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Algol, la più famosa variabile a eclisse, era già nota agli Arabi come “stella del demonio”

di Francesco Lamendola - 12/07/2010



Per caprie cosa sia una stella binaria, o doppia, basta rivolgere lo sguardo  alla seconda stella a partire dall’estremità del timone dell’Orsa Maggiore, Zeta Ursae Maioris, che già ad occhio nudo appare formata da due astri distinti: Mizar ed Alcor, la prima assai più brillante della seconda (la quale ultima, difatti, secondo l’astronomo persiano Al Sufi era chiamata dagli Arabi Al Suha, ossia “la Trascurata”).
A lungo si era pensato che la vicinanza delle due stelle fosse soltanto apparente, dovuta al loro allineamento rispetto ad un osservatore terrestre; mentre si sarebbe trattato di due corpi celesti alquanto lontani fra loro e non legati da alcun rapporto gravitazionale. Se fosse possibile osservare l’Orsa Maggiore da una diversa angolazione - si credeva - sarebbe apparso che Mizar ed Alcor non hanno niente a che fare l’una con l’altra e che il loro legame è la conseguenza di un semplice effetto di prospettiva.
Studi più recenti hanno capovolto questa impostazione. Ora, infatti, sappiamo che, pur trovandosi ad una distanza ragguardevole l’una dall’altra (un quarto di anno luce), le due stelle non sono indipendenti, ma formano una stella binaria vera e propria, come è mostrato in maniera sufficientemente chiara dal loro moto reciproco.
Ma c’è qualcosa che ad occhio nudo non si può vedere, e cioè che sia l’una che l’altra sono, in effetti, delle stelle doppie. Mizar è formata da due stelle, la componente A di magnitudine 2,4 e la componente B di magnitudine 4,0, formanti una coppia; ciò fu osservato per la prima volta, con il telescopio, dall’astronomo italiano G. B. Riccioli nel 1650. I due astri non sono legati solo da una comunanza apparente, ma fisica: accurate osservazioni hanno dimostrato che fra essi esiste una precisa attrazione gravitazionale, anche se i loro tempi orbitali devono essere lunghissimi, sull’ordine delle decine di migliaia d’anni.
Ma non è finita.
Nel 1889 l’americano E. C. Pickering, osservando la componente A di Mizar allo spettroscopio, notò con grande sorpresa che vi si riconoscevano, chiarissime, le tracce dell’effetto Doppler e ne dedusse, giustamente, che essa doveva essere, a sua volta, una stella binaria. Egli poté vedere, infatti, due distinti spettri che tendevano ora verso il blu, ora verso il rosso, con un periodo di circa 20 giorni: scoprì così che si trattava di due stelle strettamente legate l’una all’altra, in modo tale che nessun telescopio avrebbe potuto rivelare il loro segreto. La componente A di Mizar, quindi, è stata la prima stella doppia spettroscopica a venire scoperta.
Nel 1908, per completare il quadro, si scoprì con lo spettroscopio che anche Mizar B era una stella binaria spettroscopica.
E non era ancora finita: perché, nel 1964, un astronomo annunciò di aver scoperto che quello di Mizar B non è un  sistema doppio, ma multiplo, e precisamente triplo: infatti, attorno alla coppia principale orbita un compagno invisibile, la cui rivoluzione si completa in un periodo di 1.350 giorni, vale a dire un po’ meno di quattro anni.
Ecco, dunque, che abbiamo passato in rassegna i principali tipi di stelle doppie: le doppie apparenti, le doppie ottiche (riconoscibili a occhio nudo o mediante strumenti ottici) e le doppie spettroscopiche (riconoscibili solo dai loro differenti spettri).
Esse formano una coppia fisica quando sono legate gravitazionalmente l’una all’altra, ruotando intorno al baricentro della coppia stessa, in modo da equilibrare con la forza centrifuga l’attrazione gravitazionale. Perciò sono astri in movimento su orbite circolari o ellittiche, ma sempre su uno stesso piano; se non fossero in movimento, finirebbero per cadere l’uno sull’altro.
L’osservazione delle orbite e delle relative velocità orbitali consente poi di risalire alla massa delle singole componenti della coppia.
Quando la componente meno luminosa si trova a passare davanti a quella più luminosa, dal punto di osservazione terrestre si verifica una vera e propria eclisse, esattamente come quando la Luna passa davanti al Sole: si parla, allora, di stella binaria ad eclisse. Le eclissi si ripetono con estrema regolarità e possono quindi essere previste con precisione assoluta. Al termine dell’eclisse, ovviamente, la stella riprende la sua luminosità abituale.
Forse è proprio per questa particolare ed insolita caratteristica che la più famosa stella di tale categoria, Algol, nella costellazione di Perseo (B Persei) era nota già agli Arabi con il nome piuttosto inquietante di “Occhio del Demonio”. Infatti, essa diminuisce la sua luminosità dalla magnitudine di 2,1 alla magnitudine di 3,4 in un tempo estremamente breve: due giorni, 20 ore e 49 minuti.
Ad ogni rivoluzione della stella meno brillante, puntualmente, si verifica l’eclisse; ma gli antichi non sapevano quale ne fosse la causa. Ecco spiegato il nome datole dagli Arabi; anche se la ragione principale di tale denominazione va ricercata nel fatto che qui Tolomeo aveva collocato la testa della Medusa recisa dall’eroe Perseo. Per inciso, ricordiamo che anche lo scrittore americano H. P. Lovecraft ricorda Algol, la stella del Demonio, nei suoi racconti del terrore cosmico, facendone la sede di una delle mostruose divinità del suo Pantheon blasfemo.
L’astronomia occidentale ha accertato definitivamente la variabilità di Algol solo nel 1667, per merito di un altro italiano, Geminiano Montanari. Tuttavia, fu solo nel 1782 che J. Goodricke intuì la vera causa di tale variazione, pur senza essere in grado di dimostrarla.
Ricorriamo alla dotta monografia di Gabriele Vanin, «I nomi delle stelle» (Orione, 2004, p. 102), per avere qualche ulteriore dato sul sistema binario di Algol:

«La discesa al minimo e la successiva risalita durano globalmente dieci ore., ma la stella passa dalla magnitudine 2,2 alla 3,1 in sole 3,3 ore e alla 3,4 in 4,1 ore. La risalita alla magnitudine 2,2 è appena un po’ più lunga, 5,8 ore.  Complessivamente, Algol brilla per quasi tutto il tempo a piena luce, rimanendo per circa due ore ogni ciclo un’intera magnitudine più debole del normale. Quindi, durante una serata osservativa della durata di circa tre ore, abbiamo circa una probabilità su 10 di assistere fortuitamente all’indebolimento della stella. Il periodo completo di Algol è esattamente di 2,86739 giorni.
La distanza della coppia è di 93 anni luce. La stella primaria è di topo spettrale B8V, diametro 2,9 e massa 3,7 volte quelli del Sole, luminosità 120 volte superiore (magnitudine assoluta -0,4), temperatura superficiale 13.000 K. la compagna è di tipo spettrale K2Sd, diametro 3,5 e massa 0,81 volte quelli del Sole, magnitudine assoluta 3,1 (cinque volte più luminosa del Sole), temperatura 4.500 K. La separazione fra le due stelle è di 10,8 milioni di km. Durante l’eclisse, il 79% della primaria è nascosto dalla secondaria. C’è anche un minimo secondario quando la primaria  nasconde la secondaria, visibile però solo per via fotoelettrica. Esiste anche una terza stella, leggermente più luminosa della secondaria, di tipo spettrale F1, diametro 1,4 e massa 1,6 volte quelli del Sole, temperatura 7.000 K, orbitante a 280 milioni di km. di distanza con un periodo di 1,862 anni su una traiettoria fortemente inclinata (63°). La secondaria ha una superficie molto attiva, coperta da molte macchie, e una corona osservabile in onde radio e in raggi X. Essa ha riempito il proprio lobo di roche e ad ogni piccola espansione ulteriore un sottile getto di gas si allontana dalla fotosfera a più di 500 km. al secondo e precipita sulla primaria, generando nel punto colpito una macchia calda a 100.000 K di temperatura A causa del piccolo angolo di caduta del getto sula primaria, 35°, questo forma attorno ad essa un disco di accrescimento asimmetrico e fortemente variabile, forse a causa dell’irregolarità con la quale il getto “trabocca” dal lobo di Roche sulla secondaria.»

Secondo la teoria dell’evoluzione stellare, le stelle più massive si evolvono più velocemente; ma Algol sembrava costituire un grosso ostacolo per tale teoria, dal momento che in questo sistema binario la stella più leggera è una subgigante, più evoluta della stella con maggiore massa, la quale, invece, si trova ancora nella sequenza stellare principale del classico diagramma di Hetzsprung-Russell.
L’ostacolo è rimasto tale, sfidando la teoria evolutiva delle stelle, fino a quando non è stata fatta una scoperta estremamente interessante (scoperta e non teoria, perché in alcuni casi la si è potuta osservare direttamente), quella del trasferimento di massa. Prima di spiegare di che cosa si tratta, tuttavia, dobbiamo spiegare brevemente che cosa sia il Lobo di Roche. Infatti, oggi possiamo ricostruire in questo modo la vicenda evolutiva di Algol: quando la stella originariamente più grande riempì il proprio Lobo di Roche, parte della sua massa passò alla stella più piccola, finché quest’ultima non finì per diventare più grande della compagna.
Diciamo allora che il Lobo di Roche è una regione di spazio attorno ad una stella che fa parte di un sistema binario, all’interno della quale il materiale orbitante è gravitazionalmente legato ad essa; mentre il materiale esterno al lobo può ricadere sull’altra stella. Ciò accade quando la stella si espande oltre il proprio Lobo di Roche ed i suoi strati esterni finiscono per cadere sopra la sua compagna.
Possiamo visualizzare il Lobo di Roche come una immensa goccia di liquido, la cui parte arrotondata si trova verso l’esterno, mentre  la parte appuntita è rivolta verso la stella gemella ed il suo vertice è chiamato L1 del sistema. Ed è evidente che ogni sistema binario possiede due Lobi di Roche, uno per ciascuna componente del sistema stesso.
Ebbene, il trasferimento di massa è il processo per cui il materiale legato gravitazionalmente ad un corpo finisce per cadervi sopra, cosa che può verificarsi in due modi: o mediante Roche Lobe Overflow, oppure mediante il vento stellare. Nel primo caso, la stella primaria riempie il proprio Lobo di Roche, dopo di che il materiale passa alla zona di influenza gravitazionale della componente secondaria e, alla fine, cade su di quest’ultima, con un movimento a spirale. Il secondo caso si verifica quando la componente primaria è una stella dotata di massa molto elevata: allora il trasferimento di massa si attua per mezzo del vento solare.
Scrivono P. Bakulin, E. Kononović e V. Moroz (in: «Astronomia generale», titolo originale: «Kurs obščej astronomii», Mosca; traduzione italiana di G. Magli, M. Tosi e B. Dmitriev, Roma, Editori Riunitii, 1984, p. 415):

«Si conoscono attualmente circa 2.500 stelle la cui natura duale è stata stabilita solo sulla base delle osservazioni spettrali [questo numero è oggi enormemente cresciuto, potendo arrivare, per le stelle di massa elevata, al 70% del totale].  Per circa 750 di esse, si sono ottenute le curve di velocità radiale che permettono di trovare i periodi di rivoluzione e la forma dell’orbita.
Lo studio delle stelle spettroscopicamente doppie è di particolare importanza perché permette di avere un’idea delle masse di oggetti lontani di grande luminosità e quindi di stelle sufficientemente massicce.
I sistemi doppi stretti sono delle coppie di stelle tali che la distanza fra di loro è  comparabile con le loro dimensioni. In questo caso un ruolo essenziale è giocato da interazioni fra le componenti. Sotto l’azione delle forze di attrazione le superficie delle due stelle cessano di essere sferiche, ma assumono una forma ellissoidale, si creano delle gobbe di flussi diretti l’uno verso l’altro, come le maree lunari nell’oceano della Terra.
La forma di un corpo costituito da gas è determinata dalla superficie che passa per i punti con uguale valore del potenziale gravitazionale. Tali superfici si dicono equipotenziali. Il gas può liberamente scorrere lungo una superficie equipotenziale, il che determina una forma equilibrata del corpo. Per una stella singola non ruotante le superficie equipotenziali sono evidentemente delle sfere concentriche con centro coincidente con il centro di massa.  Ciò spiega la sfericità delle stelle ordinarie. Le superficie equipotenziali di un sistema doppio stretto hanno una forma complessa e costituiscono alcune famiglie di curve.  […]
Tra i sistemi doppi stretti interagenti ci sono numerosi oggetti straordinari particolari: novae e stelle del tipo novae, nane novae, le stelle di Wolf-Rayet, varie sorgenti doppie di radiazione X.»

In effetti, le emissioni X di parecchi sistemi binari sono riconducibili al fenomeno del trasferimento di massa, e precisamente in quelli nei quali la componente secondaria sia un oggetto decisamente compatto.
Oltre che per le supernovae - specialmente quelle del tipo Ia - il trasferimento di massa è in grado di spiegare la dinamica evolutiva delle pulsar (sorgenti radio pulsanti: in pratica, stelle di neutroni, che contengono 20 volti più neutroni che protoni) superveloci.
Superfici pulsanti e in eruzione, getti di gas e materiale da una stella all’altra, attrazioni gravitazionali che si fanno sentire  a decine di anni luce di distanza: il mondo delle stelle è molto meno statico, molto più fluido e dinamico di quel che immagini comunemente il vasto pubblico dei non specialisti.
Si tratta, del resto, di fenomeni così grandiosi, non solo nello spazio ma anche nel tempo, che la brevità della vita umana ce li rende pressoché impercettibili: per cui li conosciamo solo attraverso diagrammi e schemi teorici o simulazioni al calcolatore elettronico, il che ci impedisce di averne una esatta percezione.
Vale la pena di puntare il binocolo o il telescopio verso la costellazione di Perseo, la cui visibilità diviene ottimale - alle nostre latitudini - nella stagione autunnale; e osservare attentamente Algol, la stella del Diavolo, ovvero la Testa della Medusa, per coglierne tutto  l’arcano, inquietante splendore che si riverbera nel cielo notturno.