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Il nuovo processo breve: giurare di essere innocenti sulla testa di qualcuno

di Massimo Fini - 24/01/2011


  

Una settimana fa a Berlino, in una conferenza stampa alla presenza di una imperscrutabile Angela Merkel, Silvio Berlusconi ha detto che i processi contro di lui sono ridicoli, assurdi, che lui è innocente tanto è vero che "l’ho giurato sulla testa dei miei figli e di mio nipote".
Berlusconi è un genio. Ha trovato la via più breve per arrivare al "processo breve". L’imputato, all’udienza preliminare, si presenta davanti al giudice e dichiara: "Non sono responsabile dei fatti che mi vengono indebitamente attribuiti. Sono innocente. Lo giuro sulla testa dei miei figli e di mio nipote". Il Pubblico Ministero rimette le sudate carte nella sua bisunta cartella, il giudice assolve.
Un piccolo problema sorge se uno non ha a disposizione teste di nipoti. Il nipote è importante. Quale anima nera, quale figlio degli inferi, quale autentico criminale oserebbe, con un giuramento falso, esporre la testa di un nipotino, di un tenero virgulto che ha ancora tutte la vita davanti a sè, ai fulmini di Domineiddio? La questione della mancanza di un nipote si potrebbe risolvere con una sentenza di compromesso: assoluzione per insufficienza di prove. Questione più grave è se uno, oltre al nipote, non ha figli. Su che testa giura? Su quella della moglie? È escluso. L’imputato potrebbe avere talmente le scatole piene della consorte, da preferire la galera pur di vederla stecchita da un giuramento falso.
Ma ci sono i genitori, le mamme soprattutto, in un Paese come il nostro. Chi giurerebbe il falso sulla testa di sua madre? Il padre vale un po’ meno, ma è pur sempre il padre. Eppoi ci sono i fratelli, gli zii, i cugini. E le fidanzate? No, in un Paese cattolico le fidanzate non vanno bene (e infatti Berlusconi, che è pio, non ha giurato sulla testa della sua neo fidanzata), sarebbe come sacralizzare la coppia di fatto. E poi bisogna mettere dei paletti. Sennò l’imputato arriva e dichiara "giuro sulla testa di Pietro Bianchi", "Chi è Pietro Bianchi?" chiede il giudice; "Un mio carissimo amico, lo conosco da vent’anni, non potrei mai fargli del male con un giuramento falso". Dei paletti ci vogliono. Diciamo che valgono i parenti fino al terzo grado. E chi non ha nemmeno quelli? Beh, allora vuol dire che è un paria della società, una barbone, un clochard, un poco di buono, uno che è colpevole a prescindere. Per lui la galera subito e "buttare via le chiavi". Così si sarebbe anche in linea col criterio del "processo breve".
La questione veramente grave è se anche il Pubblico ministero giurasse sulla testa di qualcuno che le sue prove sono inoppugnabili. Si solleverebbe un conflitto che andrebbe risolto dalla Corte di Cassazione. La quale però si troverebbe di fronte a difficili problemi algoritmici, soprattutto se, da entrambe le parti, le teste offerte al giudizio di Dio fossero plurime. Quanti fratelli ci vogliono per fare un figlio? Quanti cugini per fare un fratello? Si potrebbero approntare dei tabulati. Ma non basterebbero. Come negli scacchi il valore dei pezzi dipende dal punto cui è arrivata la partita e una torre vale, più di un cavallo quando la scacchiera è sgombra e meno se è zeppa, lo stesso vale per le teste in gioco. Giurare sulla testa di una madre novantenne non è la stessa cosa che giurare su quella di una che ne ha sessanta. Bisogna tagliare la testa al toro: i giuramenti del Pubblico ministero non valgono un picchio. Del resto, come si dice sempre, il Pm è parte nel processo. Anche l’imputato lo è. Ma noi siamo il paese di Beccaria. E Beccaria diceva: "Piuttosto che un innocente in galera, meglio cento delinquenti fuori". Lo abbiamo preso alla lettera.