Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Qual è il crimine di Julian Assange?

Qual è il crimine di Julian Assange?

di Alessandro Dal Lago - 08/12/2010




 

Qual è il crimine di Julian Assange, che gli è costato un po' di minacce di morte, nemmeno velate, da parte dei membri dell'establishment occidentale? Aver diffuso materiali diplomatici che, con tutta probabilità, provengono da qualche gola profonda dell'amministrazione americana. In sostanza, aver fatto il mestiere che qualsiasi organo di informazione degno di questo nome sarebbe tenuto a fare (come il Washington Post all'epoca del Watergate).

Ecco una contraddizione potenzialmente esplosiva tra la libertà puramente ideologica, il diritto all'informazione sbandierato come supremo valore del liberalismo o del liberismo dominante, e la libertà reale, che ovviamente è subordinata alla Realpolitik e alla doppiezza di ogni politica estera o diplomazia. In questo senso, il problema dello smascheramento è infinitamente più rilevante del contenuto delle rivelazioni: alcune possono essere più o meno prevedibili o di routine (i giudizi impietosi dei diplomatici Usa sui leader europei), altre veramente imbarazzanti per Obama e Hillary Clinton (lo spionaggio dell'Onu), altre ancora mine vaganti (l'evidente spinta Usa a liberarsi di Karzai, la guerra segreta della Nato a est). Ma il punto è che per la prima volta, almeno su scala così globale, la realtà della politica estera è esposta agli occhi di quelli che dovrebbero esserne gli utenti ultimi, cioè i cittadini delle famose democrazie occidentali.

Tutte le sciocchezze che sono state dette su Wikileaks («terrorismo», «11 settembre dell'informazione») tradiscono il nervosismo dell'establishment sulla capacità di Internet di violare la (presunta) segretezza della politica globale. Altre panzane erano già state smascherate in passato (le «armi di distruzione di massa» di Saddam). Ma tutto era stato ricomposto dopo la svolta di Obama e il trionfo di un'opinione pubblica democratica e pacifista negli Usa, anche se messa poi di fronte a troppe promesse mancate. Questa volta no. Il Web mostra la sua capacità di mettere in circolo informazioni alternative, e quindi la battaglia si è rapidamente trasferita in rete. Colossi del Web vicini all'establishment come Amazon e Paypal si sono già schierati contro Assange e non dubitiamo che altri seguiranno. E quindi si capisce bene come sia la stessa libertà reale di informazione la posta di un conflitto che visibilmente proseguirà in modo imprevedibile.

Gran parte dei media in Italia si sono concentrati sulle rivelazioni che mettono in difficoltà Berlusconi (se è per questo, scossoni stanno già avvenendo in Germania, dove il capo di gabinetto del Ministro degli esteri si è dovuto dimettere per giudizi poco lusinghieri sul suo capo). Ma è una prospettiva un po' provinciale. La verità è che i media generalisti si sono mossi al seguito di Wikileaks, ma stavolta interagendo sulle fonti con uno specifico lavoro redazionale (come hanno fatto The Guardian o El Pais, ma perfino il New York Times definito per questo «terrorista» dal ministro degli esteri israeliano Lieberman). C'è insomma un movimento in rete che dilata sui giornali tradizionali, dalle potenzialità forse inimmaginabili, di cui l'organizzazione di Assange è solo un'avanguardia.

Ed è per questo che chiunque abbia a cuore la libertà di informazione e di giudizio - noi, cittadini globali - dovrebbe sottoscrivere l'appello di Noam Chomsky al governo australiano perché tuteli i diritti del cittadino Assange (in primo luogo a non essere estradato). Perché in gioco non c'è tanto uno scandalo diplomatico o la miseria di qualsiasi politica di potenza. C'è qualcosa di infinitamente più importante che ci riguarda tutti.