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Amazzonia. I nativi? Un ostacolo per i potenti

di Andrea Bertaglio - 19/04/2010


Sempre più spesso la sopravvivenza delle tribù indigene viene minata dagli interessi dei potenti. Succede allora che non solo si faccia di tutto per occultare le notizie scomode riguardanti gli affari politici ed economici più loschi, ma addirittura che venga messa in dubbio l'esistenza stessa dei nativi, vale a dire di quelle società che vivono completamente fuori dal nostro orizzonte culturale e che pure si trovano a subire le conseguenze delle nostre azioni. È quello che sta succedendo in Amazzonia.


indigeni amazzonia
Si stima che al mondo ci siano un centinaio di tribù non ancora entrate in contatto con la “civiltà”, 67 solo in Brasile e 15 in Perù
Può sembrare strano, in un mondo globalizzato come il nostro, un mondo che siamo ormai abituati a sentir definire come sempre più piccolo grazie agli sviluppi tecnologici che hanno portato a trasporti e comunicazioni sempre più rapidi e che irretiscono l’intero globo. Eppure ci sono intere popolazioni che vivono pacificamente al di fuori di tutto ciò, al di fuori di commerci transnazionali, mercati finanziari o terrorismo globale.

Sono tribù che hanno scelto - si direbbe a ragione - di vivere isolate dal resto del mondo esterno, di spostarsi anche in vaste aree, che si limitano però alle foreste primarie in cui risiedono. O che almeno ci provano, chiedendo solo di essere lasciate in pace nelle terre e con le tradizioni che da millenni caratterizzano la loro quotidianità.

Si stima che al mondo ci siano un centinaio di tribù non ancora entrate in contatto con la “civiltà”, 67 solo in Brasile e 15 in Perù; in particolare nelle regioni più remote della foresta amazzonica, dove passa il confine tra questi due Paesi. Sembra stupefacente, pensando agli stermini delle popolazioni indigene americane, avvenuti così tanto tempo fa, ma anche nell’ultimo mezzo millennio. Queste tribù hanno condotto la loro esistenza senza essere contaminate dalla civiltà di stampo europeo.

Una situazione che, però, sembra destinata a finire, guarda caso proprio a causa di quella civiltà che, nella sua inarrestabile corsa verso la crescita e l’espansione, ha sempre più bisogno di nuove terre e, soprattutto, di nuove risorse.

Attualmente il governo peruviano sta permettendo esplorazioni che accertino la presenza di gas e petrolio nelle zone abitate da queste tribù indigene. Non solo, non sta neanche facendo nulla per tutelarne l’incolumità, pur sapendo che queste aree sono prese d’assalto da ditte energetiche e del legname che, più o meno legalmente, stanno assaltando la regione. La negligenza del governo peruviano potrebbe portare all’estinzione di questi gruppi umani. Ma è davvero da ritenersi tale o come al solito nasconde interessi economici? La risposta sembrerebbe scontata, se si considera che in questa parte di Amazzonia operano oltre 180 insediamenti gasiferi e petroliferi, di cui 64 solo in Perù.

Nel 2006 nello stesso Perù venne approvata la “Legge per la protezione delle popolazioni in volontario isolamento” (legge 28736). Ciononostante, un anno dopo, il presidente Alan Garcìa decise - con un decreto presidenziale dell’ottobre 2007 - che le zone dove questi popoli vivono avrebbero potuto essere sfruttate per le loro risorse naturali. E non è una coincidenza se i problemi per questi nativi sono iniziati solo recentemente. La costruzione dell’ottanta per cento degli insediamenti di cui sopra, infatti, è stata eseguita solo dopo il 2004.

alberto pizango leader indigeni
La sopravvivenza di queste tribù nomadi e semi-nomadi di cacciatori-raccoglitori non è messa in pericolo solo dalle trivellazioni gasifere e petrolifere
La sopravvivenza delle tribù nomadi e semi-nomadi di cacciatori-raccoglitori non è messa in pericolo solo dalle trivellazioni gasifere e petrolifere - che implicano la presenza/costruzione di elicotteri, camion, chiatte, strade, piattaforme e condutture di varie dimensioni -, ma anche ed ancor più dal solo contatto con persone che provengono da un mondo con cui non hanno nulla a che fare. Secondo Survival International (il Movimento per i popoli indigeni) fino al 50% degli indigeni “incontattati” muore entro un anno o due proprio per il contatto, a causa di germi come quelli di un comune raffreddore. Un esempio è quello della tribù Nahua (Yora), la quale ha perso la metà dei suoi componenti dopo essere stata raggiunta dalle trivelle e dallo sfruttamento petrolifero.

Ciò che esprime meglio l’atteggiamento delle autorità, peruviane in particolare, nei confronti della tutela e del rispetto di queste popolazioni è probabilmente il fatto che a vari livelli dell’establishment semplicemente si nega la loro esistenza. Sempre il presidente Garcìa ha scritto in un articolo pubblicato su uno dei giornali più seguiti del Paese, che queste tribù sono state “inventate” dagli ambientalisti, i quali hanno creato dal nulla le figure dei nativi incontattati per bloccare lo sfruttamento petrolifero ed il disboscamento della foresta pluviale.

Teoria quantomeno originale se non fosse che Garcìa ha scritto queste cose sulle pagine di “El comercio” e solo a distanza di quattro settimane dalla pubblicazione sulla prima pagina dello stesso giornale delle dichiarazioni di alcuni membri di una di queste tribù

Ma Garcìa non è l’unico ad aver espresso tali “opinioni”. Il presidente della compagnia petrolifera Perupetro, durante un’intervista sulla tv peruviana, ha affermato che "è assurdo dire che ci sono delle popolazioni incontattate, se nessuno le ha mai viste prima. Quindi, dove sono queste tribù di cui stiamo parlando?".

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Il presidente della compagnia petrolifera Perupetro ha affermato che "è assurdo dire che ci sono delle popolazioni incontattate, se nessuno le ha mai viste prima"
In un’intervista con il Washington Post, invece, Cecilia Quiroz, altra portavoce della Perupetro, ha detto che "è come il mostro di Loch Ness. Sembra che tutti abbiano visto queste tribù, ma non ce n’è alcuna evidenza. Secondo la legge internazionale, il governo dovrebbe riconoscere immediatamente le un-contacted tribes come proprietari legittimi delle loro terre e proibire ogni forma di estrazione in quelle zone. Dovrebbe inoltre proibire ogni altra forma di attività sulle loro terre, rimuovere gli stranieri che le hanno invase, e prendere misure che assicurino che altri non vi possano tornare in futuro".

Certo nelle affermazioni della dottoressa Quiroz, come in quelle delle leggi internazionali - tanto sagge quanto non rispettate - c’è in realtà una grande ironia. Perché se così si facesse si dovrebbe spopolare l’intero continente americano, cosa ovviamente né possibile né sensata. Un po’ come non è possibile o sensato aspettarsi che la logica del costante aumento dei profitti riconosca l’esistenza di poche migliaia di persone, se queste si mettono sulla sua strada.

Ma depredare queste aree in questo modo, o nascondere la testa dentro la sabbia, non porterà nel lungo termine a buoni risultati, perché a pagare le conseguenze di una politica ed un’economia mondiali, come quelle attuali, sicuramente non saranno solo le popolazioni di nativi della foresta amazzonica. Ce lo ricorda anche un famoso proverbio indiano: “Quando avrete abbattuto l'ultimo albero, quando avrete pescato l'ultimo pesce, quando avrete inquinato l'ultimo fiume, allora vi accorgerete che non si può mangiare il denaro”.