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Addio a Freud: le ragioni di Jung

di Marco Garzonio - 04/01/2011

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Se c’era bisogno di una conferma che Jung non fu allievo di Freud, ecco la prova provata: la testimonianza del protagonista, Jung. Di lui Bollati Boringhieri ha pubblicato l’attesissimo Libro rosso (pp. 371 +XXII, e 150), l’inedito a ragione definito evento editoriale. Per numerosi motivi. Tecnici innanzi tutto: mole e formato da tomo enciclopedico; stampa a colori in facsimile del codice pergamenaceo rilegato in pelle rossa (di qui il titolo) in cui tra il 1913 e il 1930 Carl Gustav Jung trascrisse le sue esperienze in caratteri antichi, con capilettera miniati e disegni potenti; traduzione, apparati introduttivi e note indispensabili per comprendere un materiale tanto vasto nei riferiment i e s t u p e f a c e n t e p e r vulcanicità. Nei contenuti, dal punto di vista storico l’avvio dell’opera risale alla rottura con Freud. In realtà alla vigilia dei 40 anni Jung decise di ritirarsi in se stesso ed avviò un drammatico confronto con l’inconscio: sogni, immagini, fantasie, che lo invadevano col rischio di travolgerlo. Abbandonò lo «spirito del tempo» , valori e codici ispirati a riconoscimenti esterni («Appartenevo alle persone e alle cose. Non appartenevo a me stesso» ) e scelse di ascoltare lo «spirito del profondo» . Nel «cercare la propria via» ebbe come ispiratori due antichi filoni del sapere: il «conosci te stesso» della classicità e il monito evangelico «rinnega te stesso» se vuoi seguire la via del Signore e ritrovarti. Una discesa dolorosa agli inferi che ha per modello Dante e, più prossimo per cultura e tempi, Nietzsche; con una differenza però rispetto a quest’ultimo: Zarathustra inneggia alla morte di Dio; in Jung, invece, v’è la scoperta della rinascita di Dio. Certo, un Dio non confessionale, realtà numinosa e potenza spirituale universale più che persona come vuole il Cristianesimo; comunque dimensione trascendente che dà spessore alla ricerca di senso del singolo e accomuna gli uomini. Non è un caso che il vero titolo dell’opera (sottotitolo del volume) è Liber novus, cioè annuncio di trasformazione interiore e rinascita, conquista dell’ «uomo nuovo» . L’intero drammatico viaggio di Jung per ritrovare se stesso, la sua soggettività, il «chi sono io» , è il prototipo del «processo di individuazione» , un’avventura personale che assurge a schema psicologico dotato di validità generale, uno dei fondamenti della psicologia analitica. Nel testo, negli apparati straordinari messi a punto dal curatore Sonu Shamdasani v’è la riprova che quando va da Freud a Vienna (1907) Jung è studioso e terapeuta già formato. Vanta convinzioni sue sull’avventura onirica (il sognatore che svolge più parti come in un dramma), sull’inconscio (non è solo rimosso), sul principio trascendente e vitale (l’anima). Riconosce maestri Goethe, Schopenhauer, Nietzsche; in psicologia si sente debitore verso Flournoy, Bleuler, Janet; ha frequentazioni coi movimenti dadaista e simbolista. Alle spalle fondanti sono gli anni universitari a Basilea, i riferimenti al concetto di coscienza individuale di Lutero e al filone umanistico-rinascimentale di Burkhardt, teso a ricostruire il nesso tra senso della storia e sviluppo della psiche. Resta la domanda, come mai Freud e Jung che a prescindere l’uno dall’altro han costruito ipotesi su origini della nevrosi, senso della sofferenza e della cura, metodo di analisi, nozione di inconscio e di libido, abbiano subito un’attrazione reciproca così forte da rendere tanto fragorosa poi la rottura. La risposta non sta nelle teorie, ma nei rapporti umani e nelle proiezioni che innescano; da esse i fondatori non erano vaccinati evidentemente. Freud, fiero delle sue scoperte («La psicoanalisi è una mia creazione» ) investì su Jung e lo designò erede; Jung, bisognoso di legittimazioni dopo l’esempio devastante del padre (persa la fede continuò il ministero di pastore), gradì il ruolo di figlio, salvo poi cercar di liberarsene alla sua maniera, uomo d’ingegno ma d’un carattere che gli farà confessare in Ricordi, sogni, riflessioni: «Ho offeso molta gente» . V’è da augurarsi ora che Bollati Boringhieri realizzi un’edizione praticabile, in 8 ° , con testo, introduzione, note e una cinquantina di immagini, rendendo il Libro rosso accessibile a un pubblico vasto, oltre gli specialisti o i cultori di emozioni superficiali e svianti (s’è parlato di «santo Graal dell’inconscio» o di «nuova Bibbia» !). Occorre voltar pagina e ripartire dalle scoperte di Jung su di sé. Egli rivendicò di essere un empirico (il Libro lo prova), non guru né fondatore di una religione, nemmeno l’anti Freud, perché la psicologia del profondo è plurale. Sulla scia di Jung che pone il «fantasticare» accanto al «pensare indirizzato» , logico e verbale, si schiudono orizzonti nuovi per la portata immaginifica, plastica, creativa della psiche.