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I “moderati” promettono al popolo per mantenere il proprio status quo. In altre epoche finirono ghig

di Carlo Gambescia - 27/09/2005

Fonte: lineaquotidiano.it

I “moderati” promettono al popolo per mantenere il proprio status quo. In altre epoche finirono ghigliottinati
Compromessi & Co.

Carlo Gambescia

Moderati, moderatismo. Basta aprire qualsiasi
dizionario di politica per scoprire
che nessuna voce è dedicata all’argomento.
Grande peso è invece attribuito
al riformismo. E ciò non deve stupire,
dal momento che il riformismo è di solito
giudicato benevolmente dai politologi. È visto come una
sintesi politica, resa necessaria dalla moderna divisione tra
destra e sinistra, scaturita dalla rivoluzione francese e che si
è consolidata nell’Ottocento: la destra si oppone al cambiamento,
la sinistra vuole cambiare tutto, il riformista punta
invece sul compromesso tra le idee degli uni e degli altri.
E i moderati? Durante la rivoluzione si assunsero l’onere i
girondini, tutti giornalisti e avvocati al servizio di una
nascente borghesia provinciale: prima misero sotto accusa il
re, perché ne ostacolava l’ascesa, poi tentarono di salvargli
la testa, affinché difendesse i privilegi della neoborghesia da
cui provenivano. Nessuno li ascoltò e finirono quasi tutti
ghigliottinati. Salvo poi tornare dopo la morte di Robespierre,
i sopravvissuti, sui banchi della Convenzione, ovviamente
ancora in cerca di buoni affari. Di qui la cattiva fama
del termine. Ma cerchiamo di essere più chiari.
In primo luogo, il riformismo è un compromesso finalizzato
alle riforme mentre il moderatismo è un compromesso
rivolto alla conservazione dello status quo. Un errore che
spesso si commette è quello di identificare da un lato riformismo
e democrazia e dall’altro moderatismo e antidemocrazia.
In realtà, riformismo e moderatismo non appartengono
a un sistema politico particolare: sono fenomeni trasversali
e ciclici. Napoleone condusse a termine, con grandi
riforme, l’opera della rivoluzione
francese (ad esempio la codificazione
legislativa). Cavour,
grazie all’invenzione del
centro politico, pose le basi
dell’unificazione. Mussolini
mediò per più di vent’anni
tra fascismo moderato e radicale,
riuscendo così ad attuare
notevoli riforme. De Gasperi, col
suo “centrismo riformista”,
favorì il
successivo sviluppo
economico. Per
contro, il “riformismo”
di Napoleone,
Cavour, Mussolini e
De Gasperi, venne
travolto, oltre che da
errori, limiti interni e cattiva fortuna, anche da “controondate”,
più o meno lunghe, di moderatismo. La Francia
postnapoleonica, esaurita dalle guerre, penserà solo ad
arricchirsi. L’Italia del dopo Cavour, piena di debiti, punterà
prima sulla “lesina” (con la destra storica), poi su sperperi e
corruzione (con la sinistra depretisiana), e infine sul clericalismo
(con Giolitti). Ma quella di sprofondare nel moderatismo
è una sorte toccata anche l’Italia del dopo Mussolini e
De Gasperi. Con Moro Fanfani, Andreotti Craxi, Prodi,
Berlusconi e Fini si è avuta solo una politica segnata da
grandi annunci, ma da pochissime riforme. Come prova il
pietoso stato in cui tuttora versano ospedali, scuole, università
e altri servizi pubblici.
In secondo luogo, va distinto il moderatismo politico, come
ideologia, dal moderatismo elettorale o sociologico. In
genere la stragrande maggioranza delle persone è sfavorevole
a mutamenti troppo
radicali: vuole soprattutto
sicurezza. E di solito, le
rivoluzioni scoppiano
solo quando il consenso
si è dissolto per ragioni
economiche (tassi elevati
di disoccupazione e
povertà), politiche
(costante indebolimento
della catena di comando),
sociali (crescita di una
criminalità diffusa), culturali
(progressivo isolamento
delle élite). La
vera arte, o quintessenza
del moderatismo ideologico,
è trovare il giusto
punto di equilibrio tra
promesse non mantenute
e conservazione di un
minimo di consenso sociale. Oggi si punta sulla paura del
ceto medio di impoverirsi, ma anche su aspettative di
miglioramento. In questo senso il moderatismo ha bisogno
di tassi di sviluppo anche modesti, ma costanti. Solo così
può consentire ad alcuni di conservare privilegi, anche
minimi, e a tutti gli altri di sperare di ottenerne ottenerne,
grazie alle promesse di futuro benessere.
Fino a quando? Probabilmente fino alla prossima crisi economica,
che i prezzi petroliferi in ascesa preannunciano
molto seria. Insomma, il moderatismo vive e muore di economia.
Ma se cadono i nostri girondini, dove sono i riformisti,
quelli veri, in grado di sostituirli? Purtroppo, come la
storia insegna, appaiono, solo dopo che i rivoluzionari hanno
tagliato qualche testa…