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Nota per un'Estetica Bioregionale della Natura

di Antonello Colimberti - 02/10/2005

Fonte: katamail.com

 

L'aver-luogo delle cose non ha luogo nel mondo.
L'utopia è la stessa topicità delle cose
Giorgio Agamben


In uno dei più bei libri di estetica  pubblicati negli ultimi anni in Italia, Paolo D'Angelo definisce la nozione di paesaggio come identità estetica dei luoghi: <<Con questa definizione si vuole rimarcare innanzi tutto l'appartenenza della dimensione estetica alla fisionomia stessa del territorio, intendendo cioè dire che proprio l'aspetto estetico concorre ineliminabilmente alla individuazione di un luogo come quel luogo specifico; si vuole sottolineare la singolarità e l'individualità caratteristiche di ogni paesaggio; si vuole porre l'accento sulla coappartenenza, in ogni paesaggio, di natura e storia; si vuole chiarire che il paesaggio in senso estetico non è 'soggettivo' nel senso dell'arbitrarietà e del capriccio, ma è piuttosto 'intersoggettivo' come tutti i valori culturali e quelli estetici in specie>> . E ancora: <<La definizione in termini di identità estetica lega immediatamente il valore del paesaggio alla individualità dei singoli luoghi, e quindi impone di pensare il paesaggio in senso estetico come infinita pluralità di paesaggi: esistono classi di paesaggi solo in senso fisico (come accade nella descrizione geografica), non in senso estetico. Come ama ripetere Massimo Venturi Ferriolo, si può parlare sempre solo di paesaggi, al plurale, e non di paesaggio al singolare. Ma questo accade precisamente perché l'aspetto estetico determina essenzialmente il costituirsi di un luogo, ovvero è un requisito determinante per il costituirsi del luogo come quel luogo. Parlare di identità estetica significa fare dell'aspetto estetico un tratto saliente della identità locale. Ciò consente di riformulare in termini critici e sobri quel che ha spesso trovato espressione in metafore immaginose come quella di genius loci>> .
Compariamo tali tesi con il documento d'apertura del I Congresso Bioregionale del Nordamerica (1984): <<Il bioregionalismo afferma, riconosce, nutre, sostiene e celebra i legami locali: terra, piante e animali, fonti, fiumi, laghi, acque sotterranee, oceani, aria, famiglia, amici, vicini, comunità, tradizioni native, sistemi indigeni di produzione e commercio. Il bioregionalismo afferma che è venuto il tempo di conoscere le potenzialità del Luogo. Di prestare piena attenzione alla sua natura e alla sua storia, e di mettere in comune le aspirazioni per assicurarsi un futuro sostenibile. Di sostenerci, cioè, facendo ricorso a fonti rinnovabili di cibo e di energia. Il bioregionalismo assicura lavoro attraverso la crescita di una grande mole di attività di servizio, necessarie alle comunità locali, che devono riciclare le proprie risorse e scambiare ragionevoli surplus con altre regioni. Il bioregionalismo assicura la soddisfazione dei bisogni primari attraverso le risorse locali. Locali devono essere l'educazione, la cura della salute e in genere tutto ciò che può essere materia di autogoverno. La prospettiva bioregionale ricrea un sentimento di partecipazione all'identità locale, fondata su una rinnovata coscienza critica e sul rispetto per l'integrità delle nostre comunità ecologiche>> .
La consonanza fra i due testi affonda, a nostro pare, in una preliminare critica dei limiti dell'ambientalismo. Scrive da una parte Paolo D'Angelo: <<Si parla solo di ambiente, evidentemente perché la parola paesaggio appare un residuo del passato, troppo compromesso con una visione estetistica e soggettivistica della natura. E anche nel discorso comune il termine ambiente ha finito per esiliare quello di paesaggio. Eppure lo scambio tra i due termini, che suppone la riduzione del paesaggio all'ambiente, sembra foriero non solo di confusione, ma anche di pericolose conseguenze. L'ambiente è un fatto fisico, descrivibile scientificamente; il paesaggio è un fenomeno percettivo, che rientra nell'ambito delle esperienze estetiche>> .
Scrive dall'altra parte Peter Berg: <<Adesso, la parola bioregione la usiamo in senso diverso da provincia biotica di Dasmann o da provincia biogeografica di Uduardy: il nostro termine infatti si riferisce tanto al terreno geografico quanto al terreno della coscienza, ad un posto, ma anche all'idea che si è sviluppata attorno al vivere in quel determinato posto. Il confini della bioregione sono definiti al meglio dalle persone che hanno vissuto in essa, attraverso il riconoscimento culturale della realtà del vivere nel posto. Tutta la vita del pianeta è interconnessa in pochi e ovvi modi, ed in molti altri che rimangono in parte inesplorati. Ma c'è una distinguibile risonanza fra le cose che vivono ed i fattori che le influenzano; questa risonanza è specifica all'interno di ogni separato posto del pianeta. Scoprire e descrivere questa risonanza è un modo di definire una bioregione>> . Lo stesso autore ribadisce il concetto anni dopo: <<Che cos'è una bioregione? Quest'idea non viene solo dalle scienze naturali. Il bioregionalismo è un'idea culturale. È un tentativo di rispondere alle domande : chi sono? Che cosa sono? E che cosa faccio al proposito? È un modo di vedere il luogo in cui si vive in termini di inserimento nelle caratteristiche naturali […] Siamo arrivati a tal punto di distruzione ecologica e di consapevolezza ambientale, e non insegniamo ai bambini le caratteristiche bioregionali del luogo in cui abitano, o le loro relazioni con esso, o le attività che sono appropriate per vivere in uno specifico luogo? In termini di filosofia e letteratura le implicazioni sono ovvie. La pittura può avere facilmente a che fare con i fenomeni tipici del luogo in cui l'artista vive, lo stesso dicasi per la poesia. Gary Snyder è uno scrittore che sarà conosciuto in futuro per aver portato una transizione nella letteratura nord-americana: dall'Europa al Pacifico, e verso luoghi di vita come la sua bioregione Shasta nel Nord della California. La cultura può aprirsi alla natura selvaggia e da lì trarne ispirazione, invece di raccontare la civiltà industriale>> .
Quest'ultimo passo ci conduce al tema dell'arte. Scrive Paolo D'Angelo: <<Ci interessa riflettere su un'arte che ha comunque compreso come il rapporto con la natura non possa più passare, oggi, attraverso la rappresentazione della natura, e non possa più mirare a produrre semplicemente delle immagini di essa. Ci interessa, insomma, un'arte che intende proporsi come esperienza nella natura, che non vuole in alcun modo riprodurre la natura ma operare all'interno di essa, e questo al fine di comprendere in che cosa l'arte può ancora contribuire a plasmare e arricchire il nostro rapporto con la natura, e attraverso quali strade si possa superare quella estraneità profonda di arte e natura che è un tratto saliente di molta arte moderna, soprattutto di molta arte d'avanguardia, e che ha tanto contribuito a fare addensare sulla bellezza naturale i sospetti della banalità e del Kitsch>> .
La sintonia bioregionalista è espressa in questo caso da Beryl Magilavy (che alle arti visive, esaminate anche da D'Angelo, aggiunge un'arte performativa come la danza ): <<C'è anche, nella produzione artistica, una tendenza sempre più forte, che può rappresentare un primo luogo di crescita della nuova società, dall'humus di quella antica. Non è organizzato in scuole e gli artisti, che ne sono espressione, non sono del genere di quelli che dichiarano obiettivi comuni. Ma i loro lavori emanano una spiritualità ed una consapevolezza, un rispetto per la natura, che non possono non essere notati. Nelle opere di Philip McCracken, artista in Cascadia, ad esempio, il rispetto per i materiali naturali emerge in assoluta chiarezza. La sua abilità nell'unire la sensualità del legno, la forza del metallo e la fondamentale solidità della pietra, indicano una persona che trova nella natura i propri valori. Amir Bey, autore di un bassorilievo installato nella metropolitana di New York, è un artista che celebra con le sue opere l'uomo come parte della natura. Ci presenta l'umanità, nella sua originalità e nelle sue diversità, ma non a spese del sistema naturale nel quale viviamo. Jane Lapiner, della bioregione Shasta, ha preparato le coreografie per balletti, che usano movimenti ispirati agli animali del luogo e che legano uomini e natura in una sorta di gioiosa celebrazione della vita. I riti e le danze di Elizabeth Cogburn danno forma ad un sentimento di partecipazione all'armonia spirituale fra uomo e mondo naturale, che coinvolge il partecipante . In tutte le bioregioni del paese, e in particolare fra i nativi americani, l'interesse e l'incoraggiamento del pubblico sostengono artisti ancora sconosciuti, le cui opere incarnano la risorgente spiritualità naturale, che vogliamo arrivi a pervadere la società in cui viviamo>> .
Apparentemente nei testi bioregionalisti riportati fin qui manca un esplicito riferimento estetico (a parte l'arte, che tuttavia ne è solo un aspetto), ma in realtà l'estetico, o, se si vuole, il transestetico  è il fondamento invisibile e diffuso di tutta la prospettiva bioregionalista (forse anche la provenienza artistica e letteraria di alcuni leader e fondatori come Peter Berg  e Gary Snyder  non è un semplice dettaglio). Per riprendere le parole formulate in (apparentemente) tutt'altro contesto da parte della massima studiosa di estetiche asiatiche del nostro paese, siamo in presenza dei "lineamenti di una civiltà laotiana" fondata su un'armonia estetica .
Kirkpatrick Sale ne è consapevole: <<Una della poche grandi religioni mondiali che abbia capito l'importanza del mondo naturale nella spiritualità umana-forse l'unica così diffusa- è il taoismo del saggio e filosofo cinese Lao Tzu […] Non c'è quindi di che sorprendersi se questa religione è una delle poche a sostenere la decentralizzazione del potere politico, i valori del villaggio e della vita comunitaria, e gli obiettivi dell'egualitarismo piuttosto che della gerarchia nelle relazioni familiari e di parentela. Il famoso invito "lasciare le cose al proprio corso" non era solo un avvertimento per gli uomini di rispettare l'opera della natura, ma nel contesto del Tao te Ching, soprattutto un ammonimento ai principi e ai signori della guerra cinesi del VI secolo a.C.: il miglior governo non è semplicemente il governo "minimo", ma il non governo>> .
Se questo è vero, il bioregionalismo eredita la parte più interessante e radicale delle avanguardie novecentesche, ovvero quel legame fra l'estetico e il politico, che da Dada, Surrealismo e dintorni trova compimento nell'Internazionale Situazionista. Ciò, tuttavia, avviene con uno spostamento e rovesciamento non da poco: l'utopia estetica, che confinava l'avanguardia all'interno del paradigma estetico , secondo la terminologia di Mario Perniola, diventa quell'armonia estetica , secondo la terminologia di Grazia Marchianò, che contraddistingue piuttosto uno dei tratti del transestetico inteso come sentire cosmico: <<L'esperienza cosmica fu sentita dagli antichi stoici  innanzitutto come un vivere in coerenza con la natura. Questo appello alla coerenza non prescrive tuttavia un ideale umano rigido e aspro, identico a se stesso fino ad assumere tratti caricaturali; la coerenza non è l'indurimento, la sclerosi, l'insensibile caparbietà incapace di mutamenti. L'accordo con se stessi, l'assenza di dissidi interiori nasce piuttosto dal concordare, dall'accondiscendere, dal portare il proprio assenso a quanto la natura suggerisce, dal convenire, dall'adattarsi a ciò che emerge, nasce, si rinnova, col buono scorrere della vita, col transito incessante in cui siamo immersi. Essa implica perciò un'estrema attenzione ed ascolto nei confronti del mondo e del suo divenire, non il chiudersi in se stessi in una cieca e sorda impassibilità […] Il punto di arrivo del sentire cosmico è un'esperienza ecologica di intima dimestichezza e familiarità con la natura sempre nascente>> .
Anche per Kirkpatrick Sale la differenza è la qualità fondamentale: <<Dato che nell'idea bioregionale di diversità è centrale il concetto per cui le persone devono essere accettate così come sono lasciando che si comportino nei modi più diversi a seconda dei diversi habitat, non c'è bisogno o motivo di riplasmarli in base a qualche disegno fantasioso e impossibile […] Il bioregionalismo richiede, ovviamente, un certo cambiamento negli atteggiamenti e una ridiscussione delle premesse, nonché un certo livello di comprensione delle verità fondamentali di Gea, ma non ha bisogno di un vero "strappo", di nulla che non sia stato pensato e sentito finora da chiunque, di nulla che vada oltre la saggezza e l'esperienza degli uomini che ci hanno preceduto.. Arrivare a conoscere la propria regione, a capirne gli imperativi ecologici, ad apprezzare certi principi base di Gea è un processo talmente semplice e organico che ogni persona ben disposta può farlo. Un volta compresa questa verità, vi si può aggiungere qualsiasi tipo di conoscenza e tradizione- persino una cattiva educazione o un'errata comprensione- qualsiasi dogma, religione o ideologia: il risultato sarà quella varietà di pensiero necessaria a un pianeta diversificato>> .
Se da Mario Perniola passiamo a Grazia Marchianò, troviamo una ri-formulazione della già citata nozione di armonia estetica nei termini di natura illuminata: <<Il modello di perfezione sarà la natura stessa a fornirlo; nei suoi cicli di nascita, crescita, proliferazione, decadimento, estinzione, il mondo vegetale nella dottrina del Loto è considerato una sorta di yoghi involontario: nascendo intraprende la sua disciplina, porta a frutto la capacità di generare, avvizzisce e si spegne in un circolo di rinascita che non ha fine. In questa prospettiva il rapporto uomo-natura invalso nel regime dei 'dualismi occidentali' è rovesciato: non è l'uomo misura del creato e culmine della scala dei viventi, ma è la natura nel complesso a essere misura a se stessa, modello di un 'risveglio' che per l'uomo invece è conquistato a fatica. La natura buddhica dell'universo, nella dottrina del Loto, non distingue tra un'ameba, una stella o un uomo. Dice Kûkai: "Il corpo del Buddha è il corpo di tutti gli esseri, e il loro corpo è quello del Buddha. Diverso eppure identico. Non diverso eppure non tale">> .
Ma su tale tema diamo l'ultima parola a Gary Snyder: <<I buddisti insegnano il rispetto per la vita intera e per i sistemi selvatici. La vita umana è, in ogni suo aspetto, completamente dipendente da un sistema di rapporti vicendevoli che appartengono al mondo selvaggio. Eugene Odum, nel suo utile saggio Una strategia per lo sviluppo dell'ecosistema, sottolinea che gli Stati Uniti hanno le caratteristiche di un giovane ecosistema. Alcune culture amerinde presentano caratteristiche "mature": protezione anziché produzione, stabilità anziché crescita, qualità anziché quantità. Nelle società dei Pueblo viene praticata una sorta di democrazia suprema. Piante e animali sono anche loro persone e, attraverso danze e rituali particolari, assumono un ruolo e una voce nell'ambito delle discussioni politiche degli uomini. Sono "rappresentati". "Potere a tutte le persone": ecco lo slogan. Solo coloro che hanno già afferrato l'importanza di questi cambiamenti necessari  e che hanno iniziato, sia in campagna che in città, a "crescere con meno", rappresentano la vera e unica controcultura che conta. L'elettricità a Los Angeles non è energia. Come disse Blake: "L'energia è eterna delizia">> .


La seguente nota dà per conosciuti i fondamenti del bioregionalismo, per la cui storia si rimanda al saggio di Alessandro Curti in questo stesso numero.
  La comunità che viene, Einaudi, Torino 1990, p. 75.
  Sui temi dell'estetica della natura e del paesaggio sono da menzionare in Italia, oltre a quelli di Paolo D'Angelo, i numerosi lavori di Luisa Bonesio e Massimo Venturi Ferriolo.
  Paolo D'Angelo, Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale, Editori Laterza, Roma-Bari 2001, p. XIII.
  Ivi, pp. 159-160. Sul genius loci cfr. l'ottimo Eduardo Zarelli, La cura della dimora. Il rito e l’identità nelle forme culturali dell’abitare, in AA.VV., Architettura popolare e identità. La forma fisica delle culture locali. Leonardo Facco, Bergamo 2004. Dello stesso autore su questi temi cfr. anche Un mondo di differenze. Il localismo tra comunità e società, Arianna Editrice, Casalecchio di Reno (BO) 1998.
  Documento riportato in Berg-Sale-Snyder, Bioregione. Nuova dimensione per l'umanità (a cura di Fabrizio Zani), Macro Edizioni, San Martino di Sarsina 1994, p. 11.
  Paolo D'Angelo, Op. Cit., p. XII.
  Peter Berg, Post-ambientalismo, in Berg-Sale-Snyder, Op. Cit., pp. 12-13.
  Peter Berg, Le direttive post-ambientaliste del bioregionalismo, Lato Selvatico/Rete Bioregionale Italiana, Portiolo (MN) 2002, pp. 11-16.
  Paolo D'Angelo, Op. Cit., p. XIV.
  Sulle relazioni fra la prospettiva bioregionalista e l'arte della musica ci permettiamo di rinviare a Antonello Colimberti (a cura di ) Ecologia della musica. Saggi sul paesaggio sonoro, Donzelli Editore, Roma 2004. Per una rapida sintesi cfr. Antonello Colimberti, Un giardino pieno di suoni in “La Majella” (Quadrimestrale di Cultura Ambientale), n. 1, gennaio-aprile 2004, pp. 81-88.
  Tanto Lapiner che Cogburn sembrano aver preso sul serio la diagnosi formulata anni prima da Gary Snyder: <<La danza ha in genere perduto ogni legame con il dramma, con l'imitazione degli animali o con il bisogno di descrivere il labirinto del viaggio spirituale>> (Gary Snyder, La poesia e il primitivo (1969), in Fernanda Pivano, L'altra America negli anni Sessanta, vol.V, Edizioni Il Formichiere, Milano 1979 p. 140).
  Beryl Magilavy, La natura nell'arte, in Berg-Sale-Snyder, Op. Cit., p. 64.
  Ci riferiamo alla distinzione sottile fra estetico, superestetico e transestetico operata da Mario Perniola nel suo Presa diretta. Estetica e politica, Cluva Editrice, Venezia 1986, Capitolo Quarto Dall'estetico al superestetico, pp. 63-83. Se l'estetico e il superestetico si qualificano come un'esperienza che concilia gli opposti annullandoli, il transestetico mantiene la differenza e si qualifica piuttosto come"percezione non dolorosa degli opposti".
  Peter Berg negli anni Sessanta dello scorso secolo ha partecipato al San Francisco Mime Group, la più rappresentativa compagnia americana di teatro politico, separandosene poi per fondare i Diggers, una assemblea anarchica che operava sulla scena hippies di San Francisco.
  Gary Snyder è autore di numerosi libri di poesia e prosa, fra cui ricordiamo i più celebri Turtle Island (1974) Premio Pulitzer per la poesia (trad.it. L'isola della tartaruga, Stampa Alternativa, Viterbo 2004, e The practice of the wild (1990) (trad.it. Nel mondo selvaggio, Red Edizioni, Como 1992).
  Cfr. Grazia Marchianò, L'armonia estetica. Lineamenti di una civiltà laotziana, Dedalo Libri, Bari 1974.
  Kirkpatrick Sale, Le regioni della natura. La proposta bioregionalista, Elèuthera, Milano 19991, pp.  105-106.
  <<La frantumazione del sistema di Hegel e la critica radicale dello stato spostano dal passato remoto ad un avvenire altrettanto lontano il luogo dell'estetico, il quale viene proiettato in una società futura senza filosofia e senza stato, in cui tutte le divisioni sono superate e tutti i conflitti conciliati: l'emancipazione di tutti i sensi e di tutte le qualità umane e la conciliazione dei bisogni di tutti sono pensate come conseguenze dell'abolizione della divisione del lavoro e della proprietà privata. Questa utopia estetica appartiene all'avvenire non al presente, che sembra caratterizzato dall'urgenza e dalla inesorabilità della lotta. È all'interno di questa prospettiva che nasce e si sviluppa la poetica di un'arte ostile all'estetica e al bello, la quale è lotta, non conciliazione: essa si autodefinisce giustamente con un termine militare, è avanguardia, perché anticipa più il conflitto in cui tutta la società sarà coinvolta che la pace universale che a questo conflitto seguirà>> (Mario Perniola, Presa diretta…, cit., pp. 77-78).
  <<A rifletterci, "utopia" e "armonia" rappresentano gli esiti opposti dei due processi mentali di cui ci siamo occupati. Uno sviluppo eccessivo, anomalo dell'immaginazione comporta di necessità- nel contrasto dialettico dell'io che si scontra con ciò che non vede che come ostacolo- la progettazione utopica, dove la tendenza centrifuga trova la sua estrema dilatazione nell'irrealtà. Mentre uno sviluppo naturale dell'osservazione comporta di necessità l'intuizione di "ciò che è", dove la tendenza centripeta trova il suo sbocco più ricco nel riconoscimento dell'Armonia. E sono questi, in definitiva, i poli attraverso la cui tensione e influenza reciproca, il pensiero occidentale e il pensiero orientale hanno svolto il loro corso in migliaia di anni. Tuttavia, mentre l'utopia differisce l'armonia-nel tempo e ciò facendo la rende inattuabile, l'armonia demistifica l'utopia nello spazio del 'qui-ora', e ciò facendo si rende concreta e possibile all'istante (Grazia Marchianò, L'armonia estetica. Lineamenti di una civiltà laotziana, Dedalo Libri, Bari 1974, p. 30).
Va ricordato che il passaggio significativo dall'utopia all'armonia è stato compiuto in tempi recenti anche da un vecchio situazionista (per quanto dimissionario) come Raoul Vaneigem, quando contrappone al millenarismo medioevale di ispirazione giochimita la libertà di natura dei Fratelli del Libero Spirito. (cfr. Raoul Vaneigem, Il movimento del Libero Spirito, Nautilus, Torino 1995).
  Sull'affinità fra stoicismo e dottrine orientali, soprattutto il buddismo zen, (in particolare nella valorizzazione del presente cfr. Giangiorgio Pasqualotto, Il presente come divino: epicureo, Seneca, il Buddismo Zen, in Religioni e Società 3, gennaio-giugno 1987, 121-126. Anche Grazia Marchianò rileva medesime affinità: <<Vivere secundum naturam o ad naturam ricorre nella prosa di Seneca e Cicerone con un significato non lontanissimo da quello taoista. Nel fluire dinamico della Lebenswelt, il saggio non vede via migliore che conformarvisi, lasciando che sia la natura a operare secondo i suoi fini nella vita dell'uomo>> (Grazia Marchianò, Sugli orienti del pensiero. La natura illuminata e la sua estetica, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli-Messina, p. 30).
  Mario Perniola, Del sentire, Einaudi, Torino 1991, pp.  101-102.
  Kirkpatrick Sale, Op. Cit., p. 196. Si noti come la diagnosi della follìa industrialista fatta da Sale sia consonante con quella della stoltezza fatta dagli stoici: <<La causa della stoltezza (per gli stoici, n.d.A.) è un giudizio errato, è una volontà distorta: gli stolti pensano in modo aberrante, ma pur sempre pensano; alla radice di ogni male sta l'ignoranza, la mancata comprensione del bene, l'eccessiva mobilità del desiderio, ma questi errori e peccati sono comprensibili, perché sono opera di quello stesso pensiero che ci giuda verso la conoscenza e la virtù. Per gli stoici l'uomo non è diviso in più parti in conflitto fra loro né dilaniato da forze che vanno in direzioni opposte: è impossibile scegliere un male in quanto male, e inoltre la natura dell'anima è una sola, comune tanto ai saggi che agli stolti>> (Mario Perniola, Disgusti. Le nuove tendenze estetiche, Costa e Nolan, Genova-Milano1998, p. 72-73).
  Grazia Marchianò, Sugli orienti del pensiero…, cit., p. 106.
  Gary Snyder, L'isola della tartaruga, cit., pp. 194-195