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L'enigma cinese

di Joseph Halevi - 28/12/2010




Stiamo entrando nel quarto anno dall'inizio della crisi economica mondiale senza che si profilino delle soluzioni interne al sistema economico, segnatamente all'assenza totale di lotte e strategie forti alternative. Ma la crisi è veramente globale? Inizialmente lo era quando la Cina ne venne coinvolta per un periodo di circa cinque o sei mesi e quando la borsa di Bombay venne posta sotto pressione. Col varo di ampie spese reali la Cina riprese la sua crescita caratterizzata dalla preminenza degli investimenti pesanti e delle esportazioni. L'India subì un lieve calo del tasso di espansione per poi riprendersi anch'essa interamente sulla base della domanda interna. Pertanto, dalla seconda metà del 2009 l'accumulazione capitalistica mondiale si suddivide in due. Se Stati uniti, l'Europa ed il Giappone sono in condizioni di crisi e stagnazione, continua l'espansione della Cina e dell'India inflazionando i prezzi delle materie prime, trainando e gonfiando le economie dei paesi produttori, dall'Australia al Brasile.

Una caratteristica fondamentale dell'assetto politico post 2007-8 è l'enorme rafforzamento del potere del capitalismo finanziario - soprattutto delle banche - per cui le prospettive del 2011 dipendono molto dalle aspettative di questi centri di potere. In tale contesto la Cina è l'elemento determinante delle aspettative dinamiche, mentre Usa ed Europa devono rimanere una fonte inesauribile cui attingere per ottenere soldi pubblici. Qualche settimana fa l'International Herald Tribune pubblicò un dettagliato articolo sull'esistenza di un vero comitato esecutivo segreto formato dalle principali banche, il cui scopo è di proteggerne il potere e di orientare in tal senso tutte le proposte di riforma del sistema finanziario. Emerge nitidamente che i fondi speculativi sul rischio, gli hedge funds, sono oggi il punto focale da difendere, il che rappresenta la conferma che i lati più pericolosi del capitalismo finanziario hanno acquisito un peso ben maggiore rispetto agli anni precedenti.
Negli Usa ed in forme anodine e contorte in Europa, la crisi unita all'intoccabilità delle grandi banche, ha trasformato l'erogazione di denaro pubblico in elargizioni alle medesime. Malgrado i bassissimi tassi di interesse questi soldi non vengono indirizzati verso l'investimento reale né verso il credito alle famiglie. Il sistema finanziario pieno di liquidità a costo zero anela a collocazioni in attività di lucro, cioè di rischio. Le attività che contano sul piano mondiale sono quelle collegate alla Cina ed al suo vortice che va dai futures della soia in Brasile ed Argentina ai minerali australiani, al gas dell'Asia centrale, alle foreste indonesiane ed ai mercati borsistici di questi paesi, fino all'Africa. La dinamica cinese determina quindi le aspettative di lucro del comparto capitalistico che la crisi ha rafforzato. La crescita cinese è accompagnata da una bolla speculativa interna di grandi proporzioni nel campo immobiliare e azionario cui si collega la bolla del collocamento della liquidità «occidentale». Ne consegue che esiste una connessione realmente dialettica tra la crisi negli Stati uniti ed in Europa e la crescita cinese. Un non improbabile rovescio del mercato immobiliare delle maggiori città cinesi e della borsa di Shanghai, comporterebbe un radicale capovolgimento nelle aspettative delle società occidentali che maneggiano i fondi hedge con tutte le loro negative ripercussioni sui mercati finanziari statunitensi ed europei. Se le aspettative del capitalismo finanziario dipendono in gran parte dall'espansione cinese è necessario vagliarne la solidità. Vedremo che questa è assai problematica.