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La linea diretta Lenin-Stalin

di Goffredo Fofi - 20/10/2010


Il pensiero. «Dell'uomo si può fare quel che si vuole», diceva Lenin
Sergej Mel'gunov protagonista a Mosca negli anni della Rivoluzione d'Ottobre denunciò subito le degenerazioni smascherando la logica del «terrore rosso»


Quando negli anni venti dello scorso secolo cominciarono ad aver corso, insieme a elogi entusiasti, anche le prime motivate critiche delle scelte economiche e politiche del nuovo potere sovietico, l'attenzione del pubblico era grande: la rivoluzione sovietica aveva aperto nuovi inediti scenari europei, che avevano risonanza mondiale, e sapere e capire era necessario per poter giudicare. Ma quelli che davvero volevano sapere e capire, e che non erano prevenuti a favore o contro, furono ben pochi. Gli intellettuali che amavano considerarsi "al disopra della mischia" dimostrarono, come sempre o troppo spesso, una grande superficialità, e più cecità che lungimiranza: o paura o esaltazione, quasi mai lucidità o freddezza nell'analisi. Fu solo con gli anni trenta ‑ e cioè col consolidarsi dello stalinismo e la messa punto di un sistema di dominio, di un'organizzazione sociale ferrea e dittatoriale che, nel mentre proponeva risultati economici e militari enormi (i piani quinquennali che fecero in poco tempo dell'Urss la seconda potenza mondiale), precisava un controllo sociale e culturale implacabile ‑. che voci di critica e dissenso ebbero un grande effetto sull'opinione pubblica, da Istrati a Gide a Celine passando per gli emigrati ed esuli come Souvarine e più tardi VictorSerge. Ma basterebbe rileggere il viaggio nell'Urss degli anni Trenta del nostro Corrado Alvaro, che non era particolarmente prevenuto, e che non poté non notare certe somiglianze tra il regime bolscevico e quello fascista, per vedere come si oscillasse tra ripudio e ammirazione, tra riconoscimento dei risultati raggiunti e spavento per l'organizzazione che li aveva imposti.
Oggi, a distanza di quasi cent'anni dalla Rivoluzione, i discorsi dovrebbero essere chiari, le analisi oggettive. La bibliografia che riguarda quegli anni è immensa, ma si direbbe, almeno in Italia, che le passioni non si siano placate. Qui da noi si oscilla in particolare, in modi dirado interessanti, tra un anticomunismo di tradizione consolidata che vede dell'esperienza sovietica tutto il nero e una nostalgia piuttosto ottusa e di pochi, poiché i comunisti italiani hanno scelto da tempo la strada del capitalismo nei fatti come nelle parole. Più impressionante è la nostalgia del sistema comunista che si riscontra in Russia, che è nostalgia di un'epoca d'ordine e di consenso, un consenso basato, per una vasta parte della popolazione, su indubbi progressi nelle condizioni di vita. Oggi c'è in Italia perfino chi sostiene che il regime zarista ‑ «un impero autocratico con i suoi boia, i suoi pogrom, i suoi galloni, le sue carestie, le sue galere siberiane, la sua vecchia iniquità», come scrisse tra mille altri Victor-Serge ‑ avrebbe potuto portare progressivamente, per sua interna evoluzione, ai benefici del benessere e della democrazia, e anche nell'analisi del libro di Mel'gunov, che fu tra i primi a denunciare le storture e le violenze, le repressioni e le intolleranze del nuovo regime, si dimentica che egli che era stato tra l'altro uno stretto collaboratore di Tolstoj, e che era membro di uno dei molti raggruppamenti politici, dichiaratamente socialista, che avevano preso parte attiva alla rivoluzione e che ne furono emarginati dal golpe bolscevico ‑nella rivoluzione era stato coinvolto direttamente e non ne disconosceva certamente le ragioni e le cause. Se un effetto finirà per avere l'anticomunismo di certa stampa e di certa politica, sarà presumibilmente, in Italia, quello contrario a ciò che i suoi rappresentanti se ne aspettano, di fronte alla crisi evidente del modello capitalista‑ almeno di quello che ha dominato negli ultimi decenni, che non era il solo possibile ma è stato quello che ha dominato sugli altri.
L'aspetto più importante del saggio-denuncia di Mel'gunov è la sua denuncia del "terrore rosso", documentata e serissima, corredata da statistiche impressionanti, e che va dalla disamina delle decisioni politiche prese dal partito vincente al resoconto particolareggiato di ciò che accadeva nelle prigioni sovietiche e nella deportazione. E come in altri casi si resta sconcertati dal ritardo con il quale l'editoria italiana si è accorta di libri come questo ‑ e si è grati a Paolo Sensini che l'ha efficacemente introdotto e commentato e a Sergio Rapetti che ha ricostruito un'esauriente biografia dell'autore, evocando tutte le sue tribolazioni.
Mel'gunov, "socialista‑popolare" e democratico, fece politica attiva e fu tra i primi a denunciare i colpi di mano comunisti, l'instaurazione immediata di un sistema di controllo poliziesco nei confronti degli avversari di altre correnti e partiti, e la condotta della guerra civile. Tra il 1918 e il 1922 venne arrestato più volte dalla Ceka. Processato nel 1920, venne rilasciato grazie alle pressioni di vecchi rivoluzionari ancora intoccabili, come Kropotkin, ancora vivo e ancora intoccabile, o Korolenko, e quella Vera Figner eroina decabrista le cui memorie assai belle - un’altra rimozione! ‑ non mi pare siano mai state tradotte in italiano.
D'accordo, «la rivoluzione non è un pranzo di gala», ma come dice un motto più antico e di maggior saggezza, il buongiorno si vede dal mattino. L'aspetto più appassionante del libro di Mel'gunov è la sua denuncia della politica di Lenin, che permette di considerare gli elementi di continuità e solo quelli, più spesso studiati, di discontinuità tra Lenin e Stalin. Al tempo di Kruscev, fu Vasiij Grossman, ex bolscevico convinto, a dirlo sconcertando molti lettori in Tutto scorre (edizione italiana Adelphi 1987). Nel 1967 mi capitò di recensire il libro ‑ peraltro bello e importante ‑ di Evgenija Ginzburg, Viaggio nella vertigine (Mondadori) - sui "Piacentini" e di indicarne i limiti proprio nel fatto che ella si fosse resa conto di cos'era il regime stalinista soltanto quando colpì direttamente nel suo ambiente, tra i suoi vicini e conoscenti stessa, ignorando il prima o volendolo ignorare, non rispondendo alla domanda: quando era cominciato?
Sergei P. Mel'gunov, «Il terrore rosso in Russia 1918‑1923», a cura di Sergio Rapetti e Paolo Sensini, Jaca Book, Milan pagg. 306, €29,00.