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La comunità – l’unità chiave del cambiamento sociale

di Erik Assadourian - 29/03/2006

Fonte: utopieconcrete.it

 
 
Intervista realizzata da Karl-Ludwig Schibel a Erik Assadourian (*)

Domanda: Potrebbe darci una sintesi di come percepisce le tendenze globali di consumo dei carburanti fossili e il futuro delle energie rinnovabili?

Assadourian: Sono convinto che uno scenario realistico è che continueremo ad utilizzare carburanti fossili, anzi che ne diventeremo più dipendenti invece di allontanarcene. In parte questo ha a che vedere con l a struttura del sistema energetico esistente e i poteri economici in questo settore, con l’interesse delle grandi compagnie di mantenere il monopolio in queste industrie. Certo, potrebbero fare la transizione alle energie rinnovabili e posizionarsi come leader nel campo, ma la strada più facile e più redditizia è di continuare ad andare nella direzione in cui stanno andando. Uno scenario in cui vedo che le energie rinnovabili diventeranno una forza dominante è quello in cui sono pensabili come risultato dello sforzo di un movimento concertato della società civica che simultaneamente esercita pressioni sulla politica, sui governi del mondo e direttamente esercita pressioni sulle corporation chiedendo questa transizione verso un’economia di energie rinnovabili e un’industria meno energivora.

Domanda: Quindi non sarebbe una questione del petrolio che diventa più raro, dei prezzi che salgono, della situazione della sicurezza globale che diventa più minacciosa?

Assadourian: No, non penso. E’ vero che se i prezzi aumentano alcune energie rinnovabili ne trarranno vantaggio, quindi si allargherà il consumo del biodiesel, ma visto che il consumo di energia complessivamente cresce e i prezzi aumentano in modo da rendere redditizie anche estrazioni di petrolio che prima non lo erano, nuove forme di carburanti fossili riempiranno il vuoto, insieme al carbone, sia quello che artificialmente viene chiamata “clean coal” o il vecchio carbone normale.

Domanda: Lei parla di “artificialmente” perché dubita delle possibilità di rendere il carbone più pulito?

Assadourian: Ci sono due aspetti del carbone, i componenti tossici che vengono rilasciati nella combustione e tutto questo può essere abbattuto, alzando naturalmente i costi, ma per quanto riguard a la mitigazione dell’effetto serra non mi convince di sequestrare l’anidride carbonica, perché per quanto tempo sarà efficiente il sequestro del carbonio stoccato in una miniera dismessa? Per quanto tempo questo sarà al sicuro? Per 100 anni, per 500 anni? Prima o poi questa anidride carbonica uscirà, quindi il problema viene solo spostato.

Domanda: Questo suo scenario cosa significa per il cambiamento climatico?

Assadourian: Ci sono due scenari quello del business as usual dove i cambiamenti climatici veramente andranno fuori controllo e questo sicuramente non significherà che la gente avrà paura e smetterà di usare le energie fossili, ma che invece diventerà più dipendente da risorse territoriali, come per esempio il carbone. Dal mio punto di vista di cittadino americano posso dire che il nostro governo non sarà una forza propulsiva per un modello di energie rinn ovabili, salvo che la maggioranza dei cittadini americani cambieranno la propria posizione, per paura o per entusiasmo, sulle energie rinnovabili ed eserciteranno pressioni sul governo e sulle grandi imprese. Quindi la forza decisiva sarebbe un movimento globale dal basso.

Domanda: Rimaniamo con le grandi imprese. Lei giustamente dice che il sistema esistente è costruito sulle energie fossili e continuerà a sfruttare queste risorse. Nell’ultimo capitolo del State of the Word Report 2006 con il titolo “La scommessa delle corporation etiche” lei mette una speranza considerevole nel business come un partner indispensabile per un futuro energetico sostenibile. Una parte consistente del movimento ambientale avrebbe dei problemi a credere ciò. Le grandi imprese vivono sotto l’imperativo “crescere o morire”, devono fare un guadagno e quelle che lo fanno con l’immagine verde, come British Petroleu m, estraendo il petrolio recano dei danni ambientali altrettanto devastanti della Exxon. Che cosa significa poi se BP, una delle compagnie petrolifere più grandi del mondo, comincia ad usare nel marketing lo slogan “oltre il petrolio” e chiede in una delle sue pubblicità quanto è grande la sua impronta ecologica?

Assadourian: Significa che hanno un’eccellente agenzia di pubbliche relazioni! E’ giusto che vivano sotto questo imperativo, ma è anche giusto che il business sia indispensabile per un futuro energetico sostenibile, semplicemente perché ha tante risorse, ma non sono molto ottimista che saranno la forza propulsiva di questo processo. Però quando sono sotto pressione da parte dei loro stakeholders e da parte dei loro azionisti, quando i governi cambiano e se i governi cambiano le regole del gioco, questo poi produrrà i cambiamenti. Ci sono alcuni leader industriali che sicuramente fanno parte del processo verso un’economia sostenibile. Certo che BP fa le sue campagne pubblicitarie a favore dell’ambiente per evitare di diventare bersaglio delle organizzazioni non governative nella denuncia delle imprese per i loro comportamenti anti-ecologici e anti-umanitari con azioni spettacolari, come per esempio incatenarsi alle porte della loro sede principale. Si tratta, se vogliamo, di un tipo di assicurazione. Ma il tutto non si limita a ciò, BP ha comprato anche delle compagnie che producono collettori solari, quindi fanno qualche passo via dal fossile anche con dei profitti nel settore del rinnovabile.
Guardiamo l’esempio della GE (General Electric), la nona più grande corporation a livello mondiale. Nel 2004 ha lanciato il suo progetto “ecomagination” con l’impegno di investire, nei prossimi cinque anni, un 1,5 miliardi di dollari in tecnologie ambientali e di ridurre le emissioni di gas serra, entro il 2012, dell’1%. Il movente dell’impresa è esplicitamente economico: entro il 2010 prevede di avere dei ricavi intorno ai 20 miliardi di dol lari dalla costruzione di turbine di gas ad un elevato rendimento ed altri prodotti “verdi” tipo locomotive ibride diesel/elettriche. Se guardiamo il mondo del business ci sono diverse forze propulsive che nella mia valutazione però complessivamente non basteranno per fare il cambiamento. Ci vuole di più, cioè le pressioni da parte di stakeholders. In questo contesto i movimenti sociali hanno un ruolo chiave.

Domanda: Sicuramente siamo d’accordo in questa enfasi sul ruolo del movimento dal basso solo che in Europa una parte del movimento sicuramente a lei porrebbe la domanda: è veramente il caso di concentrare le nostre energie cercando di essere il bastone o la carota per le grandi imprese o non concentrare la nostra energia ad esercitare pressioni sulla politica e a costruire un altro mondo a un livello locale, territoriale?

Assadourian: Mi piace questa domanda se l’obiettivo non dovrebbe essere di mettere le comunità locali in grado di cos truire sistemi energetici territoriali in piccole unità decentrate o se dovremmo concentrarci sulle grandi compagnie. Sono convinto che questi sono due lati della stessa medaglia, non tutte le organizzazioni non governative si sentono a loro agio nel cercare di esercitare delle pressioni sulle grandi imprese e fare delle manifestazioni per strada e altre hanno grandi capacità di lavorare dentro le comunità locali. Penso che tutti e due gli approcci sono essenziali per esercitare delle pressioni sulle grandi imprese e per portare avanti i processi nelle comunità locali, principalmente per tre ragioni:
Più viene rafforzato il potere economico locale, più diminuisce il potere economico delle grandi imprese transnazionali. Relocalizzando la nostra economia diventiamo più dipendenti dall’agricoltura sul luogo, dagli impianti eolici e dai collettori solari che sono o di proprietà della comunità o di gruppi di individui organizzati come cooperative. Tutto questo diminuirà il potere delle grandi imprese.
In una cultura individualista noi spesso vediamo l’individuo come agente del cambiamento sociale, ma penso che qui c’è un problema perché l’individuo singolo è spesso sotto molte più pressioni e non dispone di una rete di sostegno. Una comunità è l’unità chiave per il cambiamento sociale, sono le comunità che cambiano e cambiando imparano che stanno meglio con un’economia localizzata, hanno meglio da mangiare a causa dell’agricoltura locale, si abbassano le bollette e hanno a disposizione più tempo.
Nel caso dello scenario peggiore, se dovessimo veramente entrare in una nuova età buia con i sistemi ambientali intorno a noi che si stanno indebolendo. Questo non mi piace come argomento e sicuramente non è una forza principale per la costruzione di comunità sostenibili.

Domanda: Quindi lei vede un ruolo complementare tra rafforzare le comunità locali ed esercitare press ione sulle imprese transnazionali?

Assadourian: Sì, assolutamente.

Domanda: Possiamo dire che il suo modello è che nel medio andare avremo una interazione tra un’economia che va avanti a forza del mercato e un pubblico di stakeholders che agiscono sulla base di valori?

Assadourian: Direi un’economia ecologica del mercato insieme ad un pubblico motivato da valori. Questo modello potrebbe funzionare se la maggior parte dei costi ecologici fossero internalizzati ai costi dei beni economici: il costo del carbonio, il costo dei rifiuti tossici che vengono prodotti e tutti gli altri effetti secondari che attualmente rimangono completamente fuori dai calcoli dei costi.

Domanda: Il mercato potrebbe essere un meccanismo valido nella misura in cui i costi ambientali attualmente esterni vengano internalizzati?

Assadourian: Si, penso che il mercato potrebbe funzionare se l’input e l’output fossero accurati, in questo momento non sono corretti.

Domanda: E qual è la sua valutazione, in questo contesto, del commercio delle emissioni come uno strumento per combattere i cambiamenti climatici?

Assadourian: Penso che abbiamo bisogno di ogni strumento di cui disponiamo, l’emission trading ha molti problemi tra di loro che gli Stati Uniti non vi partecipa, il che è una grande distorsione del processo, inoltre  il prezzo del carbonio è basso; il clean development mechanism non funziona del tutto accuratamente però penso come principio è una buona idea, è un modo di internalizzare dei costi dei cambiamenti climatici, in modo che l’uso delle energie fossili diventa più costoso in paragone al sole o al vento. Se si potesse far funzionare questo commercio sarebbe una buona cosa.

 


 (*) Erik Assadourian
Erik Assadourian, dopo gli studi di psicologia e antropologia, ha lavorato come ricercatore in India e nel campo della cooperazione nella Repubblica Dominicana. In seguito è stato organizzatore ambientale con il “U.S. Public Interest Research group”, impegnato nella sicurezza chimica e il rapporto tra sostanze tossiche e salute. Dal 2002 è ricercatore al World Watch Institute di Washington ed è stato co-direttore del “State of the World 2005”. Le sue aree di special izzazione sono: sicurezza globale, consumo, responsabilità sociale delle imprese, comunità sostenibili e cambiamento culturale. Ha pubblicato numerosi articoli, in particolare sulle minacce dalla nostra cultura consumistica; è a sua firma il capitolo conclusivo del “State of the World 2006”, “La scommessa delle corporation etiche”, Edizioni Ambiente.