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Le Pere di Pinocchio: il Petrolio spiegato ai Politici

di Ugo Bardi - 12/05/2006

  





Quando si cerca di spiegare la questione del "picco del petrolio" ci si trova a volte fronte a persone - tipicamente fra i politici - che non amano le sottigliezze e che tendono a a ridurre i problemi al loro minimo di complicazione. "Non mi interessa questa faccenda del picco," ci si sente dire, "voglio sapere quanto petrolio rimane."

Su questo punto, anche i più navigati dei "picchisti" dovranno ammettere che le riserve di petrolio rimanenti, al ritmo di estrazione attuale, potrebbero durare 40 anni. Questo è ben al di là della data delle prossime elezioni, al che il politico può archiviare la cosa, concludendo che non ci sono problemi in vista. Anche per molti non-politici che non sono più proprio imberbi, in questi termini la "fine del petrolio" sembrerebbe essere ben al di la dell'orizzonte temporale delle cose preoccupanti.

In effetti, di fronte alla semplice domanda è, "ma se ancora ci sono riserve di petrolio da estrarre, perché ci dovrebbe essere un picco di estrazione?” molti di noi possono trovarsi perplessi. Dobbiamo ragionarci sopra: chi pone questa domanda sta pensando al petrolio come se fosse - per esempio - birra in un bicchiere, ma questa non è una buona analogia. Se pensiamo a un bicchiere pieno di birra, il primo e l’ultimo sorso sono la stessa cosa; è sempre la stessa birra, finché ce n’è. Non c'è ragione per la quale ci dovrebbe essere un "picco della birra". Ma per il petrolio le cose sono diverse: i petroli non sono tutti uquali e l'ultimo "sorso" di petrolio sarà molto diverso (e meno buono) del primo. Se vogliamo fare un'analogia per spiegare la faccenda, non dobbiamo pensare a un bicchiere con dentro birra o qualcosa del genere, ma piuttosto alle pere di Pinocchio.

C’è un punto nella storia in cui Geppetto offre tre pere a Pinocchio. Prima di mangiarle, Pinocchio se le fa sbucciare e vorrebbe buttar via i torsoli. Dopo un po’, però, si accorge di avere ancora fame. Dato che non c’è altro da mangiare, non gli resta che attaccarsi alle bucce e ai torsoli che, per fortuna Geppetto gli ha conservato.

Allora, bucce e torsoli li possiamo certamente definire “pera,” se vogliamo. Non è detto, però, che siano altrettanto buoni degli spicchi ben tagliati e sbucciati. Il problema del petrolio è tutto qui: il petrolio “buono”, quello fluido e facile da estrarre e raffinare, è finito o sta finendo. Quello che resta sono bucce e torsoli, petrolio viscoso, pieno di zolfo e difficile da estrarre e raffinare.

Non è che non ci sia più petrolio, ma le cose non sono più come prima. E si va sempre a peggiorare, costretti a masticare bucce sempre più dure e con sempre meno pera attaccata. Questo ci costringe a rallentare sempre di più nello sforzo di masticazione, fino a che arriveremo alla conclusione che non vale più la pena di insistere tanto. A questo punto, aaremo passati al di là di un massimo di produzione (di pera o di petrolio che sia). Ecco la spiegazione del picco del petrolio.

I problemi con il petrolio non aspetteranno 40 anni per arrivare, stanno già arrivando.