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Atmosferologia. Estetica degli spazi emozionali

di Marco Tedeschini - 29/12/2010

Tonino Griffero, Atmosferologia. Estetica degli spazi emozionali

 

 

 

 

 

 

L’ultimo libro di Tonino Griffero, professore di estetica presso l’università degli studi di Roma “Tor Vergata”, studioso dal percorso eclettico, dedicatosi inizialmente all’ermeneutica giuridica di Betti, quindi all’estetica di Schelling e negli ultimi anni anche alle nozioni di ‘corpo spirituale’ e di ‘ontologie sottili’, costituisce il precipitato di diversi anni di ricerche attorno al concetto di ‘atmosfere’. Grazie a un volume della Rivista di Estetica (Griffero, T. e Somaini, A. (a c. di), Atmosfere, «Rivista di estetica», XLVI (2006), n.s. 33) egli, assieme a Somaini, ha di fatto importato e introdotto in Italia questo concetto, sviluppato in Germania innanzitutto dalla neofenomenologia di Hermann Schmitz e in seguito dalle ricerche estetiche ed estesiologiche di Gernot Böhme, e con l’Atmosferologia ne guadagna un’elaborazione sistematica, articolata e personale. Il sottotitolo, estetica degli spazi emozionali, introduce immediatamente e senza equivoci al problema di fondo del saggio: l’esperienza vissuta di «sentimenti insediati nello spazio circostante» (p. 12), la cui ricaduta immediata consiste nel «registrare [le atmosfere] nel repertorio ontologico a cui mette capo la nostra ordinaria, intuitiva e pragmaticamente efficace, segmentazione della realtà (estesiologica, poi socio-culturale e così via)» (ibidem). Tale problematica si inserisce nel discorso più ampio, atmosferologico appunto, di «sviluppare […] la magistrale ancorché incompiuta tematizzazione heideggeriana della tonalità affettiva come modalità dell’essere-nel-mondo, nei nostri termini come atmosfera nella quale ci si immerge e che ci pervade, prima che si conosca e si voglia qualcosa» (p. 114); Griffero infatti ritiene che si debba «valorizzare l’ipotesi che le atmosfere siano il fulcro di una comunicazione proprio-corporea tra uomo e mondo anteriore a scissioni e astrazioni» (p. 115). A dare rigore al ripensamento dello statuto del sentimento e a una più compiuta tematizzazione dell’essere-nel-mondo è un metodo di ispirazione fenomenologico-realista, in virtù del quale il fenomeno dell’atmosfera viene reso riconoscibile nella sua autonomia e identità ontologica. Un’analisi che volta per volta “ricava” l’atmosfera dallo sfondo (sociale o meno), dall’oggetto o dall’insieme di oggetti, o ancora dal soggetto a cui parrebbe riducibile, per restituirle la propria dignità di ‘semi-cosa’ (per via della sua ‘esteriorità’, ‘oggettività’, ‘inintenzionalità’) dai confini indefiniti. L’Atmosferologia non tenta infatti di reificare l’atmosfera del tutto, come fosse un entità discreta (un cosa, appunto); prova invece a pensarne il carattere, che già sul piano del senso comune appare il più proprio, la vaghezza – di contro alla chiarezza con cui viene percepita. Motto e fine di Griffero è infatti questo: «non uscire dal vago (ma starci nella maniera giusta)» (p. 3)!

Infine l’Atmosferologia può esser letta come il tentativo di una riflessione radicale e di ampio respiro sulla definizione di un ‘sano’ vissuto estetico, inteso come la «fluida oscillazione tra il prendere e l’essere presi» (p. 156), laddove quest’ultimo (che designa una passività tutta atmosferica) legittima e ridimensiona il prendere – eminentemente soggettivo – come «facoltà di rilevare le atmosfere» (p. 155); e come il tentativo di configurare lo sfondo teorico per quelle «molteplici professioni (scenografia, progettazione d’eventi, retorica, marketing, allestimento museale, arredamento d’interni, architettura, urbanistica, personal training, ecc.), la cui competenza, ormai legittimata non a caso da manuali e cattedre universitarie, consiste appunto nel manipolare certe situazioni fisiche e psicologiche e ipotizzarne statisticamente l’effetto atmosferico» (p. 150).

Sull’importanza filosofica, ma non solo, di una teorizzazione articolata e sistematica del concetto di atmosfera, che permetta di riconoscerne l’autonomia e la fecondità, e sull’opportunità di una “teoria unificata” delle atmosfere si sofferma particolarmente il secondo capitolo del libro, Per una storia del concetto di atmosfera. Facendo leva sul proprio metodo, Griffero passa in rapida rassegna numerosi concetti della filosofia, della psicologia, delle scienze religiose del XX secolo, per mostrare come sia stato (e lo sia tuttora) da più parti avvertito il bisogno di una concettualizzazione di ciò che di volta in volta è stato chiamato clima, paesaggio, numinoso, Stimmung, aura e che invece sarebbe stato più appropriato denominare atmosfera; si mostra come il design, l’urbanistica, l’architettura, la musica dipendano fortemente dalle atmosfere che producono o potrebbero produrre, dovendo pertanto fare i conti con un’atmosferologia; si fa valere la tesi che in arte, soprattutto pensando all’arte contemporanea, sarebbe opportuno passare «dal bello all’atmosferico» (p. 88), accontentandosi «di affermare che l’opera d’arte, se è moins un monde qu’une atmosphère de monde (Dufrenne), lo è solo perché seleziona e intensifica, anche mediante i suoi paratesti (ambienti, vesti grafiche, ecc.), impressioni atmosferiche già preesistenti nell’ambiente extra-artistico» (pp. 93s); infine Griffero suggerisce che «al cuore di ogni relazione sociale (e sociosimbolica) troviamo […] un’atmosfera» (p. 78). Il capitolo consente di osservare come la strategia antiriduzionista di Griffero restituisce alle atmosfere la propria legittimità, senza per ciò negare ai condizionamenti socio-culturali e naturali la propria cittadinanza, ma anzi riconoscendo loro un ruolo genetico rispetto al sorgere delle atmosfere, in virtù del quale non si deve però ammettere la riduzione dell’atmosfera alle sue condizioni.

All’interno del primo e del terzo capitolo del libro – La percezione atmosferica e Atmosferologia – Griffero offre una disamina dei concetti portanti di questa teoria delle atmosfere, tra cui figurano quello di ‘corpo-proprio’ (con cui si traduce il concetto di Leib, fondamentale all’interno della fenomenologia tedesca) e quello di ‘atmosfera’.

«La percezione atmosferica, come si è anticipato, non concerne oggetti coesi, solidi, continui, mobili solo per contatto, forme e movimenti discreti, piuttosto situazioni caotico-molteplici dotate di una loro significatività interna» (p. 14), ovvero di situazioni percepite come esterne al soggetto e che tuttavia ‘esprimono’ «che qualcosa è in un certo modo» (ibidem). Tutto ciò implica che la percezione «ha immediate conseguenze valutative ed espressive (eccitazione, terrore paralizzante, salti di gioia, rossore, pelle d’oca)» (p. 33). Pertanto la percezione atmosferica è una variante della percezione ordinaria, in quanto il percipiente si sente condizionato direttamente da qualcosa che gli è estraneo: un’emozione effusa nello spazio, che connota emozionalmente la situazione, in cui è coinvolto il percipiente. Questo spazio – che Griffero nomina ‘spazio vissuto’ sulla scorta di Schmitz – non è tuttavia riconducibile al mero spazio misurabile, né può essere identificato con il vissuto dello spazio (che comporterebbe un ritorno a una fenomenologia del vissuto e dell’intenzionalità, nei confronti della quale Griffero è piuttosto critico); esso riguarda invece «lo spazio esperito attraverso la nostra “presenza proprio-corporea”» (p. 48). Il corpo-proprio, a cui è possibile accedere unicamente in ‘prima persona’, è ancora una volta e in modo del tutto simile a quanto richiesto allo spazio vissuto «privo di superfici e occupa un luogo ‘assoluto’ e non geometrico» (p. 31). Esso si manifesta «nella sfera affettiva […] secondo un ritmo polarizzato (contrazione o angustia/espansione o vastità) i cui estremi, entrambi incoscienti, sono il terrore paralizzante (incorporazione) e il rilassamento totale (decorporazione)» (ibidem). Infine queste polarizzazioni si articolano in ‘isole proprio-corporee’, ovvero in «spazi extradimensionali di durata e configurazione variabile, di valore funzionale solo accessorio, delle zone percettive e non anatomiche (il capo, il petto, la pianta dei piedi, ecc.) nelle quali il corpo-proprio di volta in volta s’identifica» (ibidem). Ciò che interessa a Griffero con l’analisi del corpo-proprio «è come e non perché si senta […] quello che si sente, che cosa significhi, per una soggettività […], essere toccata e coinvolta da forme paticamente e assiologicamente qualificate, grazie alle quali essa è ancora tutt’uno col mondo, ad esempio come si possa essere tristi o allegri (atmosfericamente) prima di qualsiasi autoattribuzione linguistico-riflessiva» (p. 30). La percezione atmosferica avviene dunque per mezzo del corpo-proprio in uno spazio vissuto esterno al corpo-proprio e da esso rilevato passivamente (in modo recettivo). Questa passività tutta atmosferica consente a Griffero di estendere in calce al primo capitolo la categoria gibsoniana (e già parzialmente fenomenologica) di affordance alle atmosfere; sotto il profilo percettivo-fenomenologico queste ultime risulterebbero essere «degli inviti patici, responsabili delle nostre valutazioni spontaneo-intuitive e suscitati da centri di accumulazione che, in senso non (solo) causale-topologico, ma anche assiologico e motivazionale (salienza, preferibilità, ecc.), costellano il continuum sensorio multidimensionale in cui consiste, propriamente, il mondo dell’esperienza» (p. 58). La percezione atmosferica diviene pertanto il modello del ‘sano’ vissuto estetico, nel momento in cui la «fluida oscillazione tra il prendere e l’essere presi» può essere pensata quale svuotamento del vissuto medesimo di qualunque interiorità, a favore della sua esternalizzazione come spazio, in cui vive il corpo-proprio e dove – qui forse si mostra uno degli sviluppi del concetto heideggeriano di essere-nel-mondo – è all’opera «una comunicazione proprio-corporea [con le atmosfere] il cui prototipo è la fusione con lo strumento che è possibile al musicista» (p. 53).

Atmosferologia, terzo e ultimo capitolo del libro, ricostruisce in primo luogo alcune delle tesi di Hermann Schmitz, il primo teorico del concetto di atmosfere (di cui richiama numerose opere, tra cui in particolare Schimtz, H., System der Philosophie, Bd. III.2, Der Gefühlsraum, Bouvier, Bonn 1969; id., con Marx, G., Moldzio, A. Begriffene Erfahrung. Beiträge zur antireduktionistischen Phänomenologie, Koch, Rostock 2002, pp. 13-211) e radicalizzatore della tesi klagesiana secondo cui «un sentimento […] non è qualcosa che io possiedo, perché semmai è il sentimento che possiede me» (Klages, L., Sämtliche Werke, 4, Charakterkunde I, Bouvier, Bonn 1976). Il fine di Griffero è prendere le distanze dalle posizioni più radicali di Schmitz. La prima tesi schmitziana, da cui Griffero si distanzia, è quella secondo cui l’occidente sarebbe stato segnato da «un duplice peccato: uno proiettivistico, secondo cui le atmosfere non sarebbero che sentimenti interiori proiettati all’esterno, derivato però a sua volta da un precedente errore introiettivistico, riassumibile nell’internalizzazione […] di sentimenti prima diffusi nel mondo esterno» (p. 109). Griffero dichiara infatti che «l’estetica delle atmosfere non […] ritiene possibile o auspicabile un regresso alla forma di vita pre-introiettivistica – siamo allergici alle filosofie che tutto deducono da errori e oblii ancestrali» (p. 115). Inoltre Griffero non accoglie «in toto la campagna di desoggettivizzazione dei sentimenti (anche atmosferici) promossa da Schimtz» (p. 151), per cui il «corpo-proprio [sarebbe unicamente] il campo di battaglia di forze impersonali-demoniache» (p. 112), rispetto alle quali sarebbe impossibile qualunque forma di controllo, modificazione o previsione. Accoglie invece l’ipotesi che esse siano alla base della comunicazione tra uomo e mondo e per l’esattezza «delle modalità di comunicazione proprio-corporea predualistica ora sovrasoggettive e sovraoggettive – la quiete prima della tempesta, la febbre della ribalta, il numinoso, il vento, ecc. –, ora maggiormente dipendenti dal soggetto, oppure condensate in (o ancorate a) oggetti preferenziali» (p. 115).

Nel descrivere le atmosfere, Griffero ne dichiara l’irriducibilità a metafore, perché «una volta che si ammetta che i sentimenti non sono necessariamente e anzitutto degli stati interiori […], viene meno anche la condizione trascendentale (dualismo somatofobico) di ogni metaforizzazione, e cioè la distinzione tra il proprio (letterale) e l’improprio (figurale). La leggerezza ovviamente non gravitazionale di un ponte, la levità vetrosa di un edificio e perfino la seduttività comune tanto a un abile adulatore quanto a una frizzante mattina primaverile […] non sono perciò affatto proiezioni di stati psichici inestesi e privatissimi, […] ma affezioni atmosferiche proprio-corporee» (pp. 116s). Parlare di leggerezza di un ponte significa allora descrivere adeguatamente un’atmosfera che coinvolge l’oggetto e, in modo affettivo e proprio-corporeo, il soggetto, «perché è appunto così che [un’atmosfera] agisce sul corpo-proprio» (p. 121); con effetti relativamente oggettivi e intersoggettivi (almeno intraculturalmente – ricorda spesso Griffero) e comunque tanto poco arbitrari, che possono perfino essere generati artificialmente.

L’analisi delle atmosfere proposta da Griffero culmina con un’ontologia atmosferica, nella quale rintraccia i tratti caratterizzanti di ogni atmosfera, e con una fenomenologia atmosferica, mediante cui ne analizza «le modalità di manifestazione» (p. 136). Caratteristiche ontologiche delle atmosfere sono a) l’‘intermittenza atmosferica’, in virtù di cui «non ha senso interrogarsi su ciò che è accaduto prima o dopo» di esse, perché (b) «le atmosfere non agiscono come cause dell’influsso, ma sono l’influsso stesso» (p. 127 – in corsivo nel testo citato), (c) «coincidono con il loro carattere fenomenico» (ibidem) e dunque (d) «sono un ‘tra’ reso possibile dalla co-presenza (proprio-corporea ma anche sociale e simbolica) di soggetto e oggetto» (p. 128). Oltre a questi caratteri ontologico-fenomenologici delle atmosfere ve ne sono di ulteriori, che ne mettono in luce i tratti più marcatamente oggettuali: le atmosfere possono essere (e) mal interpretate, attestando così che (f) «devono pur avere una qualche identità» (p. 131). Nondimeno le atmosfere (g) esistono solo durante la loro apparizione, in quanto si esauriscono nel contenuto percettivo in cui si esprimono; per tale ragione possono essere progettate o prodotte, ma non del tutto anticipate nell’effetto in quanto una percezione in atto può dipendere «anche dalla co-percezione di atmosfere non in atto pregresse e/o attese, come quando è tesa, ad esempio, l’atmosfera di ospedale, appunto anche perché anticipiamo la situazione successiva (la visita, la diagnosi, ecc.) e ne ricordiamo di precedenti (altre attese, ecc.)» (p. 132). Essendo un’effusione spaziale, un’atmosfera (h) possiede «dei confini, oltre i quali cessa effettivamente la sua efficacia» (p. 134). Infine le atmosfere possono essere (i) ‘relativamente perduranti’, o meno, e – senza dover individuare una stretta e rigida analogia tra i due punti – (l) esser suscitate stabilmente da cose o situazioni, o soltanto occasionalmente.

Posta a conclusione di questo terzo capitolo, come punto d’arrivo di un percorso di progressiva dimestichezza con le atmosfere, la fenomenologia qui presentata mira a «vagliare senza scrupoli deflazionistici i possibili effetti atmosferici» (p. 137), distinguendo atmosfere ‘ingressive’, per cui, «generando una coinvolgimento […] quasi obbligato nel percipiente, ne riorienta completamente la situazione emotiva» (ibidem); atmosfere ‘sintoniche’, in cui lo stato d’animo del percipiente coincide con l’atmosfera percepita, o in caso contrario, ‘antagonistiche’; inoltre una stessa atmosfera può essere percepita in modo diverso in tempi diversi, o «concretizzarsi persino in materiali che normalmente esprimerebbero sentimenti diversi. È per questo che ci si può rattristare anche a causa del cielo limpido e sereno, […] o pensare che aprile sia ‘il più crudele di tutti i mesi’» (p. 147). Infine le atmosfere, oltre a trovare la propria fonte in un soggetto, possono trovare la propria fonte in un oggetto, «come punto di condensazione di un’atmosfera più estesa» (p. 148).

L’Atmosferologia di Tonino Griffero si presenta come un lavoro innovativo e articolato sul concetto di atmosfere, che mira a contribuire non solo al dibattito filosofico tout court, ma anche a quello in atto in numerosi altri ambiti – come si apprende dal secondo capitolo del lavoro. Alla luce del concetto di atmosfera si aprono dunque percorsi ancora da esplorare, tra cui, come più volte è stato detto, ripensare e sviluppare radicalmente il concetto di vissuto (estetico), di essere-nel-mondo e dare avvio a un’ontologia del vago. Appaiono infine di grande interesse le «potenzialità critiche» (p. 10), ascritte da Griffero all’atmosferologia, «perché solo un’adeguata competenza atmosferica (produttiva e ricettiva) potrebbe immunizzarci dalla manipolazione mediatico-emozionale in cui sfocia l’estetizzazione della politica e della vita sociale nell’economia ‘scenica’ tardo capitalista» (ibidem).

 

Griffero, Tonino, Atmosferologia. Estetica degli spazi emozionali, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 186, € 19