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In difesa del Brasile

di Massimo Fini - 04/01/2011


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Se io fossi nei panni delle autorità brasiliane non consegnerei Cesare Battisti all'Italia. Che garanzie di giustizia può dare un Paese il cui presidente del Consiglio dichiara quasi quotidianamente, anche in sedi estere, che «la magistratura è il cancro della democrazia italiana», che «all'interno della magistratura esiste un'associazione a delinquere a fini eversivi», che «i giudici sono antropologicamente dei pazzi»? Dice: ma Battisti è stato condannato molti anni fa, nel 1985, nel 1991, nel 1993, prima dell'era berlusconiana. Ma se la Magistratura è il «cancro della democrazia» non lo è diventata improvvisamente dall'avvento di monsieur Berlusconi, se la suo interno ci sono «associazioni a delinquere», ci sono oggi come potevano esserci anche ieri. Che garanzie hanno le Autorità brasiliane che Battisti non sia stato condannato da qualche gruppo di magistrati felloni?

Nel suo parere favorevole all'estradizione di Battisti l'Avvocatura dello Stato brasiliano dice: «Non si deve tralasciare di riconoscere che lo Stato italiano è indiscutibilmente uno Stato democratico di Diritto e che le sue decisioni devono considerarsi espressione della volontà dei propri cittadini». Ma proprio questa precisazione dice che in Brasile si hanno dei dubbi sulla effettiva democraticità del nostro Stato. Nessuno si sentirebbe in dovere di chiarire che la Germania o la Svezia o l'Olanda sono «Stati democratici di Diritto», sarebbe dato per presupposto, per implicito, per scontato. E in effetti l'Italia non è uno Stato democratico. Non è democratico un Paese in cui la Magistratura, che è l'organo di garanzia dell'osservanza delle leggi, quello che ci consente di essere uniti e di non darci alla giustizia privata, alla faida, è delegittimata. Non è uno Stato democratico quello in cui il presidente del Consiglio, proprio in base a questo sospetto sulla Magistratura dello Stato di cui pur è guida, si sottrae, con vari espedienti, alle leggi del suo Paese.

In realtà, nel caso Battisti, scontiamo anni di garantismo peloso. Di destra e di sinistra. Da noi esiste un signore, Ariano Sofri, che è stato condannato a 22 anni di reclusione per l'assassinio sotto casa di un commissario di polizia, dopo nove processi, di cui uno, caso rarissimo in Italia, di revisione, avendo quindi goduto del massimo di garanzie che uno Stato può offrire a un suo cittadino. Eppure Sofri ha scontato solo sette anni di carcere e, senza aver potuto usufruire dei normali benefici di legge, che non scattano dopo solo sette anni su ventidue, è libero da tempo, e scrive sul più importante quotidiano della sinistra, La Repubblica, e sul più venduto settimanale della destra, Panorama, e da quelle colonne lui, l'assassino, ci fa quotidianamente la morale ed è onorato e omaggiato dall'intera intellighentia che, ad onta di tutte le sentenze, lo ritiene, a priori e per diritto divino, innocente. Perché, soprattutto vedendo le cose dal lontano Brasile, non potrebbe essere innocente anche Cesare Battisti che ha potuto usufruire solo dei tre normali gradi di giudizio?

In verità siamo noi, noi italiani, che ci siamo messi in questa situazione giuridicamente ambigua che con lo Stato di diritto e la democrazia non ha nulla a che vedere. E Silvio Berlusconi che ha guidato per quattro volte il governo ha dato il suo potente e determinante contributo alla delegittimazione della giustizia dello Stato di cui pure è a guida e, con essa, alla delegittimazione del nostro Paese. Nella sostanza e nell'immagine. Per cui è patetico che adesso facciamo le suorine scandalizzate perché il Brasile non ci vuole consegnare l'assassino Cesare Battisti. Raccogliamo ciò che, in questi anni, abbiamo seminato. All'interno ci consideriamo un Paese democratico. All'estero ci vedono per quello che siamo e appariamo: un Paese in cui sono saltate tutte le regole dello Stato di diritto. Io non consegnerei Battisti all'Italia nemmeno se fossi il Burkina Faso.