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La tecnica del “colpo di stato colorato” (I parte)

di John Laughland - 04/03/2010

 

La tecnica di un colpo di stato, a cui  più di recente si fa riferimento anche con “rivoluzione colorata”, trova riscontro delle sue origini in una ricca letteratura che ci fa risalire agli inizi del XX secolo. È stata applicata con successo dai neo-conservatori statunitensi per preparare il terreno a “cambiamenti di regime” in una serie di repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Comunque, la tecnica ha avuto un effetto contrario a quello desiderato quando è stata tentata in ambienti culturali diversi (Venezuela, Libano, Iran).       
John Laughland, che per il Guardian  ha prodotto articoli su alcune di queste operazioni, accende una nuova luce su questo fenomeno.

Nel corso di questi ultimi anni, tutta una serie di “rivoluzioni” è esplosa in differenti parti del mondo.

Georgia
Nel novembre 2003, il presidente Edouard Chevardnadze è stato rovesciato in seguito a manifestazioni e ad asserzioni non comprovate di elezioni presidenziali truccate. 

Ucraina
Nel novembre 2004, manifestazioni – la cosiddetta “Rivoluzione arancione” – hanno avuto inizio nel momento in cui venivano formulate accuse consimili di elezioni truccate. Il risultato è stato che il paese ha perso il suo antico ruolo geopolitico di ponte fra l’Est e l’Occidente ed è stato sospinto verso un’adesione alla NATO e all’Unione Europea. Considerato che la Kievan Rus è stato il primo Stato russo e che l’Ucraina attualmente ha assunto una posizione contraria alla Russia, siamo in presenza di un avvenimento storico.
Tuttavia, come affermava George Bush, “voi siete sia con noi che contro di noi”. Benché l’Ucraina abbia inviato un contingente di truppe in Iraq, evidentemente è stata considerata ancora troppo amica di Mosca.

Libano
Poco dopo le dichiarazioni da parte degli Stati Uniti e dell’ONU che le truppe siriane dovevano ritirarsi dal Libano, e successivamente all’assassinio di Rafik Hariri, le manifestazioni di Beirut sono state presentate come la “Rivoluzione dei Cedri”. Un’enorme contro-manifestazione di Hezbollah, il più importante partito filo-siriano, passava sotto silenzio nello stesso momento in cui la televisione mostrava senza fine la folla anti-siriana.
Esempio particolarmente eclatante di malafede orwelliana, la BBC spiegava ai telespettatori che “Hezbollah, il più grande partito politico del Libano, è fino a questo momento la sola voce dissidente che sostiene la permanenza dei Siriani nel Libano.”
Com’è possibile che la maggioranza popolare possa essere una “voce dissidente”? [1]

Kirgizistan
Dopo le “rivoluzioni georgiana ed ucraina”, numerosi sono coloro che predicevano che l’ondata di “rivoluzioni” si sarebbe abbattuta sulle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. E questo è quello che è avvenuto.
I commentatori sono sembrati divisi sulla questione di sapere quale colore attribuire all’insurrezione di Bichkek: rivoluzione “dei limoni” o dei “tulipani”? Non sono riusciti a mettersi d’accordo.
Ma erano sicuramente d’accordo su un punto: queste rivoluzioni sono “fredde”, anche se sono violente. Infatti, il presidente del paese, Askar Akaïev, è stato rovesciato il 24 marzo 2005 e i contestatori hanno preso d’assalto il palazzo presidenziale e lo hanno saccheggiato. 

Uzbekistan
Quando ribelli armati si impadronirono di edifici governativi, liberarono dei prigionieri e presero ostaggi nella notte fra il 12 e il 13 maggio 2005 nella città uzbeka di Andijan (situata nella valle di Ferghana dove i torbidi si erano innescati parimenti per il vicino Kirgizistan), la polizia e l’esercito accerchiarono i ribelli e ne risultò uno stallo che procedette per lungo tempo. Vennero condotti negoziati con i ribelli, i quali non cessavano mai di rincarare le loro rivendicazioni. 
Quando le forze governative li attaccarono, i combattimenti produssero qualcosa come 160 morti, di cui 30 fra le forze di polizia e dell’esercito.
Nondimeno, i media occidentali immediatamente presentarono in maniera distorta questi scontri violenti, pretendendo che le forze governative avessero aperto il fuoco su dei contestatari disarmati, sul “popolo”.
Questo mito, che si ripete senza posa, della rivolta popolare contro un governo dittatoriale è accettato a destra come a sinistra dello schieramento politico. 

Una volta, il mito della rivoluzione era manifestamente riservato alla sinistra, ma quando il putsch violento ha avuto luogo nel Kirgizistan, il Times si è tanto entusiasmato a proposito delle scene di Bichkek, che ricordavano all’articolista i film di Eisenstein sulla rivoluzione bolscevica; il Daily Telegraph esaltava la “presa del potere da parte del popolo” e il Financial Times faceva ricorso ad una metafora maoista ben conosciuta quando vantava la “lunga marcia del Kirgizistan verso la libertà”.  

Una delle idee chiave che stanno alla base di questo mito è naturalmente quella che il “popolo” appoggia questi avvenimenti e che questi ultimi sono spontanei. In realtà, sicuramente, queste sono operazioni ben concertate, spesso messe in scena tramite i mezzi di comunicazione, e, di abitudine, create e controllate da reti transnazionali di organizzazioni non governative, che sono strumenti del potere dell’Occidente. 

 

La letteratura sui colpi di Stato
Il mito della rivoluzione popolare spontanea perde la sua pregnanza in considerazione della vasta letteratura sui colpi di Stato e sulle principali tattiche utilizzate per provocarli.
Ben inteso, è stato Lenin a sviluppare la struttura organizzativa dedicata al rovesciamento di un regime, struttura che attualmente ci è nota sotto il nome di partito politico.
Lenin differisce da Marx per il fatto che non pensava che il cambiamento storico avvenisse come risultato di forze anonime ineluttabili. Lenin pensava che era necessario provocare il cambiamento.   

Ma è stato probabilmente Curzio Malaparte che per primo, nel suo Tecnica del colpo di Stato, ha dato una forma celebre a queste idee [2].

Pubblicato nel 1931, questo libro presenta il ribaltamento di regime come una procedura tecnica. Malaparte era in disaccordo con coloro che pensavano che i cambiamenti di regime avvenivano spontaneamente.
Egli inizia il suo libro riportando una discussione fra diplomatici a Varsavia nella primavera del 1920.
La Polonia era stata invasa dall’armata rossa di Trotskij, (comunque la Polonia aveva invaso l’Unione Sovietica occupando  Kiev nell’aprile 1920), e i bolscevichi erano alle porte di Varsavia.

La discussione aveva luogo fra il ministro della Gran Bretagna, Sir Horace Rumbold, e il Nunzio papale, Monsignor Ambrogio Damiano Achille Ratti (che due anni più tardi sarebbe divenuto Papa con il nome di Pio XI).
L’Inglese affermava che la situazione politica interna alla Polonia era così caotica che era inevitabile una rivoluzione e che il corpo diplomatico doveva abbandonare la capitale e rifugiarsi a Poznan. Il Nunzio non era d’accordo, insistendo sul fatto che una rivoluzione era senza dubbio possibile in un paese civilizzato come l’Inghilterra, l’Olanda o la Svizzera e non in un paese in preda all’anarchia. Naturalmente, l’Inglese era sconvolto all’idea che una rivoluzione potesse scoppiare in Inghilterra. “Mai!” sbottò.

I fatti gli hanno dato torto, visto che in Polonia non è scoppiata alcuna rivoluzione e questo, secondo Malaparte, perché le forze rivoluzionarie non erano sufficientemente ben organizzate.  Questo aneddoto permette a Malaparte di accostarsi alle differenze tra Lenin e Trotskij, due esperti in colpo di Stato. Egli sottolinea come il futuro Papa avesse ragione e che era sbagliato affermare essere necessarie certe condizioni perché avvenga la rivoluzione. 
Per Malaparte, come per Trotskij, è possibile provocare un cambiamento di regime non importa in quale paese, anche nelle democrazie stabili dell’Europa occidentale, a condizione che vi sia un gruppo di uomini sufficientemente determinati ad effettuarlo.

Fabbricare il consenso
Questo ci porta a fare riferimento ad altri testi relativi alla manipolazione mediatica.
Lo stesso Malaparte non affronta questo aspetto, che però a) risulta decisamente importante e b) costituisce un elemento della procedura tecnica utilizzata per i cambiamenti di regime, anche al giorno d’oggi.  

A dire il vero, il controllo dei media durante un capovolgimento di regime è così importante che una delle caratteristiche di queste rivoluzioni consiste nella costruzione di una realtà virtuale. Il controllo di questa realtà è esso stesso uno strumento di potere, tanto che al momento dei colpi di Stato classici nelle “repubbliche delle banane”, la prima cosa di cui si impadronivano i rivoluzionari era la radio.
Attualmente, le persone provano ancora una forte ripugnanza ad accettare l’idea che gli avvenimenti politici siano deliberatamente manipolati.

Questa stessa ripugnanza è un prodotto dell’ideologia dell’informazione, che lusinga la vanità delle persone e le induce a credere di avere accesso ad una somma considerevole di informazioni.
In effetti, l’apparente diversificazione di informazioni derivate dai media moderni nasconde una estrema povertà delle fonti originali, nella stessa maniera in cui una strada piena zeppa di ristoranti su una spiaggia della Grecia può nascondere la realtà di un’unica cucina nel retrostante.

Le informazioni sugli avvenimenti importanti provengono spesso da un’unica fonte, quasi sempre da un’agenzia di stampa, e anche coloro deputati alla diffusione delle informazioni, come la BBC, si accontentano di riciclare le informazioni ricevute da queste agenzie, comunque presentandole come farina del loro sacco.

I corrispondenti della BBC spesso stanno nelle loro camere di albergo quando spediscono i loro dispacci, leggendo per gli studi di Londra le informazioni che sono state loro trasmesse da colleghi in Inghilterra, che a loro volta le hanno ricevute da agenzie di stampa. 

Un secondo fattore che spiega la ripugnanza a credere alla manipolazione dei media è legato al sentimento di onniscienza che la nostra epoca di mezzi di comunicazione di massa ama assecondare: criticare le informazioni della stampa è come dire alle persone che sono credulone, e questo messaggio non è gradevole da ricevere.

La manipolazione mediatica ha molteplici aspetti. Uno dei più importanti è l’iconografia politica. Questa è uno strumento molto importante utilizzato per difendere la legittimità dei regimi che hanno preso il potere attraverso una rivoluzione. Basti pensare ad avvenimenti emblematici, come la presa della Bastiglia del 14 luglio 1789, l’assalto al Palazzo d’Inverno durante la rivoluzione dell’ottobre 1917, o la marcia su Roma di Mussolini del 1922, per rendersi conto che certi avvenimenti possono essere elevati al rango di fonti pressoché eterne di legittimità. 

Ciononostante, l’importanza della costruzione politica di immagini va ben al di là dell’invenzione di un emblema specifico per ciascuna rivoluzione. Essa implica un controllo molto più rigoroso dei mezzi di informazione e generalmente questo controllo deve essere esercitato su un lungo periodo, non solamente al momento del cambiamento di regime.

Risulta veramente essenziale che la linea del partito venga ripetuta ad nauseam.
Un aspetto della cultura mediatica di questo periodo, che numerosi dissidenti denunciano alla leggera, è che le opinioni degli oppositori possono venire espresse ed anche pubblicate, ma questo avviene precisamente perché, non rappresentando solo che gocce d’acqua in un oceano, queste non rappresentano mai una minaccia per la marea propagandistica. 

Willi Münzenberg
Uno dei maestri moderni del controllo dei mezzi di comunicazione è stato il comunista tedesco, da cui Goebbels ha appreso il suo mestiere, Willi Münzenberg.
Münzenberg non è stato solamente l’inventore della manipolazione, ma anche il primo ad avere messo a punto l’arte di creare una rete di giornalisti formatori di opinioni, per diffondere le idee funzionali alle necessità del Partito comunista tedesco e dell’Unione Sovietica. Con ciò, fece una fortuna edificando un vasto impero mediatico.

Münzenberg  è stato coinvolto nel progetto comunista fin dall’inizio. Apparteneva al circolo ristretto dei compagni di Lenin a Zurigo e nel 1917 accompagnò il futuro capo della rivoluzione bolscevica dalla stazione centrale di Zurigo alla stazione di Finlandia a San Pietroburgo in un treno piombato, con l’aiuto delle autorità imperiali germaniche.

Lenin richiese a Münzenberg di combattere la pubblicità deleteria suscitata dalla situazione di emergenza spaventosa del 1921, che sconvolgeva lo Stato sovietico di recente instaurato, per cui 25 milioni di contadini della regione del Volga rischiavano di morire di fame.

Münzenberg, che allora era rientrato a Berlino, dove in seguito veniva eletto come deputato comunista al Reichstag, fu incaricato di creare una organizzazione di soccorso operaio, il  Foreign Committee for the Organisation of Worker Relief for the Hungry in Soviet Russia – Comitato Estero per l’organizzazione del Soccorso Operaio contro la fame nella Russia Sovietica, il cui obiettivo era quello di far credere che i soccorsi umanitari provenivano da fonti diverse dalla Herbert Hoover’s American Relief Administration – Amministrazione di Herbert Hoover del Soccorso Americano.

Lenin temeva non solamente che Hoover utilizzasse il suo progetto umanitario per inviare spie nell’URSS, (cosa che effettivamente avvenne), ma ugualmente – fattore forse più importante – che il primo Stato comunista al mondo non dovesse soffrire fatalmente della pubblicità negativa dovuta al fatto che l’America capitalista gli veniva in aiuto a qualche anno dalla Rivoluzione.

Münzenberg, dopo avere ottenuto un grande successo nella raccolta di fondi e cibo per le vittime della carestia russa, rivolse la sua attenzione verso attività di propaganda più generali. 
Innalzò un vasto impero mediatico, conosciuto sotto il nome di “Trust Münzenberg”, che possedeva due quotidiani a larga diffusione in Germania, una rivista settimanale di massa e aveva interessi in altre pubblicazioni nel mondo.

Si mise in luce in modo particolare nel mobilitare l’opinione pubblica mondiale contro l’America  in occasione del processo a carico di Sacco e Vanzetti (i due immigrati italiani anarchici condannati a morte innocenti per omicidio nel Massachusetts nel 1921) e nel contrastare l’idea propagandata dai nazisti secondo cui l’incendio del Parlamento tedesco, il Reichstag, nel 1933, fosse opera di un complotto comunista. Ricordiamo che i nazisti presero come pretesto questo incendio per procedere ad arresti e ad esecuzioni in massa di comunisti. (Attualmente si pensa che il fuoco sia stato appiccato in realtà a titolo individuale dall’uomo che fu immediatamente arrestato nell’edificio, un piromane di nome Martinus van der Lubbe).

Münzenberg riuscì a convincere una parte importante dell’opinione pubblica attraverso una menzogna opposta a quella dei nazisti, vale a dire che quelli che avevano dato fuoco erano gli stessi nazisti che cercavano un pretesto per sbarazzarsi dei loro principali avversari.

Il fatto più importante per la nostra epoca è che Münzenberg comprese bene come sia importante influenzare i facitori di opinioni.

Egli prendeva essenzialmente come obiettivo gli intellettuali, partendo dall’idea che erano i più facili da influenzare in ragione della loro grande vanità. In modo particolare, aveva contatti con un gran numero di personalità del mondo letterario degli anni Trenta. Münzenberg ne incoraggiò molti a sostenere i Repubblicani durante la guerra civile spagnola e a fare di questa lotta una causa celebre dell’antifascismo comunista.

Attualmente, la tattica di Münzenberg riveste una grande importanza nella manipolazione dell’opinione pubblica in favore del Nuovo Ordine Mondiale.
Più che mai, “esperti” fanno la loro comparsa sui nostri piccoli schermi per delucidarci sugli avvenimenti e costoro sono sempre veicoli della linea ufficiale di qualche partito o fazione. Essi vengono tenuti sotto controllo con modalità differenti, generalmente con il denaro o con lusinghe. 

Psicologia della manipolazione dell’opinione pubblica 
Esiste tutta una serie di opere che puntano il dito su un aspetto un po’ differente dalla tecnica specifica messa a punto da Münzenberg. Si tratta delle modalità con cui si inducono le persone ad agire collettivamente, ricorrendo a stimoli di natura psicologica. 

Potrebbe essere che il primo teorico importante in questa materia sia stato il nipote di Freud, Edward Bernays, che scriveva nella sua opera Propaganda, apparsa nel 1928, come fosse del tutto naturale e giustificato che i governi plasmassero la pubblica opinione per fini politici [3].

Il primo capitolo porta il titolo rivelatore seguente: “Organizzare il caos”.

Per Bernays, la manipolazione consapevole ed intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse è un elemento importante delle società democratiche.

Coloro che manipolano i meccanismi segreti della società costituiscono un governo invisibile, che rappresenta il potere effettivo. Noi siamo eterodiretti, i nostri pensieri sono condizionati, i nostri gusti sono costruiti ad arte, le nostre idee sono suggerite essenzialmente da uomini di cui noi non abbiamo mai inteso parlare. È la conseguenza logica della maniera in cui la nostra società democratica è strutturata.

Un grande numero di esseri umani devono cooperare per potere vivere insieme in una società che funzioni bene. In quasi tutti gli atti della nostra vita quotidiana, che si tratti della sfera politica, di affari, dei nostri comportamenti sociali o delle nostre concezioni etiche, noi siamo dominati da un numero relativamente ridotto di persone che conoscono i processi mentali e le caratteristiche sociali delle masse. Sono queste persone che controllano la pubblica opinione.

Per Bernays, molto spesso questi membri del governo invisibile non conoscono essi stessi chi sono gli altri membri. La propaganda è il solo mezzo per impedire all’opinione pubblica di sprofondare nel caos.
 
Bernays ha continuato a lavorare su questo argomento dopo la guerra  e nel 1947 ha pubblicato The Engineering of Consent – La costruzione del consenso [4], titolo al quale Edward Herman e Noam Chomsky hanno fatto riferimento quando hanno pubblicato nel 1988 la loro opera importantissima La fabrique du consentement  [5].

Il rapporto con Freud è decisivo in quanto, come andremo ad esaminare, la psicologia è uno strumento capitale per influenzare l’opinione pubblica.

Secondo due degli autori che hanno collaborato a La fabrique du consentement, Doris E. Fleischmann e Howard Walden Cutler, ogni leader politico deve fare appello alle emozioni umane primarie al fine di manipolare le opinioni.

L’istinto di conservazione, l’ambizione, l’orgoglio, la bramosia, l’amore per la famiglia e per i bambini, il patriottismo, lo spirito di imitazione, il desiderio di comando, il gusto dell’azione, così come altri bisogni, sono le materie brute psicologiche che ciascun leader deve prendere in considerazione nei suoi tentativi per conquistare l’opinione pubblica alle sue idee.

Per mantenere la fiducia nei leader, la maggior parte delle persone hanno necessità di essere sicuri che tutto quello in cui credono sia corrispondente al vero. 

Questo era quello che Münzenberg aveva ben compreso: il bisogno fondamentale degli uomini di credere in ciò che essi vogliono credere. Thomas Mann faceva allusione a questo fenomeno quando attribuiva l’ascesa di Hitler al desiderio collettivo del popolo tedesco di credere ad un “racconto di fate” che dissimulava la squallida realtà.

Su questo argomento, meritano di essere citate altre opere che non trattano per ragioni temporali della propaganda elettronica moderna ma che si rivolgono piuttosto verso la psicologia delle masse.  Pensiamo ai classici come la Psychologie des foules – Psicologia delle masse di Gustave Le Bon (1895) [6], Masse und Macht – Massa e potere d’Elias Canetti (1960) [7] e Le viol des foules par la propagande politique – Lo stupro delle folle da parte della propaganda politica di Serge Tchakhotine (1939) [8].

Tutte queste opere fanno abbondante riferimento alla psicologia e all’antropologia. Non bisogna dimenticare l’opera grandiosa dell’antropologo  René Girard, i cui scritti sulla logica dell’imitazione (mimesis) e sulle azioni violente collettive sono eccellenti strumenti per comprendere perché l’opinione pubblica può tanto facilmente essere indotta a sostenere la guerra e altre forme di violenza politica.

Tecnica della formazione dell’opinione pubblica
Dopo la guerra, numerosissime tecniche messe a punto dal comunista Münzenberg furono adottate dagli Stati Uniti, come dimostrato in modo magnifico dall’eccellente lavoro di Frances Stonor Saunders, Qui mène la danse ? La CIA et la Guerre froide culturelle – Chi conduce la danza? La CIA e la Guerra fredda culturale [9].

Saunders spiega in maniera estremamente dettagliata come, all’inizio della Guerra fredda, gli Statunitensi e i Britannici dettero inizio ad una importante operazione clandestina destinata a finanziare intellettuali anti-comunisti. [10].

L’elemento fondamentale è che essi concentrarono la loro attenzione su alcune personalità della sinistra, soprattutto su trotskisti che non avevano mai smesso di sostenere l’Unione Sovietica, se non nel 1939 quando Stalin firmò il Patto di non-aggressione con Hitler, e che avevano spesso collaborato in precedenza con Münzenberg.

Un gran numero di queste persone, che si situavano al punto di congiunzione fra il comunismo e la CIA all’inizio della Guerra fredda, sono divenuti dei neo-conservatori di primo piano, in particolare Irving Kristol, James Burnham, Sidney Hook e Lionel Trilling [11].

Le origini di sinistra, per meglio dire trotskiste, del neo-conservatorismo sono conosciute, anche se continuo ad essere sorpreso da nuovi particolari che vado scoprendo, ad esempio che Lionel e Diana Trilling sono stati sposati da un rabbino che considerava Felix Dzerjinski, fondatore della polizia segreta bolscevica, la Čeka ( antenata del KGB), il controaltare comunista della polizia politica di Himmler, come un modello di eroismo.

Queste origini di sinistra mantengono una relazione particolare con le operazioni clandestine evocate da Saunders, visto che l’obiettivo della CIA era precisamente quello di influenzare gli oppositori di sinistra al comunismo, vale a dire i trotskisti. Molto semplicemente, l’idea della CIA era che gli anti-comunisti di destra non avevano alcun bisogno di essere influenzati ed ancor meno di venire pagati.

Stonor Saunders cita Michael Warner quando scrive:
“Per la CIA la strategia di sostenere la sinistra anti-comunista doveva diventare il fondamento teorico delle operazioni politiche della CIA contro il comunismo nel corso dei due decenni successivi.”
Questa strategia veniva descritta in The Vital Center : The Politics of Freedom di Arthur Schlesinger (1949) [12], opera che costituisce una delle pietre angolari di quello che più tardi divenne il movimento neo-conservatore.

Stonor Saunders scrive:
“L’obiettivo di sostenere gruppi di sinistra, non era né di distruggere né di dominare questi gruppi, ma piuttosto di mantenere con loro una discreta prossimità e di dirigere il loro pensiero, di procurare loro un modo per liberarsi dalle inibizioni inconscie e, al limite, di opporsi alle loro azioni nel caso in cui fossero diventati eccessivamente… radicali.” 

Le modalità attraverso cui questa influenza di sinistra fece sentire i propri effetti furono molteplici e variegate.
Gli Stati Uniti erano decisi a fornire di se stessi un’immagine progressista, che contrastasse con quella di una Unione Sovietica “reazionaria”. In altre parole, volevano mettere in attuazione le stesse cose che facevano i Sovietici.

Ad esempio, negli ambienti musicali statunitensi, Nicolas Nabokov (il cugino dell’autore di Lolita) era uno dei principali esponenti del Congresso per la libertà della Cultura.

Nel 1954, la CIA aveva finanziato un festival della musica a Roma nel corso del quale l’amore “autoritario” di Stalin per compositori russi come Rimski-Korsakov e Tchaïkovski veniva “contrato” dalla musica moderna non ortodossa ispirata dal dodecafonismo di Schoenberg. Per Nabokov, promuovere una musica che eliminava in modo eclatante le gerarchie naturali, era lanciare un chiaro messaggio politico.

Un altro progressista, il pittore Jackson Pollock, ex comunista, fu allo stesso modo sostenuto dalla CIA. I suoi “imbrattamenti” venivano considerati rappresentare l’ideologia americana di “libertà” opposta all’autoritarismo della pittura del realismo socialista.

(Questa alleanza con i comunisti aveva preceduto la Guerra fredda: il pittore di affreschi messicano comunista Diego Rivera venne patrocinato da Abby Aldrich Rockefeller ma la loro collaborazione ebbe bruscamente termine quando Rivera si rifiutò di ritirare un ritratto di Lenin da una scena di massa dipinta sui muri del Rockefeller Center nel 1933.)



   
Jackson Pollock                                                                              Diego Rivera

Questa commistione fra la cultura e la politica venne incoraggiata apertamente da un organismo della CIA che portava un nome molto orwelliano, l’Ufficio di Strategia Psicologica, PSB. 

Nel 1956, questa organizzazione sostenne una tournée europea della Metropolitan Opera (Met), che aveva lo scopo politico di incoraggiare il multiculturalismo.

L’organizzatore, Junkie Fleischmann, affermava:
“Noi, negli Stati Uniti, siamo un melting-pot e con questo dimostriamo che i popoli possono intendersi indipendentemente dalla razza, dal colore della pelle o dalla loro confessione.
Utilizzando il termine melting-pot, o una qualsiasi altra espressione, noi potremo presentare il Met come un esempio per cui gli Europei immigrati negli Stati Uniti hanno potuto intendersi, e, di conseguenza, suggerire che una specie di Federazione europea è sicuramente possibile.”

Sia detto per inciso, questo è esattamente l’argomento utilizzato da Ben Wattenberg che, nella sua opera The First Universal Nation, sostiene che gli Stati Uniti possiedono un diritto particolare all’egemonia mondiale in quanto inglobano tutte le nazioni e razze del pianeta.

L’identica idea è stata espressa da Newt Gingrich e da altri neoconservatori.

Fra gli altri temi proposti, alcuni sono al centro dell’ideologia neo-conservatrice di oggi. Il primo fra questi corrisponde all’opinione autenticamente liberale di un universalismo morale e politico. Questo ha costituito il nucleo della filosofia della politica estera di George W. Bush. In numerose occasioni Bush ha dichiarato che i valori politici sono i medesimi nel mondo intero ed ha utilizzato questa affermazione per giustificare l’intervento militare in favore della “democrazia”. 

Agli inizi degli anni Cinquanta, Raymond Allen, direttore dell’Ufficio di Strategia Psicologica (l’Ufficio di Strategia Psicologica fu immediatamente designato unicamente attraverso le sue iniziali PSB, senza dubbio allo scopo di tenere nascosto quello che veniva direttamente espresso dal nome intero) era già pervenuto alla seguente conclusione: 

“I principi e gli ideali contenuti nella Dichiarazione di Indipendenza e nella Costituzione sono destinati ad essere esportati e costituiscono il patrimonio degli uomini in tutto il mondo. Noi dovremo orientarci verso i bisogni fondamentali dell’umanità che, io credo, siano gli stessi per l’agricoltore del Texas come per quello del Pendjab.”

Certamente, sarebbe falso attribuire la diffusione delle idee unicamente alla manipolazione clandestina. Le idee si iscrivono in vasti movimenti culturali, le cui fonti originali sono molteplici. Ma è fuori dubbio che il dominio di queste idee può essere considerevolmente facilitato mediante operazioni clandestine, particolarmente in quanto i membri delle società dell’informazione di massa sono straordinariamente influenzabili. Non solamente essi credono a ciò che leggono sui giornali, ma immaginano di essere arrivati in modo autonomo alle conclusioni. Di conseguenza, l’astuzia per manipolare l’opinione pubblica consiste nell’applicare quello che è stato teorizzato da Bernays, introdotto e messo in pratica da Münzenberg ed elevato al rango di grande arte dalla CIA. 

Secondo l’agente della CIA Donald Jameson, rispetto ai comportamenti che l’Agenzia desidera suscitare mediante le sue attività, è evidente che la CIA desidera formare delle persone intimamente persuase che tutto quello che il governo mette in esecuzione sia giusto. Altrimenti detto, quello che la CIA e altre agenzie hanno messo in esecuzione in questo periodo è stato di adottare la strategia che bisogna associare al marxista italiano Antonio Gramsci, che affermava che l’“egemonia culturale” era essenziale per la rivoluzione socialista.