Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / I colori (dell'economia ecologica) maturano nella notte (della crisi)

I colori (dell'economia ecologica) maturano nella notte (della crisi)

di Alessandro Farulli - 12/11/2009

 

 

Scriveva l'immortale Alda Merini che "I colori maturano la notte". Nella ‘notte' dell'economia, la grande crisi, sono maturati il verde e il blue. Di ‘green economy' si stanno colorando le pagine dei giornali, di blue economy ne (ri)parla Gunter Pauli oggi su Nova, allievo di Aurelio Peccei, promotore come noto del Club di Roma. Il verde e il blu, come combinazione di colore non reggono, uno vicino all'altro invece creano un "freddo insieme armonico".

Facile la metafora della necessità di entrambi i ‘colori' per mitigare il riscaldamento globale, che però regge nella sostanza. Non per Pauli, che li pone uno contro l'altro quando parlando di green economy sostiene che : «E' un sistema di produzione più costoso per aziende e clienti: ha un mercato reale che non supera l'1% della popolazione globale». Sostenibilità, aggiunge Pauli, «significa rispondere ai nostri bisogni con ciò che abbiamo: gli ecosistemi funzionano con le risorse disponibili». Da questo concetto l'idea di blue economy, in tutto 100 esempi, che «hanno dimostrato la loro efficienza» e che «se fossero adattati globalmente, sarebbero in grado di offrire occasioni di lavoro a cento milioni di persone».

Qualche esempio? L'uso già in fase avanzata di sperimentazione (dal 1998) dell'alga Spirulina platensis, che ha ben quattro funzioni in una: alimento, combustibile, concime e materia prima. Oppure la seta dei ragni Nephila che pare sia più forte del titanio e che viene già impiegata per le suture delle operazioni chirurgiche. Certo, pare difficile immaginare questi progetti su scala mondiale, soprattutto a breve termine, ma è una strada; e soprattutto l'idea di fare con ciò che si ha, quindi anche senza mettere a rischio ciò che si ha, è senz'altro il concetto fondante di un'economia che possa dirsi duratura.

Concetto al quale oggi fa riferimento Jeffrey D. Sachs, professore della Columbia University, del quale viene pubblicato un intervento sul Sole24Ore. Una sorta di richiamo/appello a Obama che molto si avvicina, tranne per l'apologia del nucleare, a quanto greenreport (nel suo piccolo) cerca di diffondere come idea di sostenibilità e di economia ecologica quale nuovo paradigma non procrastinabile dell'economia mondiale.

« Nella bolla che ha preceduto la crisi - spiega Sachs -, i consumatori americani sono stati incoraggiati a sovraindebitarsi. Ricreare una seconda bolla è come offrire un bicchiere in più, a spese del governo, per superare un doposbronza di massa. Con un deficit di bilancio intorno al 10% del Pil, la spesa pubblica non può limitarsi a gonfiare temporaneamente la spesa per i consumi, servono misure molto più incisive».

Che fare dunque? «Tre sono gli elementi di una soluzione a lungo termine. Il primo è promuovere le esportazioni, in parte attraverso una svalutazione del dollaro e in parte incrementando il sostegno pubblico al finanziamento delle esportazioni (...). Un secondo elemento (da qui parte il nostro interesse per la sua tesi, ndr) è un forte incremento della spesa per l'istruzione e la formazione lavorativa. Il tasso di disoccupazione fra i laureati è solo del 4,7% mentre fra quelli che non hanno un diploma liceale è del 15,5 per cento. Gli Stati Uniti investono pochissimo nell'istruzione per le fasce povere, che abbandonano gli studi e di conseguenza non riescono a trovare un lavoro redditizio. Un forte potenziamento dell'istruzione e della formazione contrasterebbe l'attuale crisi occupazionale in tre modi: riducendo il numero di giovani che cercano lavoro, costruendo competenze professionali per il futuro e incrementando la spesa nell'economia attraverso l'istruzione».

Il terzo elemento, «stimolare un boom degli investimenti in ambiti a forte ritorno sociale, attualmente bloccati dalla mancanza di politiche chiare. La conversione a un'economia a basse emissioni creerebbe occupazione sul breve periodo, un'economia più produttiva sul medio periodo e una leadership tecnologica per l'America sul lungo periodo».

Sachs ricorda che durante la campagna elettorale Obama «aveva parlato di una ripresa verde, con l'occupazione che sarebbe arrivata grazie a un'espansione su larga scala delle energie alternative. Ci ha parlato di macchine elettriche ibride, di collegamenti ferroviari interurbani veloci e di sistemi idrici e fognari nuovi per sostituire le fatiscenti infrastrutture attuali. Ci hanno parlato di una nuova banca per le infrastrutture per organizzare complessi progetti interstatali, che avrebbero dato lavoro a tantissime persone e al tempo stesso avrebbero costruito un'economia all'avanguardia».

«Le misure di stimolo, la legge sul clima in attesa di approvazione e altri provvedimenti qualcosina di tutto questo lo hanno introdotto. Ma il governo - aggiunge giustamente - non ha preso iniziative serie per trasformare queste complesse iniziative in realtà. I collegamenti ferroviari interurbani non nascono da soli. Per introdurre linee elettriche a tensione continua c'è bisogno di una nuova strategia di rete a livello federale e regionale. Per promuovere l'energia nucleare ( e su questo non siamo d'accordo, ndr) serve la leadership del presidente. Per introdurre i sistemi di cattura e stoccaggio delle emissioni serve la collaborazione fra scienza e industria, con il sostegno, nelle prime fasi, dei fondi pubblici per la ricerca».

Il quadro si può completare con un'altra interpretazione della green economy che arriva un po' a sorpresa (in senso positivo) da John Elkann che sulla Stampa di ieri ha dichiarato che «In tutto il mondo la grande sfida per il futuro riguarda la capacità di coniugare sviluppo e sostenibilità ambientale e in questo anche la Fiat sta giocando la sua parte perché il piano Chrysler ha fatto suoi questi principi. Principi che sono stati sviluppati anche grazie alla collaborazione ormai secolare con il Politecnico di Torino».

Sulla formazione Elkann ha osservato: «Non c'è dubbio che dobbiamo pensare di dare l'istruzione al numero maggiore di persone possibile, ma se vogliamo fare la differenza dobbiamo concentrarci sui temi che pensiamo di poter affrontare in maniera eccellente e su un'istruzione di alta qualità». Non solo, Elkann ha ricordato di essere rimasto «stupito» nella sua recente visita in Medio Oriente dal fatto che in un'area geografica dove è concentrata la maggioranza delle riserve energetiche di gas e di petrolio ci si ponga il problema di come «estendere l'utilizzo delle risorse naturali, lavorando sulla efficienza energetica e su fonti alternative di energia, e investendo quindi tantissimo nell'università e nella ricerca su programmi specifici».

«Una settimana fa - ha aggiunto Elkann - abbiamo presentato a Detroit il piano per la Chrysler e proprio in quell'occasione si è parlato delle tecnologie Fiat che sono una delle ragioni per cui è stata fatta questa alleanza: perché sono legate al miglior utilizzo della efficienza energetica dei motori e dall'altra alla compatibilità con il nostro ambiente. Questi motori sono fatti qui, a Torino, in Fiat, con la collaborazione del Politecnico che dura da oltre un secolo, con cui c'è una fortissima integrazione fin dalla nostra nascita nel 1899».

I colori, quindi, maturano nella notte, mentre un nuovo paradigma economico fondato sulla sostenibilità ambientale e sociale è ancora agli albori. Obama ha la chance e le potenzialità per dare l'input decisivo, e Copenhagen è la sede dove può (se deciderà di essere presente) innescare la miccia.