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A destra e a sinistra (insieme) si può

di Maurizio Bruni - 04/01/2011

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Pensare simultaneamente ciò che per troppo tempo è stato pensato contraddittoriamente. La formula, così come resa famosa una trentina d'anni fa da Alain de Benoist, appare la sintesi obbligata per affrontare il nuovo millennio. Lo conferma Edgar Morin intervistato da Repubblica, definendosi oggi "droitier gauchiste": «A destra, perché voglio difendere le libertà, e a sinistra perché penso che ci sia bisogno di radicalità». Alle soglie dei suoi novant'anni, Morin con il suo "pensiero della complessità", teso a superare e unire gli opposti, resto come l'ultimo dei grandi vecchi del Novecento, i pensatori come Ernst Jünger, Gadamer o Levi-Strauss, che hanno anticipato una filosofia adeguata alle nuove grandi sfide. Di Karl Marx, ad esempio, dice che «è stato un formidabile profeta della globalizzazione capitalista, ma non ha visto che l'homo faber, l'uomo produttore, era anche l'homo economicus, e che l'homo sapiens era anche l'homo demens».
Filosofo, sociologo, antropologo, una bibliografia di cinquanta titoli, Morin ha battezzato negli anni Sessanta la «generazione yè yè», i ragazzi che poi fecero il '68. Poi, nel '93, con il suo pamphlet sulla Terra-Patria, introdusse nel dibattito i primi paradigni per un ecologismo politico. Adesso sta lavorando a un nuovo libro sulla categoria di "speranza": «Sì, vorrei - spiega a
Repubblica - restituirla ai giovani che sentono di aver perso il futuro...». Le generazioni precedenti, ammette, si sono illuse prima con le ideologie poi con il consumismo: «Ora quest'orizzonte è stato spazzato via». Lui, che fu pure tentato giovanissimo dal comunismo, ruppe con Pcf già alla fine degli anni Quaranta e nel 1951 venne espulso definitivamente per aver criticato in un articolo Mao Tse Tung. Nella fase attuale invita a contrastare l'ultima ideologia: quella della "paura", la malattia del nuovo secolo. «Nella storia dell'umanità esiste sempre l'imprevisto, il fatto inatteso che cambia il corso delle cose». Ecco perché, conclude, occorre affermare - comunque - le ragioni dell'ottimismo.