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A proposito di libertà di informazione…

di Stefano Di Ludovico - 02/11/2009

Fonte: giornaledelribelle

E’ del 3 ottobre scorso la tanto celebrata manifestazione per la libertà di informazione, che ha visto scendere in piazza a Roma circa 300.000 persone. Tra i principali sponsor dell’iniziativa il quotidiano La Repubblica, sedicente vittima del presunto attacco del premier Berlusconi alla libera stampa, e un gruppo di giornalisti - i vari Travaglio, Colombo, Padellaro - che in quegli stessi giorni, sempre in nome della libertà di informazione a loro dire in pericolo nel nostro paese, davano vita ad nuovo quotidiano, Il Fatto. Il 22 dello stesso mese, sempre su Repubblica, compariva, in prima pagina, questo titolo: “Lo sterminio degli ebrei è una leggenda. Prof. negazionista, shock alla Sapienza”. Ci si riferiva ad Antonio Caracciolo, ricercatore di filosofia del diritto presso l’ateneo romano, accusato, nel relativo articolo annunciato in prima pagina, di sostenere su alcuni suoi blog tesi “negazioniste”, ovvero tesi che negano la realtà storica dell’Olocausto. Apriti cielo: la rivelazione di Repubblica dava la stura a tutta una serie di reazioni indignate, presto riprese un po’ da tutti i quotidiani e i mezzi di informazione nazionali, da quelle del rettore della Sapienza, il prof. Luigi Frati, che assicurava l’apertura di rapide indagini a carico di Caracciolo, a quelle del sindaco di Roma Alemanno e del presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, d’accordo nel chiedere immediati provvedimenti contro il malcapitato ricercatore, ritenuto ormai inidoneo a svolgere attività di insegnamento in una delle più prestigiose università italiane.

In realtà – e basta dare un’occhiata al principale blog di cui il ricercatore incriminato è animatore, http://civiumlibertas.blogspot.com, per rendersene conto – Antonio Caracciolo non è affatto un “negazionista”, né in generale uno storico, ma un filosofo del diritto, che ha deciso di fondare una “società virtuale”, appunto la Civium Libertas, che si batte per la libertà di pensiero e di informazione, di tutti i pensieri e di tutte le informazioni, offrendo così la possibilità anche a quegli storici cosiddetti “negazionisti” – a cui in molti paesi europei è fatto divieto di divulgare le loro tesi – di pubblicare sul suo blog i loro scritti, senza prendere alcuna posizione in merito, non avendo, come da lui più volte ribadito, competenze specifiche in materia. Visto ciò, quella scatenata da Repubblica e dagli altri giornali altro non è stata che una vera e propria campagna di disinformazione, prossima alla diffamazione, campagna a cui non si è sottratto il neonato Fatto, anch’esso in prima linea nel chiedere alle autorità della Sapienza la testa di Caracciolo. Secondo i corifei nostrani della libertà di informazione, dare ospitalità su un proprio blog ad autori negazionisti equivale ad esserlo, così come equivale ad essere, secondo una pretestuosa quanto abusata equazione che solitamente viene fatta risuonare in simili circostanze, “antisemita”, altra infamante accusa mossa a Caracciolo da parte dei suddetti corifei.

Come noto, attorno alla questione del “negazionismo” è in corso una querelle che dura ormai da decenni. In molti paesi europei, come ricordato, è fatto divieto di pubblicare tesi negazioniste, e molti sostenitori di tali tesi hanno subito procedimenti giudiziari e pene detentive (celebre è stato il caso dello storico inglese David Irving). Anche in Italia, a più riprese, si sono levate voci a favore dell’introduzione di misure simili. In nome di una distorta quanto malcelata “ragion di stato”, si è dunque arrivati, nel continente culla della libertà di pensiero, ad instaurare una sorta di “storiografia di stato”, per cui la verità storica è di fatto sottratta alla ricerca e fissata, una volta per tutte, dai governi e dai tribunali: come in Turchia è vietato affermare la realtà storica del genocidio armeno, in alcuni paesi europei è vietato negare la realtà del genocidio ebraico. Così, mentre si è liberi di affermare o negare la realtà di qualsiasi evento o figura storica – vi sono storici che negano la storicità di personaggi quali Gesù Cristo, Socrate, Buddha senza per questo essere perseguitati, ingiuriati o messi al bando dal consesso scientifico – sull’esistenza delle camere a gas si deve essere tutti d’accordo, per legge. Mentre in merito a tutti i fatti della storia - e non solo - è attraverso la libera lettura, la libera informazione che ogni cittadino può e deve farsi un’opinione, in merito ai fatti della seconda guerra mondiale la verità è data ufficialmente dallo Stato. Ma se non si è liberi di esprimere, leggere e valutare tesi anche controcorrente sull’argomento in oggetto, quindi anche le tesi “negazioniste”, non si vede proprio come ci si possa fare un’opinione in merito, anche per giudicare dell’eventuale inconsistenza delle tesi suddette. Perché tali tesi non possono essere valutate liberamente, come avviene in relazione ad ogni altra controversia storiografica o scientifica? Solitamente si dice che le tesi negazioniste sono prive di qualsivoglia fondamento, e che i loro sostenitori sono mossi in realtà da altri inconfessabili fini: bene, se così è, perché non smascherarli attraverso un pubblico dibattito, attraverso un contraddittorio dove non potrebbero che uscirne, a sentire i loro detrattori, con le ossa rotte? Il tappare loro la bocca per via giudiziaria, quasi ad instaurare una novella Inquisizione, non rischia di sortire, anche a voler prendere le parti dei sostenitori delle ragioni proibizioniste, l’effetto opposto, ovvero far nascere il sospetto, presso l’opinione pubblica, della plausibilità delle loro tesi e, per contro, della fragilità degli assunti dei loro avversari nel caso di un dibattito aperto?

Ernst Nolte, universalmente riconosciuto come uno dei più grandi storici viventi del fenomeno fascista, nella stessa opera, Controversie, in cui afferma perentoriamente che “le prove sulle quali la bibliografia ufficiale si basa per l’esposizione e l’interpretazione della ‘soluzione finale’ o ‘Olocausto’ sono schiaccianti”, definisce Carlo Mattogno, il principale “negazionista” italiano, “uno scienziato serio”; quello stesso Carlo Mattogno i cui scritti, tra gli altri, Caracciolo si è reso colpevole per i redivivi inquisitori nostrani di pubblicare sul suo blog! Se uno storico del calibro di Nolte non ha avuto remore a misurarsi con i negazionisti, non si vede perché mai essi non possano essere pubblicati e letti da tutti, perché tutti possano farsi un’opinione ponderata sull’Olocausto e giungere eventualmente alle stesse conclusioni a cui è giunto il grande storico tedesco. Ma quanti, tra i giornalisti che si sono lanciati a testa bassa contro Caracciolo, hanno davvero letto i testi di Nolte, di Mattogno e di tutti gli altri storici “seri” dell’Olocausto? Questi giornalisti, che come spesso i giornalisti sono soliti pontificare su tutto come fossero onniscienti, sono tutti consumati storici o parlano solo per sentito dire? Addirittura del “caso Caracciolo” si è parlato anche nel rotocalco popolare di Rai Uno “Uno Mattina”, il cui pubblico non pare certo di quelli avvezzi alle diatribe storiografiche, dove a dare man forte agli ospiti - tra cui il già citato rettore della Sapienza Frati - nell’opera di vero e proprio linciaggio mediatico a cui è stato sottoposto Caracciolo ci si sono messi gli stessi conduttori del programma, ovvero Michele Cucuzza, noto giornalista di cronaca rosa, ed Eleonora Daniele, showgirl ex del Grande Fratello, conduttori sulle cui competenze in materia storiografica è lecito nutrire qualche dubbio!     

A volte, si sostiene che, al di là delle questioni storiografiche, nel caso dell’Olocausto c’è di mezzo una tragedia ancora troppo viva nella coscienza europea, e che le leggi proibizioniste si giustificano a partire dal rispetto che si deve alle vittime e ai sopravvissuti di quella tragedia, vittime e sopravissuti che non potrebbero non sentirsi offesi dalle tesi negazioniste. Tale argomento appare alquanto paradossale: a parte il fatto che i negazionisti non negano di certo né le persecuzioni né i morti che tali persecuzioni hanno causato, ma unicamente le modalità delle stesse, per caso i miliardi di cristiani che sono nel mondo dovrebbero sentirsi offesi da quegli storici che negano la storicità di Cristo? E i buddisti da chi nega la storicità del Buddha e noi tutti occidentali da chi nega quella di Socrate visto che questi è universalmente considerato il padre della filosofia occidentale? E seppure così fosse, può essere questo un buon motivo per mettere il bavaglio alla ricerca storica?

La verità, come dicevamo, è che ben identificabili e neanche troppo inconfessabili ragioni politiche sono alla base di tali restrizioni all’elementare diritto alla libertà di espressione, libertà ampiamente garantita in tutti i campi in Occidente, tranne in quelli politicamente “scottanti”. E così nella nostra tanto onorata “società aperta” ognuno è libero di dire quello che vuole, di scrivere ciò che più gli aggrada; le vetrine delle nostre edicole, gli scaffali delle nostre librerie e i blog della nostra rete sono pieni delle pubblicazioni più varie, bizzarre ed insensate; ognuno può liberamente credere a quello che vuole: che Gesù non è mai esistito, che le creme di Vanna Marchi aiutano a dimagrire, che i marziani ci osservano e sono prossimi a sbarcare sulla Terra; solo mettere in dubbio le camere a gas non può essere lecito. Antonio Caracciolo, finora semisconosciuto ed anonimo ricercatore di filosofia del diritto, si ritrova così al centro di una bufera mediatica sconcertante e spropositata, “mostro” di turno sbattuto in prima pagina, la prima pagina di giornali, come Repubblica e il Fatto, scesi in campo lancia in resta a difesa di quella libertà di pensiero a loro dire seriamente minacciata nel nostro paese; quella libertà che da sempre per gli apologeti e i cani da guardia del “pensiero unico” occidentale in altro non consiste che nella libertà di pensarla come loro.