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Se la città si allaga per colpa dell'uomo

di Valerio Ceva Grimaldi - 01/04/2010



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Il geologo Riccardo Caniparoli spiega: «I pali di fondazione dei piloni dei viadotti hanno perforato gli strati impermeabili di confinamento delle falde artesiane profonde». E così l’acqua ha invaso campi e case.

Terra ieri ha raccontato del caso di Casalnuovo di Napoli dove, dopo la costruzione dei viadotti per la Tav, un’intera zona del paese si è allagata. Cantine e garage delle case del circondario sono sotto un metro d’acqua. Da due anni. Ne abbiamo parlato con Riccardo Caniparoli, geologo, esperto di dissesto idrogeologico, membro di un tavolo tecnico del ministero dell’Ambiente e docente di Valutazione di impatto ambientale. Che a Casalnuovo ha compiuto un apposito sopralluogo.
 
Che situazione ha trovato? 
Quello che sta accadendo a Casalnuovo è lo stesso fenomeno che individuai nel 1985 per le zone dove fu realizzato il Centro direzionale di Napoli (un’intera cittadella di uffici, case e grattacieli, dalla superficie di circa 110 ettari, ndr).
 
Quali anomalie ha riscontrato?
Quando si interviene in prossimità delle foci dei fiumi con opere che interessano il sottosuolo immancabilmente avvengono fenomeni di rigurgito delle acque sotterranee con l’emergenza in superficie delle acque delle falde sotterranee e l’impaludamento di tutte le zone a monte. 
 
Come è possibile che i progetti per i lavori relativi d un’opera così importante, come la linea ferroviaria ad Alta velocità, non siano in grado di prevedere la presenza di una falda acquifera?
La presenza della falda acquifera e/o delle falde in un territorio è facile da prevedere e individuare; quello che è più complesso, e pochi progettisti fanno, è di prevedere e valutare la modifica delle circolazioni idriche sotterranee a seguito di ciò che si realizza. Quello che è logico per coloro i quali operano con la natura non lo è per quelle discipline di progettisti che pensano che il territorio sia un’entità statica nel tempo e nello spazio e pertanto considerano l’ambiente naturale trasformabile a seconda delle esigenze dell’uomo senza preoccuparsi di rispettare le regole della natura. 
 
L’ambiente e l’assetto idrogeologico del territorio in Italia sono tutelati?
Mi interesso ormai da quarant’anni di questi problemi e ho visto vandalizzare il territorio da Nord a Sud, da Est a Ovest, sia da opere pubbliche sia da privati, e posso affermare che l’ambiente e l’assetto idrogeologico di tutto il territorio italiano non sono tutelati e non lo saranno fin quando non si modificherà sia la mentalità di gestione del territorio sia l’approccio metodologico e progettuale delle opere che su di esso si vanno a realizzare. Oggi l’idea di realizzare un’opera, pubblica o privata che sia, nasce dall’esigenza di soddisfare un legittimo bisogno collettivo o individuale e nel caso specifico, dato che si parla del treno ad Alta Velocità, la realizzazione di un sistema di trasporto più efficiente e rapido al fine di movimentare persone e beni da un posto a un altro. La soddisfazione di questo bisogno oggi si attua con l’individuazione del tracciato più breve senza preoccuparsi se questo tracciato sia compatibile o meno con i fattori che regolano gli equilibri naturali e se questi equilibri evolutivi saranno garantiti nel tempo e nello spazio. 
 
Qual è l’iter che viene seguito in questi casi?
Una volta individuato il tracciato con una linea su una carta topografica, si incaricheranno gli ingegneri e gli architetti, per redigere lo studio iniziale, con l’individuazione delle infrastrutture da realizzare. Solo dopo questa fase si procederà all’elaborazione dei progetti preliminari, definitivi ed esecutivi che seguiranno quel tracciato.  Solo durante l’elaborazione delle diverse fasi progettuali saranno incaricati i geologi ai quali sarà demandato solo il compito di caratterizzare i suoli interessati senza chiedergli se quel tracciato sia compatibile o meno con il territorio e i suoi equilibri dinamici, nel tempo e nello spazio. Dopo l’approvazione delle tre fasi progettuali si eseguirà l’opera con le sue varianti le quali, spesso, sono giustificate dalla cosiddetta “sorpresa geologica” che poi sorpresa non è, se gli studi geologici e le indagini sono calibrate in funzione dell’opera e della previsione delle variazioni degli equilibri ambientali che avvengono durante i lavori. Sempre, tranne qualche rara eccezione, il compito del geologo termina con l’approvazione del progetto e quindi non partecipa, neanche come collaboratore, alla direzione dei lavori che è poi la fase più delicata per le opere che incidono in maniera rilevante sul terreno. Questa impostazione metodologica, a mio avviso, è affetta da un peccato originale. 
 
Quale?
In fase di elaborazione dello studio iniziale, ci si preoccupa solo di individuare il tracciato più breve e non il tracciato più compatibile con l’ambiente e i suoi equilibri. L’esperienza del disastro del Vajont del 1963 con 1.917 vittime, la frana di Val di Stava 1985 con 268 vittime, l’alluvione di Sarno del 1998 con 159 vittime, e le recenti frane e alluvioni di Giampilieri, della Valle del Serchio e di Maierato non hanno insegnato nulla. Tutte queste calamità, come tante altre, non possono essere chiamate naturali o catastrofi naturali perché le responsabilità non possono essere imputate agli eventi naturali. La calamità è sempre causata dall’uomo e non dalla natura perché è l’uomo che, nei suoi deliri di onnipotenza, costruisce dove non dovrebbe, trasforma il territorio a suo piacimento senza rispettare i processi naturali, creando così le condizioni per l’evento calamitoso.
 
Nello specifico caso di Casalnuovo assisto all’assurdo che, dopo la realizzazione del Centro direzionale di Napoli iniziato nel 1985 e mai completamente finito, si vada a edificare il tracciato della Tav nella medesima valle alluvionale, con le stesse tecniche e le stesse impostazioni metodologiche progettuali che hanno prodotto i medesimi danni al territorio e dove si ripresentano i medesimi effetti indesiderati di rigurgito in superficie della falda idrica. Nel caso di Casalnuovo, credo che i pali di fondazione dei piloni dei viadotti della Tav abbiano perforato gli strati impermeabili di confinamento delle falde artesiane profonde e per questo l’acqua sgorga dal sottosuolo. Non bisogna essere geologi per capire che nel sottosuolo di Volla c’è l’acqua: in dialetto napoletano “Volla”  sta a significare “bolla” o zona di “sorgenti a bolla”, lo stesso tipo di sorgenti che nella Pianura Padana sono chiamate “Fontanazzi”. A Volla sono ubicate le “Sorgenti della Bolla” che alimentavano l’antico acquedotto della Bolla che serviva Napoli. Ordunque: sbagliare è umano, perseverare nell’errore è diabolico, se non criminale.    
 
Ci sono rischi per la stabilità di viadotti ed edifici circostanti? 
Qualsiasi modifica dei parametri geotecnici in seguito all’aumento delle pressioni idrostatiche nei suoli può più o meno compromettere la stabilità degli edifici e accentuare il rischio di liquefazione dei suoli in caso di evento sismico. E certo dire “non ci sono i soldi” non può essere una scusa: se si pensa che la Tav italiana è costata a chilometro il doppio o il triplo delle stesse reti ad alta velocità di Francia, Germania o Spagna una ragione ci potrà pur essere.  O sbagliamo i progetti oppure le risorse sono impiegate per altri scopi.
 
Cosa si può fare per rendere la zona sicura ed evitare nuovi “errori”?
è l’impostazione metodologica, a essere sbagliata. In Italia non si interpella il geologo, con una formazione ambientalista, per scegliere i luoghi e le tecnologie più idonee all’inserimento dell’opera nell’ambiente e non si fa la verifica della compatibilità ambientale prima di elaborare un progetto. In alcuni casi, peraltro, le scelte sono drogate da interessi politici e/o di convenienza economica.