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Nuovo ordine mondiale: la salvifica missione statunitense

di Marco Managò - 26/11/2009

 



I “neocon” (abbreviazione di neoconservatives), spesso espressione di potenti influenze integraliste cristiano-ebraiche, forti della tradizione razzista di Leo Strauss e dell’uso della forza che il filosofo sostenne, riescono a “modellare” l’opinione pubblica Usa e quella mondiale; un avallo a nuove guerre imperialiste. Un coinvolgimento planetario, a cui poter sottrarre parte del mondo arabo e i Paesi della Nuova America Latina (un ribelle “cortile di casa” per l’imperialismo Usa).
Strauss si concentra sulla sicurezza dei confini anziché sull’espansione esterna, presto, però, la parola d’ordine sarà: non più leggi e trattati a risolvere i problemi di dominio bensì la forza e la voce delle armi. Il filosofo tedesco ha un pieno disprezzo per le masse. Il gregge ignorante, che mai potrà arrivare a concepire valori e istituzioni ben al di sopra del proprio intelletto comune, deve essere sapientemente drogato da religione e miti patriottici. Quando ciò non dovesse bastare, ecco riproporsi la sua lezione: lo stratagemma esterno, quello internazionale, la guerra.
Nasce, così, il movimento neocon, dapprima legato alla causa ebraica poi meno, in quanto l’esigenza di civilizzare il mondo, e di redimerlo attraverso questa gravosa azione messianica, è piuttosto eterogenea, trans-confessionale; presume di trovare giustificazione religiosa addirittura nell’Antico Testamento.
Il disegno divino di salvezza è ancora quello che accomuna gli Usa a Israele, soprattutto dopo gli eventi dell’11 settembre, quando lo spettro del comunismo è stato sostituito da quello del terrorismo (di carattere islamico: lo scontro di civiltà di Samuel Huntington).
Gli adepti più noti fra i neocon sono nomi del calibro di Reagan, Cheney, Rumsfeld, Bush e Wolfowitz.
L’imperialismo Usa si muove attraverso tre direttrici: il saccheggio delle materie prime, l’adozione ipocrita di istituzioni democratiche, in ultimo il deterrente della guerra o delle sobillazioni internazionali.
Il termine “neocon” non va confuso con un altro, simile nella struttura, quello di “teocon” (da “teo” ossia Dio e “con” conservatorismo). Entrambi i vocaboli si riferiscono a posizioni religiose conservatrici, sviluppate negli Usa e collimanti con il protestantesimo. Se teocon si riferisce a problematiche tra politica e religione (per l’integralismo in stato permanente che sottintende, qualcuno usa il termine “cristianisti”), neocon intende la politica estera, espansionistica.
Negli anni ‘70, quando il movimento neocon ebbe notevole diffusione, furono i protestanti a guidarne le redini (in genere intellettuali stufi dell’immobilismo Usa). Del resto, dal volume “Contro gli ebrei e le loro menzogne”, Martin Lutero, pur rilanciando l’astio nei confronti degli ebrei (ancor più dei cattolici) non si rifà a questioni di razza o sangue, bensì di carattere teologico a difesa delle offese arrecate al Cristianesimo.
Gli Usa si caratterizzano, sin dalla loro costituzione, per l’alto numero di confessioni religiose, per i tanti adepti e per un’accesa spiritualità. Ciò è dovuto a varie ragioni, tra cui il non disprezzabile numero di coloro che abbandonarono l’Europa (o ne furono costretti) proprio per questioni religiose. Il cristianesimo è la religione più diffusa, distinta tra un 49% di protestanti e un 25% di cattolici (aumentati soprattutto in virtù dell’emigrazione dei paesi ispanici), ebrei numericamente fermi a meno del 2%.
La dottrina neocon, fondata sull’egoismo, tende ad assoggettare i restanti continenti, anche quell’Europa che ci sembra unita e nuova, ma in realtà spaccata da una guerra fratricida in Serbia e da un divide et impera da contrapporre alle mire russe (Polonia e Georgia).
I neocon non si limitano a intervenire, a sobillare, a favorire governi-amici, bensì a colpire prima di essere attaccati, da qui la locuzione “guerra preventiva”, la menzogna, il rovesciamento di regimi e il disinteresse verso l’Onu. Interventismo in luogo di attendismo, diplomazia e sterili negoziazioni. Il termine neocon, per molti, si giustifica e si attua con le necessarie prese di posizione durante la Guerra Fredda, per poi divenire semplice terminologia e tornar di moda soltanto in occasione dell’ultimo conflitto iracheno. Tali “sofisti” giustificano, quasi, un vuoto storico del “movimento” e delle azioni che propugnò; negano la continuità, di origine ottocentesca.
L’imperialismo Usa, dalla soppressione dei nativi americani, è in continuo evolversi, alla ricerca di nuove terre (anche lo spazio celeste) e che, giustificato dal fondamento biblico della nascita di una “Nuova Gerusalemme”, giunge all’autoesaltazione con la conseguente indifferenza e ostilità verso l’altro.
Il 2 dicembre 1823, in un suo discorso, il presidente Usa Monroe stabilì, in modo unilaterale, il divieto di ingerenza negli affari del proprio Paese nonché il divieto all’Europa di costituire altre colonie a Occidente. Fu il primo vero grande schiaffo al Vecchio Continente (dopo la vittoria del 1776 sugli Inglesi).
“L’America agli Americani” fu il motto. “Meglio se Usa”, aggiunse qualcuno. Il pensiero di Monroe, universalmente noto come “Dottrina Monroe”, come fosse una sorta di religione o dogma nazionale, fu la giustificazione anche per la successiva annessione di Messico e Texas.
Un puro pretesto per sottrarre l’influenza europea sulle appetitose colonie dell’America Latina. Le “Dottrine” dei Presidenti Usa si susseguono, nella ripetizione di quell’arroganza a difesa unilaterale dei propri confini, quando non espressa minaccia al resto del mondo. Dopo l’indispensabile corollario della dottrina Roosevelt, va ricordato il Nobel alla Pace al Presidente Wilson (al confronto la “colomba” Obama è nulla), subito dopo la fine della I Guerra Mondiale. Al nobile principio dell’autodeterminazione dei popoli, Wilson sostituì la subdola imposizione, per ogni etnia, di rimaner sul proprio territorio; ciò confermò il gene razzista. Su tale base etnica formulò i “quattordici punti”, proprio per la suddivisione del mondo in sfere razziali e non si fece mancare incursioni militari e sobillatrici a Haiti, Cuba e Panama.
Un caso emblematico è il dogma Truman che, nel 1947, dinanzi a un cedimento greco-turco allo strapotere sovietico, mise dei paletti e avvertì i governi occidentali di boicottare i partiti comunisti. Una dottrina che fu l’apripista per le operazioni di “aiuto” all’Occidente: il Piano Marshall (aiuti dopo aver devastato e fiaccato i civili) e il Patto Atlantico, entrambe avverso l’Urss.
Reagan fu il Presidente che sembrò attenuare l’interventismo Usa, messo alla prova dal “disgelo” russo (la glasnost). La sua sotterranea intransigenza, invece, fu deleteria per l’ex Urss.
Ai giorni nostri non può sfuggire la missione salvifica del dottrinario ex Presidente Bush, in esigenza di democratizzare il globo, pur a costo di vite umane immolate come vitelli sacrificali: non più sugli stipiti delle porte (Esodo, Antico Testamento) ma sui muri dei palazzi afghani e iracheni.
La stessa impossibilità, a concludere le attività belliche a proprio vantaggio, costituisce per gli Usa la gestione continua delle risorse mediorientali, nonché la giustificazione a una causa di guerra permanente.