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L’ultima impresa di D’Annunzio

di Valerio Zecchini - 18/04/2010

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Gli ultimi due decenni, contrassegnati dall’esaurirsi delle grandi illusioni ideologiche  che avevano costituito l’impronta del secolo scorso nonché da un diffuso sentimento di “fine della storia”, sono stati percorsi da una smania celebrativa senza precedenti, che peraltro non accenna ad affievolirsi. Questo fenomeno non risparmia alcuna branca dell’arte, della politica  e della cultura in genere, provocato da una parte dall’attuale successo del pensiero debole e relativista (e che quindi per contrasto suscita curiosità per i grandi miti del passato, anche recente), dall’altra dalla necessità di riscoprire e quindi reinterpretare zone oscure o personaggi “maledetti” della nostra storia nazionale.
Il novantesimo anniversario dell’impresa fiumana ha visto l’uscita (oltre ai consueti saggi, biografie e convegni di studio istituzionali) di due opere di notevole portata: il concept album  dei genovesi Ianva (“Disobbedisco!”), che rivisita l’epopea dannunziana con un’esemplare ricercatezza dei testi e delle musiche, e il bel romanzo di Gabriele Marconi “Le stelle danzanti”. Ma non è di secondaria importanza il volume fotografico curato dai due specialisti dannunziani Franzinelli e Cavassini per Mondadori il quale consiste in una collezione di foto inedite o rarissime dei venti mesi dell’occupazione di Fiume. Le immagini sono suddivise in capitoli tematici e ogni capitolo è preceduto da un testo di carattere divulgativo e quindi utile anche per chi nulla sa dell’argomento - lo stesso dicasi dell’interessante saggio introduttivo e della precisa cronologia finale.
Negli ultimi tempi vari autori di sinistra hanno cercato di appropriarsi (la foga revisionista funziona evidentemente anche in senso inverso) della spedizione di Fiume in senso liberatario e antifascista; come noto, la versione ortodossa degli storici inquadrava questo episodio della storia nazionale come prova generale della marcia su Roma e preludio dell’epoca fascista (e così lo presentava il fascismo stesso). Ma tanti elementi contrari andavano ad inficiare questa interpretazione: Alceste de Ambris, uno degli uomini più vicini a D’Annunzio e coautore dell’avanguardistica Carta del Carnaro (la costituzione di Fiume, mai attuata) fu in seguito ardito dell’antifascismo durante il biennio rosso e poi esule in Francia. Dopo la marcia su Roma, quando tutti i giochi erano ormai fatti, Mussolini neutralizzò D’annunzio confinandolo al Vittoriale e facendone una sorta di monumento vivente che si alimentava del suo stesso mito. Questa imbalsamazione porto il Vate ad essere ciò che era stato prima di diventare l’esteta armato: un poeta mondano e libertino con tendenze paganeggianti. Comunque, la sua attitudine verso il regime fu prevalentemente critica  e l’Ovra lo fece sorvegliare fino alla fine dei suoi giorni.
Ma, come accuratamente documentano Franzinelli e Cavassini, i capi e i gregari dell’Impresa immortalati nel libro in una teoria infinita di liturgie marziali (cerimonie, sfilate, messe al campo , parate e decorazioni alla bandiera) tutte tese ad esaltare l’arditismo di massa, ebbero destini divergenti: molti si integrarono nel regime, ma molti altri languirono in esilio o al confino.
Inoltre, come noto, i venti mesi di Fiume furono teatro (anche grazie al decisivo apporto dei futuristi) di eccessi per l’epoca impensabili, in un vortice di arditismo, avanguardia artistica, sesso, droga e rituali paganeggianti; non erano certo impensabili per D’Annunzio o per Marinetti, che erano reduci non solo dalla prima guerra mondiale, ma anche dai fasti della Belle Epoque parigina.
Come si diceva più sopra  c’è stato chi, enfatizzando questi elementi della vicenda fiumana, ha voluto ribaltare l’interpretazione storica ortodossa per considerare invece l’impresa dannunziana come un preludio non al fascismo, ma al raduno di  Woodstock e alle contestazioni del ’68 e del ’77.
In verità entrambe le interpretazioni sono legittime: infatti già durante i venti mesi dell’occupazione fiumana gli scontri tra la fazione legionaria conservatrice e filo-monarchica e quella repubblicana e sindacal- rivoluzionaria erano all’ordine del giorno – e l’ambizione dannunziana di tenere insieme le due fazioni sotto l’egida del proprio carisma, in nome del patriottismo fanatico e dell’arditismo durò solo fino allo sgombero della città da parte dell’esercito regolare italiano. Dopo, l’utopia sincretica e guascona di D’Annunzio declinò rapidamente, offuscata dallo spregiudicato realismo politico di Mussolini.
Ma vediamo come nella Carta del Carnaro D’Annunzio genialmente valorizza e tutela la singolarità e l’originalità in un ambito legislativo che si trasforma in poesia; la X corporazione (una sorta di corporazione degli individui creativi) è così definita: “La sua pienezza è attesa come quella della decima Musa. E’ riservata alle forze misteriose del popolo in travaglio e in ascendimento. E’ quasi una figura votiva consacrata al genio ignoto, all’apparizione dell’uomo novissimo, alle trasfigurazioni ideali delle opere e dei giorni, alla compiuta liberazione dello spirito sopra l’ansito penoso e il sudore di sangue”.
Il personaggio più emblematico che abbia occupato la scena fiumana è sicuramente Guido Keller, noto anche come il Parsifal di Fiume,  colui che meglio interpretò l’anelito all’assoluto poetico e politico dannunziano: infatti il Vate, dopo la sua morte nel 1929 in un incidente stradale, volle inumare le sue spoglie nella cripta del Vittoriale. Le foto contenute nel capitolo “La vita come arte: Guido Keller” restituiscono adeguatamente la nobile eccentricità del personaggio e al sua propensione alla metamorfosi.  Aviatore, avventuriero ed esteta, egli, come scrive il suo biografo Guido Pozzi, “intese nell’aviazione una possibilità di evasione spirituale, un sublimarsi e astrarsi dalla materia verso i misteri più alti e più puri della natura”. Vegetariano e nudista, pagano e orientalista, portato al pansessualismo non meno che al misticismo, vive in piena armonia con la natura; si favoleggia che a Fiume (dove peraltro diresse il settimanale “Yoga”) spesso dormisse nudo su un albero in compagnia di un’aquila che aveva addomesticato. Nel novembre 1920 lancia dal suo aereo un pitale sopra Montecitorio, in segno di disprezzo per i patrocinatori del Trattato di Rapallo. In buona sostanza, Keller fu il più ardito precursore di quel militarismo psichedelico e di quel patriottismo  cosmopolita oggi professato dai post-contemporanei, che è quindi qualcosa di assolutamente diverso dal gretto patriottismo di bassa lega attualmente praticato nelle valli padane.
“Fiume” è dunque un bellissmo libro di storia per immagini così lontane e nel contempo così vicine, da sfogliare con attenzione possibilmente ascoltando  i Doors; ed è anche grazie alla potenza evocativa di foto come queste che Fiume è ancora così fortemente radicata nel nostro immaginario collettivo.

Mimmo Franzinelli e Paolo Cavassini
Fiume – L’ultima impresa di D’Annunzio
Mondadori (Le scie)
Euro 23