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Esce il nuovo libro di Bauman: Siamo liquidi e precari

di Zygmunt Bauman - 20/04/2006

 

Esce il nuovo libro di Bauman, nel quale il pensatore applica l'idea di modernità fluida: «Abbiamo perso il senso dell'eterno»

Siamo liquidi e precari

Di Zygmunt Bauman

Da tempo il sociologo Zygmunt Bauman ha dedicato i suoi studi alla categoria della «liquidità» come emblema della società moderna. Ora, con il libro «Vita liquida», che esce domani in libreria per i tipi di Laterza (pagine 192, euro 15) Bauman torna sulla questione applicandola al clima di instabilità e insicurezza che l’Occidente vive da qualche anno a questa parte. Anticipiamo ampi brani dell’introduzione, per gentile concessione dell’editore.

«Vita liquida» e «modernità liquida» sono profondamente connesse tra loro. "Liquido" è il tipo di vita che si tende a vivere nella società liquido-moderna. Una società può essere definita "liquido-moderna" se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. Il carattere liquido della vita e quello della società si alimentano e si rafforzano a vicenda. La vita liquida, come la società liquido-moderna, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo.
In una società liquido-moderna gli individui non possono concretizzare i propri risultati in beni duraturi: in un attimo, infatti, le attività si traducono in passività e le capacità in incapacità. Le condizioni in cui si opera e le strategie formulate in risposta a tali condizioni invecchiano rapidamente e diventano obsolete prima che gli attori abbiano avuto una qualche possibilità di apprenderle correttamente. È incauto dunque trarre lezioni dall'esperienza e fare affidamento sulle strategie e le tattiche utilizzate con successo in passato: anche se qualcosa ha funzionato, le circostanze cambiano in fretta e in modo imprevisto (e, forse, imprevedibile). Provare a capire come andrà in futuro sulla base di esperienze pregresse diventa sempre più azzardato e sin troppo fuorviante. Fare ipotesi attendibili diventa via via più difficile, e le previsioni infallibili ormai sono fuori dal mondo.
La vita liquida è, insomma, una vita precaria, vissuta in condizioni di continua incertezza. Le preoccupazioni più acute e ostinate che l'affliggono nascono dal timore di esser colti alla sprovvista, di non riuscire a tenere il passo di avvenimenti che si muovono velocemente, di rimanere indietro, di non accorgersi delle "date di scadenza", di appesantirsi con il possesso di qualcosa che non è più desiderabile, di perdere il momento in cui occorre voltare pagina prima di superare il punto di non ritorno. La vita liquida è una successione di nuovi inizi: ma è proprio perciò che le fini rapide e indolori, senza cui nuovi inizi sarebbero impensabili, tendono a rappresentare i momenti di massima contestazione e a procurare i mal di testa più insopportabili.
La vita nella società liquido-moderna non può mai fermarsi. Deve modernizzarsi (leggi: continuare a spogliarsi quotidianamente di attributi giunti alla propria data di scadenza, e a smontare/togliere le identità di volta in volta montate/ indossate) o perire. Spinta dall'orrore della scadenza, non richiede più di essere trainata dai sogni delle meraviglie immaginate come esito estremo dei travagli della modernizzazione.
Ciò che bisogna fare è correre con tutte le forze semplicemente per rimanere allo stesso posto, a debita distanza dalla pattumiera dove altri sono destinati a finire. La "distruzione creatrice" è il modo tipico di procedere della vita liquida, ma quell'espressione sorvola, passandolo sotto silenzio, sul fatto che la creazione distrugge altre forme di vita e, incidentalmente, anche esseri umani. La vita nella società liquido-moderna è una versione sinistra, ma seria, del gioco delle sedie. La vera posta in gioco è la salvezza (temporanea) dall'eliminazione, che comporterebbe il ritrovarsi tra gli scarti. E poiché la concorrenza diviene globale, anche la pista su cui si gareggia è ormai globale. Le maggiori possibilità di successo le hanno coloro che si trovano più vicini al vertice della piramide globale del potere, coloro per cui lo spazio non conta e l a distanza non è un fastidio: chi è di casa in tanti luoghi, e in nessuno in particolare. Persone leggere, briose e volatili come l'industria e la finanza, ormai sempre più globali ed extraterritoriali, che costoro hanno visto nascere e su cui basano la propria esistenza nomade. Secondo la descrizione di Jacques Attali, essi «non hanno né fabbriche, né terre, né incarichi amministrativi. La loro ricchezza deriva da un asset che portano con sé: la conoscenza delle leggi del labirinto». Individui simili «amano creare, godere, muoversi»; vivono in una società «dai valori volatili, incurante dell'avvenire, egoista e edonista»; in loro «prevale l'accettazione del nuovo come buona novella, della precarietà come valore, dell'instabilità come imperativo, del meticciato come ricchezza».
Il modello che essi tentano di imitare con tutte le forze, sebbene con esiti diseguali, è Bill Gates, quel prodigio di successo negli affari contraddistinto, secondo Richard Sennett, dalla «facilità con cui distrugge ciò che ha creato» e dalla capacità di «tolleranza nei confronti della frammentazione» - una «persona abbastanza sicura di sé da trovarsi a proprio agio nel disordine, che prospera mentre tutto viene rimescolato», da muoversi «all'interno di una rete di possibilità» come alternativa alla «paralisi nell'esecuzione di un lavoro particolare». L'orizzonte ideale di questi suoi seguaci somiglia forse a Eutropia, una delle Città invisibili di Italo Calvino, i cui abitanti, nel giorno in cui «si sentono assalire dalla stanchezza, e nessuno sopporta più il suo mestiere, i suoi parenti, la sua casa e la sua via, i debiti, la gente da salutare o che saluta, [... decidono] di spostarsi nella città vicina [... dove] ognuno prenderà un altro mestiere, un'altra moglie, vedrà un altro paesaggio aprendo la finestra, passerà le sere in altri passatempi amicizie maldicenze». Appiattito in un eterno presente e colmo di ansie di sopravvivenza e di gratificazione (gratificazi one per una sopravvivenza il cui scopo è ulteriore gratificazione), il mondo abitato dai "sottoproletari dello spirito" non lascia spazio che a preoccupazioni riguardo a ciò che si può, almeno in linea di principio, consumare e degustare subito, qui e ora.
L'eternità è ovviamente messa al bando. L'eternità, ma non l'infinito: finché dura, infatti, il presente può essere esteso oltre ogni limite, e contenere tutto ciò di cui, un tempo, si sperava di poter fare esperienza quando fosse giunta l'ora. Grazie al numero infinito di esperienze terrene che si spera di poter fare, non si sente la mancanza dell'eternità: anzi la sua perdita può persino passare inosservata. Il problema della mortalità dell'esistenza in un universo immortale è stato finalmente risolto: non ci si deve più preoccupare di ciò che è eterno, non si perde nessuna delle meraviglie dell'eternità e, anzi, nell'arco di una vita mortale diventa possibile esaurire tutto ciò che l'eternità abbia da offrire.