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I furbetti del bonus

di Michele Paris - 13/01/2010

Messo alle spalle un anno nerissimo per i lavoratori americani, i principali responsabili della crisi economica globale - banchieri e dirigenti dei colossi di Wall Street - si apprestano questa settimana a dividersi un bottino di gratifiche che ammonta a svariati miliardi di dollari. Di fronte all’indignazione dei contribuenti e ai tiepidi rimbrotti di qualche politico, le grandi banche d’investimento stanno cercando disperatamente qualche patetica operazione di facciata per dissimulare la realtà: una gigantesca spartizione di ricchezza generata da pratiche finanziarie ad alto rischio grazie ad enormi infusioni di denaro pubblico.

I bonus miliardari che stanno per essere distribuiti ai dipendenti più zelanti sono in linea, e a volte addirittura superiori, a quelli erogati negli anni del boom finanziario. In media, Goldman Sachs per il 2009 pagherà ogni suo impiegato 595 mila dollari, anche se ovviamente ai piani più alti ci saranno picchi di decine di milioni di dollari. Leggermente inferiore, invece, il valore medio dei premi concessi da JPMorgan Chase: 463 mila dollari.

Molte banche negli ultimi tempi hanno cercato di ridurre le gratifiche in contanti, puntando piuttosto su pacchetti azionari, così da spingere i loro dirigenti a perseguire strategie di successo a lungo termine. Allo stesso modo, qualche compagnia ha scelto di diminuire la quota delle proprie entrate annuali da destinare ai bonus per i dipendenti. Interventi, in realtà, puramente di facciata, dal momento che le cifre in ballo - sia in contanti o sottoforma di “stock options” - raggiungeranno in ogni caso anche quest’anno livelli da record.

Secondo i dati ufficiali, nel corso dei primi nove mesi dello scorso anno cinque delle banche più importanti salvate dal governo federale nel pieno del crollo finanziario - Bank of America, Citigroup, Goldman Sachs, JPMorgan e Morgan Stanley - hanno accantonato qualcosa come 90 miliardi di dollari per i dipendenti più operosi. La sola Goldman Sachs, capace di versare la somma record di 68 milioni di dollari per l’anno 2007 al suo presidente e amministratore delegato, Lloyd C. Blankfein, per lo stesso periodo ha accantonato 16,7 miliardi.

Rispetto ai profitti complessivi, la porzione di denaro destinato ai bonus è però progressivamente scesa nel corso del 2009, dal 50% del primo quadrimestre al 48% e al 43% per quelli successivi. Per JPMorgan si è passati invece dal 40% di inizio anno al 37% degli ultimi quattro mesi. A Bank of America, che ha fatto segnare ricavi immensi durante l’anno appena trascorso, le gratifiche saranno invece accompagnate da una clausola che permetterà ai vertici della compagnia di recuperarne una parte in caso gli affari dovessero andare per il verso sbagliato nei prossimi mesi.

Molto preoccupato delle reazioni negative del popolo americano è anche il consiglio di amministrazione di Morgan Stanley, la cui fetta di profitti derivanti dal mercato finanziario è decisamente inferiore rispetto ai giganti Goldman e JPMorgan. I 25 dirigenti più pagati della banca d’affari fondata nel 1935, saranno ricompensati in prevalenza con azioni e contanti ad incasso deferito nei prossimi anni e vincolati alla performance della compagnia sul mercato. Il presidente uscente, John J. Mack, da parte sua ha inoltre generosamente deciso di rinunciare alla propria fetta per l’anno 2009.

Identico sacrificio sosterrà quest’anno anche il numero uno di Citigroup, Vikram Pandit, il quale accetterà un salario simbolico di un dollaro. Gli oltre 38 milioni incassati dodici mesi fa dovrebbero comunque essere “sufficienti” per ora a garantirgli il tenore di vita raggiunto e provvedere alle spese del suo appartamento da 18 milioni di dollari nell’Upper West Side. La stessa Citigroup, nonostante le difficoltà che tuttora attraversa, pagherà circa 5,3 miliardi di dollari in bonus, di cui 9 milioni in azioni al responsabile della sezione investimenti, John Havens.

Tra le iniziative messe in atto per attenuare le critiche provenienti da più parti, spicca poi quella resa nota recentemente da Goldman Sachs. Proprio alla vigilia della distribuzione dei premi legati alle prestazioni del 2009, la potentissima banca d’investimenti ha annunciato l’espansione di un proprio programma che già prevede il versamento in beneficenza di una percentuale dei bonus dei top manager. La cifra in questione risulta ancora incerta, anche se l’iniziativa appare simile a quella che aveva già messo in atto la fallita Bear Stearns, la quale richiedeva ai suoi dipendenti più pagati di corrispondere almeno il 4% del loro stipendio in beneficenza.

Poco più di un’elemosina, dunque, quella di Goldman Sachs, in grado nel solo 2009 di mettere assieme utili per quasi 12 miliardi di dollari dopo aver accettato soldi pubblici per circa 10 miliardi, e che assomiglia molto ad un’altra recente azione caritatevole, adottata in risposta alle pressioni della Casa Bianca: lo stanziamento di un fondo di 500 milioni di dollari da destinare come prestiti alle piccole imprese americane in affanno.

I compensi milionari di Wall Street continuano ad essere inevitabilmente uno dei punti fermi delle grandi banche che controllano la finanza americana. Oltre a costituire l’incentivo principale per broker che devono massimizzare, in tutti i modi, i profitti delle loro compagnie, essi rappresentano anche l‘unico modo che queste ultime hanno a disposizione per continuare ad assicurarsi i servizi dei più capaci e prevenire così qualsiasi tentazione di un loro trasferimento alla concorrenza.

Per quanti proclami e rimproveri i politici d’oltreoceano abbiano pronunciato, a partire dall’esplosione della crisi più di un anno fa - ultima, in ordine di tempo, la critica in diretta televisiva sulla CNN di una dei principali consiglieri economici del presidente, Christina Romer - poco o nulla si è fatto per limitare questa pratica. Quel potere sulle banche di Wall Street che il governo teoricamente deteneva, sta inoltre svanendo dopo che gli ingenti prestiti pubblici che hanno permesso loro di tornare a raccogliere profitti miliardari stanno per essere ripagati in fretta e furia.

Se l’agguerrito deputato democratico dell’Ohio, Dennis Kucinich, ha depositato al Congresso un progetto di legge, almeno per sottoporre i bonus milionari ad una nuova tassa, le speranze per un cambiamento di rotta in questo ambito appaiono molto fievoli. L’influenza di Wall Street sulla politica americana rimane infatti enorme, come enormemente pericolosa appare l’ipoteca messa dai colossi della finanza sul futuro dell’economia mondiale.