaggio era straniero ai nostri orecchi.
Ora, siamo come quel fiume: chi più vicino, chi più lontano dalla foce; ma tutti stiamo correndo in quella direzione, e tutti - chi prima, chi dopo - vi giungeremo.
Forse, tutto quello che conta è di non perdere i propri sogni; di saper conservare in noi, anche quando saremo ormai in vista della grande distesa del mare, qualche frammento luminoso di quelle rocce e di quei boschi di montagna, che hanno allietato le rive della nostra infanzia.
Non esiste la vecchiaia, se non in senso puramente biologico. Dal punto di vista spirituale, gli esseri umani appartengono a due sole categorie, ben distinte l'una dall'altra: quelli che sono sempre rimasti giovani dentro, perché pieni di stupore e d'incanto per la bellezza del mondo; e quelli che si sono arresi ai giorni vuoti e alla sterile amarezza del disincanto.
Ripetiamo un concetto già tante volte espresso: un uomo, una donna, possono conservare un fascino avvincente anche in età avanzata, se hanno saputo preservare in se stessi il fuoco dell'entusiasmo e la purezza del cuore. Per quante rughe l'età, i dispiaceri e le preoccupazioni possano aver scavato sui loro volti, esse non toglieranno loro neppure un grammo di fascino, che si concentra nello sguardo e nel sorriso, semmai, lo faranno aumentare.
Il tramonto di una vita può accendersi di riflessi dorati, incantevoli quanto quelli dell'alba, e altrettanto carichi di suggestione.
In verità, i due momenti più affascinanti della vita umana sono proprio l'infanzia e la vecchiaia: in entrambi vi è il profumo dell'infinito. L'infanzia è ancora soffusa dello splendore dell'Essere, dal quale veniamo; l'età matura già presente il ritorno nel grembo dell'Essere, al quale aspiriamo.
Niente è più affascinante dello spettacolo di una bambina, ancora fresca e priva di malizia, perché inconsapevole della propria bellezza; e di una donna ormai matura, nuovamente fresca nonostante gli anni, perché libera da pericolose illusioni.
Il fascino della bambina è naturale, perché donatole spontaneamente dalla natura; quello della donna matura è, invece, il frutto conquistato dalla saggezza, che ha compreso quali siano le cose importanti della vita e ha saputo farne tesoro.
Il migliore augurio che si possa rivolgere ad un essere umano è proprio questo: di saper invecchiare con saggezza, con gratitudine, con benevolenza e stupita ammirazione verso l'incanto ineffabile del mondo.
Come il fiume che scorre tranquillo, nella luce chiara del mattino, mormorando sotto i raggi di sole che filtrano tra i rami.