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Un simbolo di fiducia democratica

di Giancarlo Dillena - 28/01/2011

Fonte: Il Corriere del Ticino

 

 




 


Le apparenze ingannano. È il caso dell’iniziativa contro le armi su cui il Popolo svizzero è chiamato ad esprimersi il prossimo 13 febbraio. Si fonda su un ragionamento che, a prima vista, non fa una grinza: meno armi in circolazione uguale meno suicidi, drammi familiari, atti criminali.
Se però si va oltre le emozioni e le buone intenzioni generiche e si guarda ai fatti, ci si rende ben presto conto che così semplice non è. Paesi con leggi sulle armi assai più restrittive di quella svizzera presentano tassi di suicidio molto più elevati che da noi e la criminalità dispone di veri arsenali. Per contro in Svizzera il numero dei drammi con al centro armi da fuoco è in costante diminuzione, grazie anche alle nuove norme introdotte negli scorsi anni. La legislazione vigente si dimostra dunque già adeguata ed efficace.
Perché allora, viene da chiedersi, questa iniziativa, i cui effetti non potranno che essere, nel migliore dei casi, molto limitati? Perché tanto clamore intorno ad un problema sicuramente d’impatto ma oggettivamente meno prioritario di altri? In effetti non è un caso se la tematica che sin da subito ha occupato un posto centrale nel dibattito è quella delle armi d’ordinanza custodite a casa. Le quali sono solo una parte (meno del 10%) del totale delle armi da fuoco presenti oggi in Svizzera. Ma rivestono, sia per i favorevoli sia per i contrari, un alto valore simbolico. Rappresentano infatti il legame più diretto e concreto fra la collettività civile e l’esercito, fra il cittadino e il soldato, che nel nostro sistema di milizia si identificano l’uno con l’altro.
Sottraendo la custodia dell’arma al cittadino soldato un altro tassello di questo legame verrebbe meno.
Gli iniziativisti dichiarano di non avere questo obiettivo e respingono le connotazioni anti-esercito attribuite all’iniziativa dal fronte opposto. Per qualcuno di loro vale certamente la buona fede, ma i dati di fatto e il forte sostegno alla proposta di modifica costituzionale da parte di partiti e organizzazioni che sono stati in passato in prima linea nelle battaglie abolizioniste lascia poco spazio ai dubbi sull’orientamento di fondo dell’iniziativa. La quale non rimette in discussione solo «una tradizione», come qualcuno afferma banalizzando, ma un valore fondamentale e peculiare della democrazia elvetica.
La custodia dell’arma a domicilio costituisce infatti l’espressione non solo di un rapporto di fiducia tra Stato e Cittadino, ma soprattutto del riconoscimento del suo ruolo centrale nell’ordine democratico. Non a caso la prima preoccupazione di tutti i regimi autoritari, ieri come oggi, è di impedire ai cittadini l’accesso alle armi, che rimane prerogativa eslusiva degli organi di sicurezza al servizio del potere. In Svizzera il fatto che lo Stato preveda espressamente la custodia dell’arma d’ordinanza da parte del cittadino al suo domicilio costituisce un’espressione unica – di straordinaria valenza – di autentico rispetto democratico. Che porta con sé il riconoscimento di una grande libertà e, di pari passo, dell’altrettanto grande responsabilità che l’accompagna.
Il ritiro dell’arma d’ordinanza al cittadino rappresenterebbe quindi un passo indietro per la democrazia svizzera. È su questo piano che si gioca la vera partita.
In un contesto generale in cui il fondamentale binomio costituito dalla responsabilità nella libertà è sempre più indebolito e il cittadino sempre più posto sotto tutela, nel nome, o meglio con il pretesto della sua stessa sicurezza. Un argomento che, facendo leva su preoccupazioni anche giustificate, diventa sovente il viatico di misure restrittive allargate, di ulteriore burocrazia, di costi aggiuntivi che ricadono poi sulle spalle dello stesso cittadino.
In questo senso respingere l’iniziativa vuole anche dire dare un segnale chiaro della volontà di salvaguardare quello «status» peculiare del cittadino elvetico, che è guardato giustamente da molti, dentro e fuori dei nostri confini, come un modello di democrazia e di convivenza civile. Tale perché concretamente fondato sulla libertà e la responsabilità. Anche in fatto di armi di ordinanza.