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Lettera di Nadia hassan (ragazza palestinese)

di Nadia Hassan - 20/04/2006

 

 
Ahlen, prima di tutto, mi scuso per il mio inglese, ma cercherò comunque di spiegare quello che mi è successo oggi.
Ieri sono arrivata ad Aqaba e oggi sono subito andata al confine, alle 8.
Ero nervosa, ma nello stesso tempo mi sentivo bene, dal momento che stavo per fare qualcosa per cui avevo aspettato tanto tempo.
Attraverso la frontiera giordana senza problemi; 15 minuti in tutto; torno a prendere la mia borsa e inizio a camminare in direzione della frontiera della Palestina. Due tipi in armi mi stanno aspettando e mi chiedono il passaporto. Si guardano l’un l’altro e mi chiedono: “Da dove vieni?” Uno di loro ha il mio passaporto in mano, un passaporto cileno, allora perché mi rivolgono quella domanda? Passo in seguito nella sala controlli, ci sono due altri tipi e mi rivolgono le normali domande, sì, normali per loro! Tutte le domande riguardano il mio cognome; Perché mi chiamo Nadia Hasan? Sono mussulmana? ... Rispondo di no. Sono cristiana. Ma allora perché ho un cognome mussulmano? perché non l’ho ancora cambiato? 20 minuti di questo tira e molla, poi mi fanno passare, mi dicono perfino “Benvenuta in Israele, divertiti...”

Vado al controllo passaporti e ci trovo un bel gruppo di turisti. Ognuno di essi riceve il visto in meno di 5 minuti. Poi tocca a me. Ritrovo una faccia ben nota, la faccia della donna dell’ufficio controlli. La stessa dell’anno scorso. La stessa che dopo avermi dato il visto per un mesi mi aveva detto “Se non ti piace, puoi tornartene in Cile! Non vogliamo più palestinesi in questo paese!!!”
Tutto come al solito, mi chiede il passaporto e controlla il mio nome al computer... si ferma a guardare lo schermo per più di due minuti. Io so istantaneamente che il mio nome è sullo schermo, ma le informazioni che essi hanno di me, queste le ignoro... la donna chiama un tale, poi un’altra donna..., tra loro parlano in ebraico, ogni tanto guardano verso di me, rileggono le informazioni sul computer, non so quanto durerà la cosa, sono molto nervosa...
Arriva un altro tipo e comincia a parlarmi in arabo. Gli dico che non capisco; continua a parlarmi in arabo..., dopo di che mi dice: “Buona fortuna” e mi chiede di tornare nella sala controlli. Veramente, non me lo chiede, me lo ordina. Mi dice: “Muoviti ora”.
Entro nella sala controlli e mi ritrovo con tutti gli agenti della sicurezza israeliana addosso, più di 15 persone, nessuno di loro ha più di 22 anni, tutti pronti a giocare a questo gioco tanto importante nella loro vita, col potere tra le mani e con una terrorista di fronte a loro, vedo occhi eccitati, tutti in attesa degli ordini dell’uomo più anziano, il tipo con l’enorme M16 tra le mani.
Aprono tutto il mio bagaglio, mettono tutto su un tavolo e cominciano a controllare, tutto...

Dopo un po’, una giovane mi dice che deve perquisire il mio corpo; io, col sorriso sulle labbra rispondo: “OK, non c’è problema”, mentre mi perquisisce mi dice a bassa voce:”Mi dispiace, ma è il mio lavoro, puoi spogliarti completamente?”, rispondo di si, ma chiedo di tenere addosso la maglietta (non voglio mostrare il tatuaggio), ebbene, mi perquisisce completamente, apri le gambe, chiudi le gambe, siedi qui, alzati e apri di nuovo le gambe, ecc.... come l’anno scorso.
Dopo tutto questo, torna la donna dell’anno scorso e mi chiede se sono mai stata in Israele prima. Rispondo di si. “Perché sei tornata?”, mi chiede. Rispondo che ho degli amici in questo paese. “Amici arabi?”, mi chiede. “No, amici israeliani”. “Israeliani???” (La sua faccia cambia). “Sì, amici israeliani”. mi chiede i loro nomi e io glieli do.
Dopo avermi chiesto l’altro passaporto, un passaporto che io non ho, naturalmente, mi chiede di Gaza, di Nablus, di altri paesi arabi, mi chiede di nuovo del mio cognome...
Finalmente, mi lascia in pace, controllo l’ora. Sono le 10.30. Penso che il mio futuro in Palestina dipende da ciò che questa donna decide. Vorrei fumare, ma naturalmente non mi è permesso, “siedi lì e aspetta!!!”
Il tempo passa, sono nervosa, ma allo stesso tempo penso che ho aspettato questo momento da quando mi hanno rifiutato l’ingresso in patria l’anno scorso. Sono passati sei lunghi mesi e io sono di nuovo qui, per lo stesso motivo. Sono pronta di nuovo.

Guardo di nuovo l’orologio, sono le 12.15. Chiedo di usare il bagno. Mi dicono di no, mi ripetono di sedere e aspettare!!! Dopo 10 minuti le due donne tornano, ho voglia di piangere, so che una di esse ha i miei sogni nelle sue mani e mi rende il passaporto. Prendo la mia borsa (dopo averci rimesso ogni cosa dentro) e comincio a camminare.
Cammino con le lacrime agli occhi, il cuore colmo di emozioni, con tutti i ricordi della Palestina nella testa, nel cuore. In quei cinque o dieci minuti ricordo tutte le persone che ho incontrato a Nablus, quanto volevo tornarci, quanto poco ci mancava.
Un’uomo mi ferma e mi dice qualcosa che non voglio sentire, qualcosa che è solo nei miei incubi, qualcosa che ho già sentito un’altra volta: “Benvenuta in Giordania”.
Sono di nuovo ad Aqaba, con la Palestina davanti a me ma più lontana che mai.

Passo di nuovo i controlli alla frontiera giordana, riprendo il mio bagaglio e comincio a camminare. Sento che il mio bagaglio è più leggero, meno pesante di prima, ci sono ancora lacrime nei miei occhi, ma le mie gambe sono più forti, sono più forte, sono loro che mi fanno sentire così, non capiscono che ogni volta che rifiutano di far attraversare la frontiera ad un palestinese, riconoscono di fatto che noi Palestinesi siamo lì e devono usare il fucile per tenersi qualcosa che non appartiene loro, hanno paura di vederci lì, sapere che siamo lì, vicino, e che saremo sempre lì, sanno che la Palestina esiste!
Ho preso una stanza sul lungomare, comprerò una bottiglia di vino e questa notte berrò, berrò alla Palestina, sono fiera di essere palestinese.
Tutti voi sarete con me questa notte.

Nadia.

Tradotto dall'inglese in italiano da Manno Mauro, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (tlaxcala@tlaxcala.es). Questa traduzione è in Copyleft.