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I padroni del mondo si assolvono

di Giulietto Chiesa - 19/01/2010

L'inchiesta sulla crisi finanziaria si arena fra i silenzi dei farabutti che hanno provocato il disastro.

Un funzionario tra quelli incaricati di trattare con loro qualche percento in meno delle loro prebende, si è lasciato scappare – essendo stato a contatto con loro - «è gente che pensa di vivere in un altro pianeta».

 

Chiedo scusa in anticipo: non sono un economista. Mi è già accaduto in passato di affrontare questioni economiche pur non essendo una specialista. L'ho fatto perché certe cose si vedono anche senza essere uno specialista e uno come me si chiede come sia possibile che la collettività non le veda o, vedendole, non si chieda cosa sta succedendo e cosa potrà succedere se non si pone rimedio. Io credo che non si vedano perché la società dello spettacolo in cui siamo a bagnomaria dalla nostra nascita ci impedisce ormai di capire. Fine della parentesi.

E veniamo al dunque. All'inizio di gennaio 2010, ormai due anni dopo l'esplosione della più grave crisi finanziaria degli ultimi 80 anni, la “Commissione d'Inchiesta sulla Crisi finanziaria” (Financial Crisis Inquiry Commission) ha cominciato i suoi lavori dalle parti di Wall Street.

Lo scopo dell'iniziativa dovrebbe essere quello di capire perché è successo il disastro. Qualcosa di simile alla Commissione d'inchiesta che gli storici ricordano con il nome del suo presidente, Pecora, e che lavorò negli anni '30 per venire a capo del disastro di allora.

Ricordarlo non è cosa oziosa, perché meno di dieci anni dopo scoppiò la seconda guerra mondiale. Come chiameranno gli storici questa commissione non si sa. Battezziamola Commissione Obama, per comodità.

Cosa sta venendo fuori? Niente. Per spiegare meglio: i banchieri che sono stati chiamati a dare i loro pareri non hanno visto niente o sentito niente.

Paul Krugman, indignato quanto me, che economista non sono, cita in un articolo su «The New York Times» (14/01/2010) , la deposizione di Jamie Dimon, della JP Morgan Chase: «Non c'è da essere sorpresi, accade ogni cinque o sei anni».

Si è dimenticato che il governo americano, cioè i cittadini (ma anche noi europei) hanno dovuto sganciare diversi trilioni di dollari e euro per ripagare i disastri compiti da quelli come lui, e dai governanti che, pagati da quelli come lui, hanno rinunciato a ogni forma di controllo sull'operato di gente come lui. Che quest'anno non ha sicuramente guadagnato meno di dieci milioni di dollari.

Un altro convocato per esprimere pareri, Lloyd Blankfein della Goldman Sachs, ha parlato della crisi come di un uragano che ti capita addosso. Come fare? Non c'è che da pregare Iddio.

Se si riferisce a noi, ha ragione. Ma loro hanno creato la crisi con le loro mani. E hanno costretto il mondo a pagarla, con l'aiuto di Obama. Il quale fino ad ora non ha cambiato una virgola delle regole che questa nuova classe ha scritto, anzi ha cancellato.

Ladri astuti che possono far crollare il tempio se li si chiama a rendere conto.

E adesso poveri noi? Adesso è peggio. Circa 60 miliardi di dollari saranno pagati ai circa 100 mila banchieri americani in premi e prebende per questo appena defunto 2009 che è stato il collasso per i redditi di decine di milioni di persone in America e per centinaia di milioni in tutto il mondo.

La appena citata Goldman Sachs ha pagato ai suoi 28mila dipendenti rimasti, dopo averne licenziati altrettanti, la cifra di 16,7 miliardi di dollari, circa 595 mila dollari a testa. JP Morgan ha fatto più o meno lo stesso con i suoi restanti 25mila addetti, con 11,6 miliardi di dollari complessivi.

La crisi loro non l'hanno vista, e neppure sentita.

Ma c'è anche di meglio. Barack Obama, il riformatore, che ha elargito denaro pubblico per salvare i ladri privati, ha messo in piedi una commissione per verificare quanto continuano a rubare. Una commissione che negozia con loro l'entità dei prossimi furti. In questo caso si tratta specificamente delle sette corporation che sono state tenute in piedi direttamente con i soldi pubblici, cioè stampando altro denaro per ripianare le loro follie.

La commissione si chiama TARP (Troubled Asset Relief Program, cioè Programma per il Salvataggio degli Attivi in Difficoltà). Gli attivi erano in realtà molto passivi, ma lasciamo stare.

Il salvataggio è per i banchieri di sette società che hanno preso i soldi pubblici. E sono, per la curiosità di molti, Chrysler Financial, General Motors, American International Group (AIG), Bank of America, Chrysler, Citigroup, GMAC. Per non perderci nei dettagli, prendiamo soltanto i vertici AIG, che hanno appena pagato 168 milioni di dollari, inclusi i premi di produzione, a un pugno di impiegati della sezione della corporation che si occupava dei Derivati Finanziari, cioè proprio quella che, se non avesse la banca ricevuto un prestito di 180 miliardi di dollari dalla Federal Reserve, “avrebbe trascinato a fondo l'intera finanza mondiale”. («International Herald Tribune», 2-3/01/2010).

Qui sono in discussione, si fa per dire, i redditi individuali delle 25 persone che stanno al vertice di quelle istituzioni private. In tutto si tratta di un pugno di farabutti comprendente 136 nomi. I quali, incuranti di ogni cosa, resistono abbarbicati alle loro montagne di denaro. E, in caso qualcuno volesse farli scendere, anche solo di qualche gradino, minacciano ritorsioni, gridano che se ne andranno altrove, rifiutano ogni compromesso.

Pochi ma potentissimi. Sono loro i veri padroni del mondo. E lo prova il fatto che nessuno ha avuto il coraggio, fino ad ora, di pubblicare l'elenco dei loro nomi sulle prime pagine dei giornali americani. E penso che questi elenchi dovrebbero essere pubblicati sulle prime pagine dei giornali di ogni paese del mondo, perché – anche se non tutti sono stati salvati con iniezioni ricostituenti delle dimensioni stratosferiche di questi ladri americani – tutti si sono salvati con gli stessi meccanismi. Ciascuno a spese dei cittadini di riferimento. Altro che Madoff, il banchiere capro espiatorio che è stato dato in pasto alla curiosità mondiale. Vittima sacrificale, non dirò poveretto perché il termine non gli si addice comunque, perché tutti questi 163, insieme agli altri 99 mila, potessero restare tranquilli al vertice del mondo.

Un funzionario tra quelli incaricati di trattare con loro qualche percento in meno delle loro prebende, si è lasciato scappare – essendo stato a contatto con loro - «è gente che pensa di vivere in un altro pianeta».

Ma la verità è all'opposto: siamo noi che viviamo sul loro pianeta. Ospiti indesiderati. C'è spazio per noi solo in quanto consumatori temporanei dello spettacolo che ci offrono e per il quale dobbiamo pagare il biglietto d'ingresso.