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I fantasmi del vecchio Clint sono un vero capolavoro

di Curzio Maltese - 05/01/2011

 


"Hereafter” è il bellissimo ultimo film del regista che attraverso tre storie e tre personaggi parla a suo modo dell´aldilà. Un racconto avvincente, con un inizio terrorizzante, che insinua il dubbio anche nei più scettici di una possibile vita oltre la morte

Durante le riprese di "Shining", anche per sciogliere la pazzesca tensione sul set, Stanley Kubrick ripeteva agli attori: «Niente paura, una storia di fantasmi è sempre ottimista, in fondo significa che esiste qualcosa oltre la morte». È un pensiero che può aiutare lo spettatore di "Hereafter", l´ultimo film di Clint Eastwood, a superare la prima terrificante mezzora, una sequela di pugni allo stomaco, e abbandonarsi al più felice racconto sulla morte mai concepito sullo schermo. Il rapporto con la morte è al cuore di ogni arte. Lo è di sicuro in quella di Eastwood, fin dai tempi in cui s´aggirava come uno spettro pistolero fra i cimiteri del Far West, in quella straordinaria parabola su vita e morte che era il cinema di Sergio Leone. A ottant´anni, ma ancora nel pieno della giovinezza artistica, Clint Eastwood ha deciso di affrontare la domanda delle domande in maniera diretta e sconvolgente: esiste qualcosa oltre la morte?
Un´avvertenza. Non si tratta di un film di genere. Di qualsiasi genere. I cultori delle ghost stories o degli horror ne rimarranno delusi. "Hereafter" è da sconsigliare a chi crede già nel soprannaturale, ai clienti della fiorente industria collegata e agli abituali spettatori di baggianate ai confini della realtà. Al contrario, lo si raccomanda agli scettici, agli atei, meglio ancora se ferrei. A coloro che sono ancora convinti che le religioni siano l´oppio dei popoli. Perché a loro il film è rivolto.
È la storia di tre persone toccate in maniera differente dalla morte, che convergono soltanto nel finale. A San Francisco vive George (Matt Damon), un uomo che ha il dono terribile di parlare con i morti. A Parigi lavora Marie (Cècile de France), giornalista televisiva giovane, bella e famosa, che vive un´esperienza fra la vita e la morte durante il devastante tsunami in Indonesia. A Londra cerca di crescere Marcus, un dodicenne con la madre tossica e un fratellino gemello morto in un incidente stradale.
Il film comincia con la scena dello tsunami, girata al computer. Una delle più terrorizzanti con cui si sia mai aperto un film dai tempi del "Soldato Ryan" di Spielberg. La morte arriva come un´onda anomala e travolge ogni cosa, valore, esistenza. Trascina anche lo spettatore, dai primi minuti, in una dimensione diversa, rovesciata. È lo stesso rovesciamento che subiscono i tre protagonisti dai destini spezzati. George è un fenomeno paranormale, ricco e famoso, ma la compagnia della morte lo spinge alla disperazione e alla fine preferisce il ritorno a una vita normale, da operaio in fabbrica, piuttosto che la penosa fama, nonostante le pressioni di un fratello manager. Marie è una star immersa in una scalata al successo, in procinto di dare alle stampe una scandalosa biografia del presidente Mitterrand, ma dopo la tragedia dello tsunami la cronaca, la politica, la storia perdono ai suoi occhi ogni interesse. Marcus è un bambino timido e taciturno che volta le spalle a una vita difficile. L´unica sua relazione col mondo, il gemello Jason, è persa per sempre e lui la insegue nell´aldilà. Anche attraverso un umiliante e grottesco pellegrinaggio fra ciarlatani e sedicenti medium.
Con un materiale simile qualsiasi regista e qualsiasi sceneggiatore finirebbero inghiottiti in una terra di nessuno fra il bizzarro e il sentimentale. Non questo regista e non questo sceneggiatore, Peter Morgan, che aveva già dato prova di talento in film completamente diversi come "Frost-Nixon" e "The Queen". Non manca nulla del necessario per fare un bel film. La forza delle immagini e dei dialoghi, il tocco magico nel filmare le città, la recitazione memorabile dei protagonisti, compresi i piccoli gemelli, e di alcuni comprimari, a cominciare da Bryce Dallas Howard nella parte di Melanie, fuggevole possibilità per George di una vita normale. Ma "Hereafter", è il caso di dirlo, va molto aldilà di un bel film. Grazie allo sguardo del regista, che non smette di meravigliare. Carico di pietas sulla vita delle cosiddette persone normali, infinitamente più affascinanti degli uomini che fanno la cronaca e la storia.
È un racconto sulla morte dal quale si esce paradossalmente allegri, pieni di vita. Del resto, che cosa c´è di più bello di provare a credere per una volta all´ipotesi di una vita oltre la vita? Per giunta, lasciarsi tentare dal soprannaturale grazie a un grande film e non in virtù di una predica. Convertire gli scettici non è naturalmente lo scopo dell´autore. La missione qui, per così dire, è una missione tipica del laico: far venire dubbi. In questo caso perfettamente riuscita.
La parte più controversa di "Hereafter" riguarda i ripetuti accenni a presunte prove documentali dell´esistenza di qualcosa oltre il mondo terreno. Chissà se esistono davvero. In ogni caso tutti, credenti e non, possono consolarsi. Se la dimostrazione scientifica dell´aldilà è ancora da trovare, in compenso esiste almeno una prova evidente e inconfutabile che gli uomini, nonostante l´inesorabile morte delle cellule, possono continuare a crescere, maturare in profondità e creatività fino agli ottant´anni suonati e oltre. Questa magnifica prova vivente si chiama Clint Eastwood.