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Facciamolo questo gesto di civiltà

di Daniel Tarozzi - 30/12/2009

Questa città mi soffoca. L’ho sempre amata, con tutte le sue contraddizioni. Eppure ora mi soffoca. Sarò io che sono cambiato o lei? Vi riproponiamo un articolo pubblicato nel giugno 2008 ma sempre attualissimo.


Ricordo quando qualche anno fa una coppia di miei amici si trasferì da Roma alla campagna umbra.

 

Improvvisamente cominciarono a disprezzare Roma, dicendo che era diventata invivibile, che non era più la Roma di una volta e così via.

Io, pur invidiando la loro nuova vita bucolica, provavo un po’ di fastidio sentendoli disprezzare in quel modo la mia città. E mi sembravano eccessivi, forzati.

Eppure adesso... Adesso mi stupisco sentendo i miei pensieri fare affermazioni analoghe nella mia testa.

Cosa sarà successo? La Roma che a loro non andava più bene e a me sì, ora non va più bene nemmeno a me? Sono cambiato io?

Ho sempre avuto un grande rifiuto per il traffico e per il cemento. Per il rumore e per l’aggressività. Però ricordo che quando la vita mi ha portato a lavorare al nord, nella frenetica Milano, l’ho rimpianta la mia città. Mi dicevo: “a Roma sì che c’è tanto verde. Vero, c’è traffico, però la gente è allegra e accogliente”.


Le radici di un albero in piazza Malatesta

 

E adesso? Adesso passeggio col mio cane per le vie del mio quartiere. La spazzatura è ovunque. Non evidente come a Napoli. Ma è ovunque. Ci sono dei vasi che dovrebbero contenere fiori. E invece contengono lattine e pacchetti di sigarette. C’è un prato, una piccola zona verde, dove in molti portiamo i cani. È carino e ad un primo sguardo appare curato. Ma vicino alla zona giochi, alla zona con le panchine, da circa cinque settimane bottiglie, vetri e spazzatura giacciono in attesa di non si sa chi.

Qualche giorno fa, mentre passeggiavo, per la prima volta in tredici anni mi ha fermato un esponente delle forze dell’ordine. Mi ha chiesto se avessi la paletta per raccogliere i bisogni del mio cane. Io, imbarazzato, non l’avevo con me. Lui, gentile, mi ha lasciato andare ma mentre mi allontanavo ha detto: “facciamolo questo gesto di civiltà”.

 


Roma...
Aveva ragione. Eppure, quello stesso Stato che nella persona di quel funzionario giustamente mi invita ad essere civile e solo per un gesto di compassione non mi multa, rimane indifferente verso la spazzatura che mi circonda.

 

Spazzatura ovunque, anche se in piccole dosi. E non è tutto. Nel grande prato che costeggia la via in cui sono cresciuto, da ormai cinque o sei anni, le verdure coltivate –forse abusivamente – da un simpatico contadino e le mucche che pigramente passeggiavano lì intorno, sono state sostituite da ridenti profilattici gettati nella notte dai passeggeri che vengono ospitati nelle decine di macchine che vengono qui a svolgere attività non proprio convenzionali. Se provo a passeggiare per i sentieri della mia infanzia, quindi, devo fare lo slalom tra profilattici, lattine, buste di plastica, batterie e molti altri rifiuti di vario genere. Ma, ovviamente, nessuno interviene. Va bene così.

Nel frattempo, gli automobilisti sono sempre più aggressivi, violenti. Giorni fa, mentre attraversavo sulle strisce, uno di essi stava per investirmi. Io mi fermo e lo guardo male, polemicamente, finendo di attraversare.


I giardini pubblici...

 

Questo accelera sgommando, accosta e scende dalla macchina. Io già mi vedevo con un coltello infilato nell’addome. Prudentemente mi allontano, come il più saggio dei codardi. Il tipo non mi segue. Mi è andata bene.

Sì, perché bisogna anche aver paura quando si ha ragione.

“Facciamolo questo gesto di civiltà”.

Il rumore è ovunque, regna sovrano. Moto truccate, marmitte bucate, clacson, antifurti ossessivi. Non c’è via di fuga, non c’è tempo, non c’è spazio. Eppure siamo qui. Convinti che non ci siano altri modi di vivere. Altre possibilità.

Ieri sera esco per fare una passeggiata a Trastevere. Passeggiando sul lungo Tevere mi riconcilio con Roma. È bella, bellissima, meravigliosa. Arrivo a Trastevere. Mamma mia... tutta la città ha deciso di passeggiare a Trastevere questo martedì sera.

Ci sediamo in un ristorante buono ed economico. Fuori non c’è posto. Dentro sì. E’ molto carino il locale. Peccato per il caldo e per il rumore. Per farmi sentire da chi mi siede davanti devo urlare... alla mia destra, a pochi centimetri dal mio orecchio, le posate. Decine, centinaia, milioni forse, di posate.

 


Un altro albero romano
Ogni secondo mani non meglio identificate ne prendono una manciata, rabbiose. Le mie orecchie esplodono, gridano, invocano pietà.

 

Mi alzo di scatto, sgarbato, cafone. Esco dal locale. Alla ricerca di pace. E sogno la montagna, la pace, il silenzio.

Sono diventato intollerante alla gente? Proprio io che ho sempre amato vedere tante persone divertirsi? A soli trent’anni mi voglio ritirare dal mondo?

No, non voglio. Ma sento ogni giorno di più di non appartenere a QUESTO mondo. A questo tipo di società. Al rumore e al caos come unica medicina. A gente che accetta rassegnata di trascorrere ore della propria vita nel traffico, di aggredire e di essere aggredita. Di camminare tra spazzatura e cemento.

Sinceramente mi vien da vomitare. Per la prima volta, mentre il mio autobus passa accanto ai fori romani, non riesco a vederne la magnificenza e la gloria. Vedo solo un impero crudele che ha schiacciato decine di culture e migliaia di persone.

“Facciamolo questo gesto di civiltà”. Chiudiamo per lutto questa città, questo paese. Chiudiamo per sempre. Trasformiamolo in un museo. Aboliamolo, con tutta la sua classe politica ed economica. Con le sue ributtanti, ipocrite, finte regole, i suoi perbenismi, la sua mediocrità e la sua passività.

Ricominciamo da zero. Dalla sfavillante musica generata dal silenzio. Da un incontro tra persone intorno a un fuoco, un bosco, una spiaggia. Un paese. Persino la piazza di una città. Una città pulita, efficiente, con dei mezzi pubblici reali, con poco traffico, con poca aggressività.

“Facciamolo questo gesto di civiltà”...

Facciamolo.