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Conte: un «cantico alla vita» contro i postmoderni nemici dello spirito

di Fulvio Panzeri - 08/04/2006

Fonte: Avvenire

Il poeta scrive un volume accorato che riprende un analogo invito dello scrittore Jean Giono

Conte: letteratura senza nichilismo

La primavera è stagione di rinascita e di luce. Un «cantico alla vita» contro
i postmoderni nemici dello spirito e profeti di sventura

 

Nel 1938 lo scrittore francese Jean Giono aveva pubblicato Lettera ai contadini sulla povertà e la pace. Aveva progettato anche di scrivere una Lettera ai disperati sulla primavera, un progetto che non avrebbe mai però realizzato. Ora è un poeta e narratore italiano, Giuseppe Conte, che condivide con Giono i paesaggi dell'anima del 44° parallelo, tra Liguria e Provenza, ad aver dato parole e sostanza ad un titolo così bello e suggestivo. Del resto il tema della primavera appartiene di diritto, quasi da sempre inciso nel suo mondo naturale e letterario, a Conte, fin dal suo primo libro di narrativa, Primavera incendiata, uscito all'inizio degli anni Ottanta, una prosa lirica di grande suggestione tutta giocata sugli echi di uno dei suoi numi tutelari: D.H. Lawrence. C'è voluto tempo per giungere alla stesura definitiva di questo libro, così sincero, così forte, così controcorrente, in cui Conte mette in gioco se stesso, la sua speranza, tra ricordi autobiografici, accenti lirici, osservazioni sulla realtà, ma soprattutto nella necessità di convincere gli uomini di oggi che non possono essere soggiogati dal nichilismo di una realtà che sta offuscando le nostre coscienze, che impedisce di vedere la catastrofe del Sacro nella nostra società. Provocatoriamente Conte sottolinea che «il più grave pericolo per l'Occidente non è il terrorismo islamico, come è comodo far credere dopo il fatidico 11 Settembre, ma il materialismo nichilista dell'Occidente, il suo sfruttamento, progressivo e ai fini di un sempre maggior profitto, della Terra, la sua mancanza di speranza e di senso del futuro e della primavera». È questo il nucleo centrale su cui si sviluppa la sua «lettera ai disperati», la cui stesura ha avuto un'accelerazione in questo inverno freddo, dopo la scoperta di essere ammalato, senza ancora sapere la gravità della malattia: «Ma scrivere è come vivere. Ne vale sempre la pena. Scrivendo, curandomi, sono guarito. Giono mi capirà. Mi giustificherà». Questa lettera è un grande canto alla vita, alla sua forza, quella stessa che viene espressa dalla primavera, di cui va riscoperto il suo arcaico sentimento: «La primavera esisteva, ed era pericolosa. Rappresentava la diversità infinita, la ripresa di forze dal buio e dal freddo mortali, l'avvio di un capillare processo di metamorfosi, lo slancio di rinascita, la rincorsa verso più tepore e più luce». Metaforicamente riprendere il senso della primavera nella nostra esistenza per Conte significa andare incontro alla luce, in contrapposizione con l'opera di Mefistofele, che obbliga una società come la nostra, «nemica dello spirito», ad attaccare e a spegnere la luce, nell'ordinare «Fiat obscuritas». Conte ci presenta un libro sincero e profondamente sentito come "profezia", alla quale mette a disposizione i suoi strumenti di poeta-narratore per definire le immagini del disastro: le offerte pornografiche che disegnano nella rete «quartieri malfamati»; l'idea della bellezza distorta dal Mercato; il paesaggio che cambia e impone il dominio dei Centri Commerciali, «santuari della merce». La disperazione si vive in solitudine. È una ferita ma anche la convinzione che sia sempre il male a vincere. È l'impossibilità a credere nel bene e a lasciare che il mondo sprofondi nel suo fango. Eppure la disperazione presuppone per Conte la possibilità di avere ancora la percezione del male, pur se in un atteggiamento di impotenza. Quella che descrive è una disperazione che «ha in sé la vitalità della rivolta contro se stessa», per partire da un nuovo «ricominciamento». È questa la sua vera libertà, quella che può rendere possibile la primavera come metafora esistenziale. Nel libro Conte ammette di non avere soluzioni, né strade da indicare, ma di poter solo offrire un viaggio «che è un invito al movimento, alla rinascita. Alla resurrezione. Anche quella di Cristo, che sia benedetto il suo nome, avviene in primavera, e continua ogni primavera». C'è un grande senso del sacro in questo suo attraversamento dell'avventura umana, in cui si incontrano i paradossi del presente e le istantanee sapienziali degli incontri (ad esempio con Sciascia e con Calvino), le riflessioni morali e il tempo dei sentieri del mondo che «cominciano e finiscono in noi stessi». Lo dimostra appieno quel «cantico alla vita» che chiude la lettera, ma apre la prospettiva ad una speranza di rinnovamento: «Benedite la vostra disperazione. Ecco il dono della primavera. Benedite tutto ciò che è vivo. Tutto ciò che promette vita, che è dalla parte della vita».



Giuseppe Conte
Lettera ai disperati sulla primavera
Ponte alle Grazie.
Pagine 100. Euro 11,00