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Urss, la fabbrica delle condanne perfette

di Nicola Lombardozzi - 08/06/2010

       
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Nicola Lombardozzi ripercorre la vicenda del poeta russo Osip Emileevic Mandelshtam, vittima delle purghe staliniane nel corso degli anni trenta. Mandelshtam fu fin dalla sua giovinezza ritenuto un personaggio scomodo dai regimi: prima arrestato durante la guerra civile dai Bianchi, poi dai Menscevichi. Ma fu soprattutto dopo l’ascesa di Stalin che la sua posizione si fece difficile. Il suo anticonformismo culturale e i contenuti a sfondo politico delle sue poesie, che contenevano spesso accenni di critica alle scelte del regime, attirarono l’attenzione dei vertici russi e lo condannarono a finire la sua vita in un gulag. La sua vicenda è un esempio emblematico del funzionamento della macchina burocratica e poliziesca dell’URSS contro gli oppositori politici.

Il poeta sapeva che il dittatore non l’avrebbe mai perdonato. Il poeta era stanco, rassegnato, sicuro che qualcuno tra i suoi amici più cari l’avesse tradito, consegnato alla macchina spietata del terrore staliniano. Mormorò un verso, il primo: «Noi viviamo senza più fiutare sotto di noi il paese». Dall’altra parte della scrivania, in quel tetro ufficio della Lubjanka, il funzionario addetto agli interrogatori cominciò a scrivere su un foglietto di carta da quaderno con la sua penna blu. Lentamente, burocraticamente, senza cambiare espressione del viso. Il poeta continuò tutto di un fiato la sua confessione in rima: «I nostri discorsi non si sentono a dieci passi di distanza…». Il funzionario annotava, e la voce del poeta si faceva sempre più sicura mentre il testo proibito che non aveva mai osato mettere per iscritto prendeva forma, tra tutte quelle informative e rapporti di polizia che servivano a dimostrare la sua pericolosità «per l’autorità dei Soviet» e segnare la sua fine. Il poeta lo firmò.
Quel testo, dettato in una sera di maggio del 1934, è l’unico manoscritto autografo del più famoso epigramma del poeta custodito per più di settant’anni negli archivi dell’allora Nkvd, la polizia segreta sovietica, in una cartellina beige con la scritta: “Fascicolo personale n.662 del detenuto Osip Emileevic Mandelshtam”. Dentro c’è la storia della lotta senza speranza tra uno dei più grandi poeti di Russia e il potere. Un gioco di minacce, isolamento e repressione, che si concluse il 27 dicembre del 1938 con la morte di Mandelshtam nel gulag di Vtoraja Recka, alle porte di Vladivostok. Aveva quarantasette anni. La sua storia sta per apparire in un dossier della Fondazione Mandelshtam e dalla Novaja Gazeta, basato su documenti inediti.
Scomodo, Mandelshtam lo era stato da sempre e per tutti. I suoi primi arresti risalgono al 1920 e l’accusa è paradossalmente opposta a quella che lo avrebbe portato al gulag. La prima volta fu interrogato a lungo a Feodossia, nella Crimea che resisteva al comunismo. […]
Protagonista dei circoli letterari, amico della poetessa Akhmatova, fondatore con lei del Movimento Akmeista, Mandelshtam era comunque considerato un personaggio inaffidabile per il regime. L’inizio della fine fu un viaggio con la moglie in Ucraina nel 1933, nell’orrore dell’Holomodor, la spaventosa carestia programmata da Stalin nella furia della sua guerra contro i kulaki, che provocò milioni di morti. Della sua indignazione resta un altro verso segreto dettato all’inquisitore nell’interrogatorio del 1934: «Primavera fredda, la timida Crimea è senza pane…». Ma più di tutto vale il rapporto della polizia segreta custodito nel fascicolo 662: «Al rientro dall’Ucraina gli umori di Mandelshtam hanno preso sfumature antisovietiche. Si è isolato, tiene le tende sempre abbassate. È avvilito dalle scene di fame ma anche dai suoi fallimenti letterari. La casa editrice Gikhl (prontamente allineata agli umori del Partito, ndr) vuole togliere dai cataloghi le vecchie poesie. Delle nuove opere non se ne parla neanche».
Informatissima anche da persone molto vicine a Mandelshtam la polizia continuava a costruire il castello di prove. Ecco un’altra informativa: «Mandelshtam intende scrivere al compagno Stalin ma le sue intenzioni sono chiare. Ha detto che se solo potesse fare un viaggio all’estero sopporterebbe qualsiasi disagio pur di restare lì. Inoltre si è recentemente espresso così: da noi la letteratura non esiste più, lo scrittore è ormai un burocrate, registratore delle menzogne». Ma a far precipitare le cose fu una riunione con amici che credeva fidati. Mendelshtam recitò a memoria la sua poesia contro Stalin Noi viviamo senza…. La voce arrivò puntualmente a chi di dovere. L’arresto scattò la notte del 13 maggio 1934. Mandelshtam fu tenuto per quattro giorni a tormentarsi in una cella della Lubjanka prima di essere portato davanti al suo inquisitore, Nikolaj Shivarov, il funzionario dei servizi esperto di questioni letterarie. L’uomo che annoterà i suoi versi. […]
Così nel ‘34 Mandelshtam sfuggì alla pena di morte e se la cavò con tre anni di esilio forzato a Cerdyn, negli Urali, e poi a Voronez. Ma il soggiorno alla Lubjanka lo aveva ormai devastato. Soffriva di allucinazioni, improvvisi stati febbrili. Tentò il suicidio. Nel ‘37 inviò a Stalin un’ode riparatrice che ebbe un effetto devastante. Al Cremlino i versi apparvero chiaramente irrisori e carichi di doppi sensi.
La fine arrivò il 15 ottobre del 1937. Per quella data Mandelshtam aveva organizzato una serata presso l’Unione scrittori. Una mossa pubblicitaria per rientrare nel giro e uscire dagli incubi. Nel fascicolo dei servizi segreti è conservato un messaggio della Lubjanka al segretario dell’Unione scrittori. Eccola: «Stimato compagno. Il giorno 15 alle sei di sera, si terrà la lettura delle poesie di Mandelshtam. Prego provvedere alla presenza in sala!». Firmato: il segretario del Bureau della sezione Poeti, Surkov. Ordine eseguito. Mandelshtam arrivò, carico di speranze, in una sala completamente vuota. L’arresto definitivo qualche mese dopo, il 2 maggio del ‘38. Processato per «comportamenti antisovietici» fu condannato ai lavori forzati a vita in un gulag. Morì poco dopo. Tra le sue carte, una poesia giovanile. «E sopra il bosco quando si fa sera/si alza una luna di rame/perché mai così poca musica/perché mai un tale silenzio?».