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Niente pony express, per quest'anno

di Uriel - 21/03/2010

Fonte: Wolfstep

Le risposte ed i commenti che mi sono saltati fuori dal post "la leggenda  dell'ascensore sociale" mi hanno fatto capire quanto sia malinteso il concetto di  scolarita' e di scuola pubblica. Del resto, c'e' da dire una cosa: se coloro che si  prendono "un pezzo di carta per andare ad insegnare" sono persone che non sanno fare  nulla, di certo non potranno insegnare a far qualcosa. Tuttavia, ci sono alcuni  concetti che secondo me sarebbe ora di dire.    Lo stato spende dei soldi per far studiare la gente. Ovviamente, tale investimento  deve avere un ritorno, oppure essere uno spreco di denaro pubblico. Poiche' ogni  spesa dello stato e' (o deve essere) indirizzata al vantaggio comune, va da se' che se  da un lato lo stato ti caccia del soldi per farti studiare, dall'altro prima o poi gli  dovranno ritornare.      Cosi', un sistema di studi ha il dovere di ogni altra parte dello stato, ovvero fare il  bene materiale della nazione. Non e' pensabile un sistema di studi che produca  disoccupati. Di conseguenza, esso dovrebbe essere ritagliato sui bisogni reali  dell'economia. Che non sono adatti al modello scolastico occidentale, di certo,  italiano nel dettaglio.    Possiamo dividere le attivita' economiche in due: PMI e grandi aziende.    Nelle PMI il bisogno di laureati e' minimo. Servirebbero tanti ottimi periti  industriali (se si cerca un tecnico) o figure intermedie se si cercano figure come il  ragioniere, il geometra, eccetera. Inoltre servono figure professionali  (elettricisti, meccanici, saldatori, etc).    Una scuola tarata sulle PMI, quindi, e' una scuola tarata sulla figura del diplomato  che esce da una scuola tecnica. I dirigenti sono pochi, e anche se dovessimo imporre  che siano tutti laureati i posti non basterebbero.    Del resto, anche le grandi aziende hanno una struttura piramidale: i manager sono  pochi, e sono molti i lavoratori. Morale della storia: anche nelle grandi imprese  forse ci sara' piu' bisogno di gestionali, ma di gestionali di ordine "ragioniere" , e  pochi laureati a gestire il tutto.    Lo stesso dicasi per l'eccellenza: e' inutile che vi incazziate perche' in Italia si  fa poca eccellenza. L'eccellenza e' poca per definizione; il primo della classe e'  uno, gli altri non fanno testo. Cosi', anche la cosiddetta eccellenza non puo' dare  lavoro a grandi masse di persone.    Vogliamo parlare di ricerca? Certo, se ne fa poca. Ma anche facendo ricerca quanto la  Germania (cosa che non abbiamo le risorse per fare), assorbiremmo poche migliaia di  persone. Non e' che i ricercatori qui siano milioni, eh.    Ed e' proprio qui il punto. L' Italia avrebbe un gigantesco bisogno di figure con  diplomi in scuole tecniche. Operai specializzati e tecnici. Il vecchio ITIS,  insomma. Questo, se parliamo di numeri.    E' la figura piu' cercata dalle PMI, e' la figura di operaio ideale, anche perche' esce  giovane da scuola, quindi lo assumi diciottenne e lo formi. Mi fa ridere il laureato  che a 26 anni pretende di essere formato, a dire il vero: dai 6 ai 26 anni significa 20  anni sui banchi, non mi aspetto che 2-3 anni di formazione, qualsiasi cosa sia,  possano fare di te una persona diversa.    Invece in Italia si e' verificata una spaccatura gigantesca. Da un lato quasi tutti  quelli che si sono diplomati hanno deciso di studiare all'Universita'. Questo ha  tolto moltissime risorse giovani, dai 18 ai 26 anni, sia alle PMI che alle imprese piu'  grandi, che hanno dovuto delocalizzare.    Oggi come oggi un perito con qualche anno di esperiena guadagna piu' di un ingegnere, e  un geometra che si sia buttato sul mercato subito dopo il diploma arriva all'eta di  laurea di un architetto che gia' ha una clientela ed e' sistemato.    Ma quelli non ci sono piu': il patrimonio si e' dissolto perche' tutti hanno voluto  fare l'universita': uscendo tardi, quando le conoscenze e la manualita' appresa  alle scuole tecniche delle superiori si erano perse, e quindi risultando meno  appetibili alle imprese.    L'altra parte del paese ha abbandonato la scuola PRIMA del diploma, magari facendo  corsi della regione. Pensando "beh, un posto in fabbrica lo trovero' pure". Eh,  peccato che le fabbriche di oggi non siano piu' posti dove puoi andare da ignorante, e  se non richiedono una laurea, saper usare il tornio, piuttosto che saper fare due o tre  cose di bilancio non lo impari alle scuole medie o ai corsi della regione.    Il risultato e' molto semplice: le aziende non trovano quella "fascia media" che  serve loro. Trovano gente con grandi aspirazioni, bassa produttivita' , bassa  manualita' e una laurea, oppure gente che vorrebbe si' fare l'operaio, ma non e'  abbastanza specializzato.    Questa forbice di scolarita' tra chi ne ha molta e chi ne ha veramente poca si e' andata  allargando sempre di piu', e poiche' qualsiasi economia industriale ha bisogno  specialmente di queste figure, il risultato e' catastrofico    Oggi il tasso di delocalizzazione medio italiano e' del 7.5%. La disoccupazione e'  attorno al 10%, e 2.5% e' considerata "piena occupazione". Ma per rientrare in italia  le laziende avrebbero bisogno che TUTTI i nostri disoccupati si trasformassero  negli operai specializzati che hanno trovato all'estero.    Ma i nostri disoccupati non sono esattamente cosi': o hanno abbandonato la scuola  troppo presto, perdendo specializzazione e manualita'(1), oppure troppo tardi,  arrivando sul mondo del lavoro con delle pretese che per i numeri in gioco non si  possono realizzare.    Allora tutti dicono: ma in americafranciolanda lo fanno. Certo. Se anche l'Italia  fosse stata un impero coloniale come l' Olanda e avesse accumulato ricchezze per  trecento anni, se anche in italia fossimo 300 milioni su un territorio grande come un  continente e mai sfruttato sino a tre secoli fa, se anche in Italia avessimo avuto  bacini carboniferi e acciaiferi negli scorsi 200 anni, si potrebbe fare.    Sfortunatamente, non siamo 300 milioni, non abbiamo un impero militare, non abbiamo  avuto un passato da superpotenza coloniale e non abbiamo un intero continente di  risorse naturali a disposizione.    Rientriamo quindi nel caso del "no, non puoi avere il tuo pony". L'italia e' un paese  che per forza di cose, per geografia e storia, vivra' sempre sullo stato e su una  piramide sociale molto appuntita. Perche' ci sono poche risorse, con la sola  esclusione del Mar Mediterraneo e della posizione.(2)    Anche se sfruttassimo il mare al meglio, come dovremmo, comunque non potremmo essere  una nazione come gli USA o la Germania, perche' saremmo una nazione commerciale. Nei  porti ci sono i manager, ma per ogni manager ci sono 500 scaricatori. Anche se oggi fare  lo scaricatore puo' richiedere un diploma, non e' certo qualcosa per il quale si  assumerebbero laureati, i quali poi vorranno fare carriera.    Morale della storia: e' venuta a mancare in Italia la fascia di lavoratori (spesso  geniali) che ci ha resi forti. Cioe' tutti quei periti, geometri, ragionieri,  diplomati in lingue, che con un rapporto tra SPESA (necessaria a formarli) e  rendimento economico molto alto (in proporzione ai costi) ci rendevano  competitivi. Dal punto di vista del manufatturiero italiano, il rapporto ideale  spesa/rendimento e' il diplomato di una scuola tecnica, non il laureato.    Un'economia ove tutti gli operai sono laureati NON e' competitiva: si spende troppo  per un'istruzione inutile, quindi non sara' competitiva. Lo scopo e' il massimo  vantaggio al minimo costo; per cui se basta un diplomato, spendere quei  trenta/quarantamila(3) euro che costa far laureare una persona e' uno spreco che  rende meno competitiva l'economia nazionale.    Signori: costate.    Rendete? Questo e' il problema.   La storia dell'ascensore sociale ha distrutto il paese, perche' ha s  vuotato quell'area di competenze intermedie che serviva alle aziende italiane. E  intendiamoci, l'ottimo risultato ottenuto in passato era dovuto proprio a questa  gente: ma quando il vecchio perito meccanico se ne e' andato in pensione, l'azienda ha  trovato solo ingegneri meccanici. Che non stanno di fronte ad un tornio otto ore al  giorno per principio, (scherziamo?) e che quindi non servono: delocalizzare era una  scelta obbligata. Quando la vecchia ragioniera del piccolo studio se n'e' andata in  pensione, sul mercato era pieno di laureati in economia e commercio; oltre a non saper  fare un bilancio(4), le loro aspettative di carriera NON comprendevano l'idea di  mettersi a fare bilanci per un negozio di calzature. Tutti manager.    Questo ha distrutto l'occupazione: lo svuotamento della fascia di competenza  media, che alimentava sia le PMI che le fabbriche italiane.    Ripeto il ragionamento:   Oggi il tasso di delocalizzazione medio italiano e' del 7.5%. La disoccupazione e'  attorno al 10%, e 2.5% e' considerata "piena occupazione". Ma per rientrare in italia  le laziende avrebbero bisogno che TUTTI i nostri disoccupati si trasformassero  negli operai specializzati che hanno trovato all'estero.    Ma vedete, non cantate vittoria, perche' il problema non e' che sareste disposti ad  andare a fare gli operai se le grandi aziende rilocalizzassero: il problema e' che non  lo sapreste fare.    Quando la gente vede che io, che sono un architetto di sistemi, non mi faccio problemi  ad aprire la scatola e correggere una riga di codice , o mettere le mani su un  application server, rimane scandalizzata. Come , tu accetti una cosa simile? Non sei  un tecnico (tecnico=disprezzo), tu sei un architetto. Non devi conoscere i  dettagli.    Secondo loro io dovrei stare a fare powerpoint e Visio, ssh non dovrei neanche  vederlo. Cos'e' quel quadrato nero che hai sullo schermo? Questa e' la verita': ma  nello scandalo del neolaureato che non comprende che un architetto di sistema in  teoria deve poter ribaltare il sistema fino all'ultima riga di codice (si, il codice,  quella roba brutta che bisogna studiare) si consuma una tragedia nazionale, quella  di un paese diviso tra persone troppo poco scolarizzate per le esigenze  dell'industria reale e quelle troppo scolarizzate per i posti disponibili nella  piramide sociale.    Siamo stracolmi di PM che "non devono per forza capire qualcosa di tecnico", di  architetti di sistema che "non devono fare troubleshooting", di sviluppatori che  "non devono per forza aver studiato , perche' la conoscenza dell' ultimo RAD conta di  piu'"... tutta gente inutile per l'industria, e non ci saranno MAI abbastanza posti  nel management, nell'eccellenza (che per forza di cose non e' mainstream) o nella  ricerca da assorbirli tutti. Ammesso sia vero che un manager non debba sapere nulla di  tecnico, cosa che non credo. La verita' e' che l'alto livello di scolarizzazione per  molti e' solo un'altra scusa per non saper fare un cazzo in maniera altisonante.    insomma, perche' vi lamentate se non trovate lavoro? In fondo, evitare di sporcarvi  le mani non e' quello che volevate sin dal principio?   Voi che vi scandalizzate perche' nei commenti ho ammesso di essere un architetto di  sistema che in caso di emergenza si va a debuggare un application server, che genere di  lavoro pensate di poter fare? No, indossare la cravatta non e' un lavoro. Pensate  davero di saper disegnare un sistema senza sapere come funzionano i suoi componenti,  cari "architetti che non si sporcano le mani"?    Note    (1) La farsa ridicola delle nostre universita' dopo al riforma e' incredibile. Ogni  studente vanta centinaia di ore di laboratorio. Poi si scopre che i cessi sono  "laboratori di minzione", che gli ascensori sono "laboratori di pulsanteria" , e che  le sale per le fotocopiatrici sono "laboratori di speculazione". Arrivano ai  colloqui vantando di avere esperienza di project management , e ti menzionano il  fatto di essere stati "team leader" in un gruppo di studi di un progetto  universitario. Insomma, facevano i compiti coi compagni e dicevano loro cosa fare.  Sarebbe meglio se non vi copriste di ridicolo in questo modo, se volete andare ad un  colloquio.    (2) Articolo interessante: nell'ultimo anno il nostro export e' calato in europa e in  USA per via della crisi, ma ha recuperato ed e' andato in miglioramento perche' sono  aumentati i traffici nel mediterraneo.    (3) Stando all' OCSE, la spesa italiana per studente universitario e' attorno ai 6000  euro/anno, compreso il periodo di tesi.    (4) Se non esistessero i programmi di contabilita', la stragrande maggioranza dei  commercialisti chiuderebbe. Non sanno calcolare