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Turismo e agroalimentare a rischio con gli Ogm

di Sabrina Lauricella - 12/05/2006

 


La diffusione degli Ogm potrebbe minare due importanti dell’economia italiana: il turismo e ‘Made in Italy’ agroalimentare. A lanciare l’allarme, ieri, la Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti nel corso di un convegno promosso dal Consiglio dei Diritti Genetici dal titolo ‘Grano o grane: Ogm alla prova di governo’. Secondo la stima presentata dall’associazione che riunisce tutti i coltivatori diretti dello Stivale, elaborata sulla base dei risultati della ricerca Inran sull’impatto degli Ogm sui consumatori esteri di alimenti Made in Italy, la presenza di grano Ogm nel prodotto più tipico, vale a dire la pasta, provocherebbe un danno all’intero comparto alimentare con risvolti economici irrimediabili sul piano economico. Dalla ricerca emerge che più della metà degli stranieri (55%) finirebbe infatti per evitare la pasta mentre il 15% potrebbe addirittura rifiutare tutti i cibi provenienti dal BelPaese. La sola diminuzione delle esportazioni comporterebbe un danno di circa 2,2 miliardi di euro a cui però bisogna aggiungere gli ulteriori effetti derivanti dalla convinzione del 60% degli stranieri che l’introduzione di Ogm rappresenta una diminuzione reale della sicurezza alimentare dei prodotti italiani.
Ai danni sul fronte dell’export si aggiungerebbero poi quelli sul piano interno, legati alla diminuzione del turismo enogastronomico, l’unica componente costantemente in crescita del turismo straniero in Italia.
Secondo la Coldiretti, anche i consumi interni subirebbero significative riduzioni: la grande maggioranza degli italiani (62%) non è favorevole all’utilizzo dell’ingegneria genetica nel settore agro-alimentare anche perché l’elevato consumo pro-capite di prodotti a base di frumento (il consumo quotidianamente è di quasi 350 grammi a testa) amplierebbe notevolmente gli eventuali effetti tossico-allergenici derivanti dal consumo di grano transgenico, con serie implicazioni per la salute.
Non meno gravi, poi, i danni per gli stessi coltivatori e per l’economia del Paese. La produzione del grano, componente fondamentale della dieta mediterranea per una spesa totale di quasi 7 miliardi di euro, rappresenta una quota rilevante della superficie agricola dello Stivale, circa 2,1 milioni di ettari, pari a oltre il 15%. Finora, diversamente da quanto accaduto per mais, soia e colza, la forte opposizione italiana ed europea nonché quella di alcuni Paesi come Giappone e Canada ha consentito di arginare i continui tentativi di commercializzare il grano Ogm da parte di multinazionali senza scrupoli, intenzionate a imporre i loro prodotti in modo indiretto, sfruttando cioè il fenomeno della contaminazione genetica. Se l’utilizzo dei semi bio-tech dovesse diffondersi in modo sufficientemente capillare, infatti, sarebbe impossibile impedire la diffusione ad opera del vento dei loro pollini e la commistione con quelli naturali, con danni irreversibili all’intero sistema agroalimentare nazionale e, con il tempo, globale.
Consapevole di ciò, un crescente numero di Amministrazioni locali (2.355 su 8.106, pari al 29%) ha scelto di emettere normative miranti ad impedire la contaminazione del territorio.
I rischi per il futuro però sono tutt’altro che finiti. Il forte potere di pressione delle multinazionali sia nell’Ue sia nel Wto e l’importante giro d’affari che tali prodotti comportano potrebbe rendere inutili tutti gli sforzi di politici e amministratori locali, permettendo così alle imprese di scavalcare gli ostacoli con imposizioni normative e sanzionatorie ‘astutamente’ ottenute presso le organizzazioni internazionali.