Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Solitudine e angoscia dei rapiti dagli alieni: il caso di Lusiana del 1979

Solitudine e angoscia dei rapiti dagli alieni: il caso di Lusiana del 1979

di Francesco Lamendola - 30/01/2011


Che cosa si prova, dopo essere stati protagonisti involontari di un “incontro ravvicinato del quarto tipo” con delle creature aliene, a non essere creduti, a essere derisi, sospettati di esibizionismo, malvisti ed evitati perfino dalle persone che si credevano amiche?

Cosa si prova, quando tutto questo viene ad aggiungersi all’indicibile angoscia di una esperienza sconvolgente, che non consentirà mai più di guardare al mondo con gli stessi occhi di prima e che, forse, a causa dell’enorme shock provato, si ripercuoterà per anni ed anni, sotto forma di ansia, insonnia, angoscia, depressione e necessità di continue cure mediche?

Da un lato, si dubita con se stessi della realtà di ciò che si è vissuto: eppure proprio quell’angoscia, proprio quegli incubi notturni, proprio quel senso di totale smarrimento, sono lì a testimoniare che non si è trattato di un sogno o di una allucinazione, ma di una esperienza realmente vissuta, anche se una parte della coscienza vorrebbe negarla, cancellarla, rimuoverla, perché impossibile da conciliare con la ripresa di una vita tranquilla e serena.

Dall’altro lato, ci si scopre incompresi, abbandonati, rinnegati dai migliori amici, persino dai familiari e dai parenti più stretti; e ci si rende conto che quella esperienza sconvolgente, oltre ad avere incrinato irreparabilmente il proprio equilibrio interno, ha spalancato una voragine anche verso il resto del mondo; e che nessuno, mai, nemmeno le persone più care, potranno credere a quanto è avvenuto, nessuno potrà condividere, e meno ancora sostenere e confortare, chi ha avuto la ventura di oltrepassare la soglia del conosciuto e di gettare un sia pur fuggevole sguardo su ciò che sta “oltre”, al di là della soglia proibita.

Naturalmente, molto dipende dalle modalità in cui si è svolto l’incontro con le creature aliene, ossia dal carattere amichevole oppure ostile di quest’ultimo.

È noto che alcuni dei “rapiti”, o “addotti” (come si dice con un orribile inglesismo, da “abduction”, “rapimento”), affermano di non aver provato paura, ma un senso di profondo benessere, avendo percepito, fin dall’inizio, che tali creature erano animate da intenzioni amichevoli e che in se stesse apparivano di natura benevola; mentre altri ne sono rimasti letteralmente terrorizzati e, in certi casi,  hanno riportato danni fisici, anche gravissimi e di carattere permanente, quando non addirittura la morte o la scomparsa definitiva.

Fra questi due estremi, esiste poi tutta una ricchissima gamma di esperienze intermedie, nelle quali, è bene dirlo subito, non sempre è facile stabilire una linea di separazione netta e precisa fra eventi di natura oggettiva ed eventi di natura assurda, onirica o allucinatoria.

Infatti, uno studioso dei fenomeni ufologici della statura di Jacques Vallée sosteneva che una buona definizione della tipologia degli “incontri ravvicinati del quarto tipo” è quella secondo cui «i testimoni provano una sensazione di alterazione del loro senso della realtà»; e si capisce facilmente come tale senso di alterazione, essendo soggettivo, può riferirsi tanto ad eventi di natura intima e personale, quanto ad eventi di natura oggettiva ed esterna; inoltre, sia a fatti che si svolgono sul piano ordinario della realtà, cioè nella dimensione fisica dello spazio e del tempo quale noi li sperimentiamo nella vita di tutti i giorni, sia sul piano prettamente spirituale, in cui al tempo quantitativo subentra un tempo puramente qualitativo e le leggi fisiche ordinarie vengono ad essere, per così dire, sospese, a favore di manifestazioni straordinarie.

Come si vede, in quest’ultimo caso ci troviamo in prossimità dei eventi di tipo mistico, che investono la fenomenologia della religione; o, meglio, in una zona piuttosto mal nota, in cui i confini tra paranormale e supernormale sfumano reciprocamente, ed entrambi tendono a confondersi, almeno in parte, con la sfera del soprannaturale.

In particolare, sarebbero caratterizzate da stati d’animo positivi e da percorsi di consapevolezza spirituale le esperienze dei “contattati”  e dei “rapiti” di cui parla lo scrittore e studioso statunitense Whitley Strieber e che egli stesso sostiene di aver fatto; e, significativamente, nel suo background culturale entrano il cattolicesimo e la frequentazione con le tecniche di Gurdijeff, più che la psicanalisi freudiana o altre correnti di pensiero di matrice scettica e materialista.

Resta il fatto che, per un’alta percentuale di “rapiti”, l’esperienza del contatto alieno e del trovarsi alla mercé di creature sconosciute, dalla tecnologia infinitamente più potente di quella terrestre, non si è connotata positivamente, ma, al contrario, ha segnato una pagina drammatica nel loro processo esistenziale, mettendoli bruscamente a faccia a faccia con una realtà incomprensibile, minacciosa, e con un grande, opprimente senso di solitudine, derivante dall’impossibilità di raccontare, di spiegare quanto loro accaduto, e soprattutto di farsi credere.

Prendiamo uno dei tanti casi di quest’ultima categoria, avvenuto circa trent’anni fa e che, dopo aver conosciuto una certa notorietà a livello nazionale, è ricaduto poi nell’oblio, non senza aver portato un penoso sconvolgimento nella vita del protagonista, segnandola in modo indelebile.

La sera del 19 gennaio 1979, circa mezz’ora prima della mezzanotte, un boscaiolo di Lusiana - un comune di montagna in provincia di Vicenza -, Antonio Conte, stava rientrando a casa dopo aver trascorso la seata con amici, ad Asiago, con i quali aveva cenato. Ed ecco che, all’improvviso, il motore dell’automobile si ferma, i fari si spengono e gli sportelli si aprono: tutto in una volta e senza alcuna causa apparente.

L’uomo sta chiedendosi cosa stia accadendo, allorché un oggetto luminoso di forma sferica si avvicina dal cielo e si posa a breve distanza da lui; indi, con immenso stupore e con paura, egli vede sbucare da quella sfera due piccoli esseri di aspetto umanoide, che scendono velocemente e si dirigono con decisione nella sua direzione: egli valuta la loro altezza in poco più di un metro. Letteralmente terrorizzato, l’uomo vorrebbe darsi alla fuga, ma non ne ha la forza: si sente incapace di fare un passo, tanto che deve sostenersi contro la fiancata della sua vettura per non scivolare a terra, fiaccato dall’emozione.

Come ha ricordato Moreno Tambellini nel suo libro «Alieni in Italia. 1945-1955, 50 anni di incontri ravvicinati» (Roma, Edizioni Mediterranee, 1996, p. 144), gli alieni sembravano, per le loro dimensioni, dei ragazzini; indossavano delle tute aderenti, metalliche, di colore simile al bronzo; avevano le mani affusolate e terminanti con delle punte simili a chiodi; al posto delle orecchie avevano qualcosa che sembra del filo metallico, attorcigliato e che produceva una sorta di ronzio ad ogni movimento.

La paura dell’uomo si calmò, in parte, quando si rese conto che essi non sembravano nutrire, nei suoi confronti, intenzioni ostili; tanto che finì per accogliere il loro invito a seguirli nell’interno dell’astronave. Qui poté osservare una varia strumentazione, in un ambiente alquanto ristretto; ma una nuova ondata di panico lo assalì, quando si rese conto che i due alieni cercavano di fargli levare la giacca per indossare una tuta simile alla loro. Il Conte oppose resistenza; a questo punto le creature non insistettero e rinunciarono al loro proposito, ma gli affidarono una misteriosa “scatolina”, dopo di che un varco si aprì nella parete dell’abitacolo e l’uomo si trovò fuori quasi senza rendersene conto, solo, nel buio della notte, mentre la sfera metallica scompariva in pochi attimi alla sua vista.

Tornato a casa in uno stato di fortissima agitazione, pare abbia cercato di mettere a parte la madre della propria esperienza (il soggetto non era sposato), prima di coricarsi in uno stato di forte prostrazione; ma la donna, interrogata più tardi in proposito, pare abbia negato la circostanza, sostenendo che, a quell’ora tarda, ella era già a letto e pertanto non vide affatto il figlio, allorché questi era rientrato in casa dopo la cena con gli amici.

 

Così riporta il “caso” di Lusiana l’ufologo pordenonese Antonio Chiumiento nel suo libro «Ho le prove» (Pordenone, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 2004, pp. 99-101:

 

«L’anno è il 1979, una notte di gennaio, un boscaiolo, Antonio Conte, alla guida della sua auto, sta rincasando dopo una cena con amici ad Asiago. Un centinaio di metri prima del bivio con la provinciale Lusitana-Asiago, la macchina improvvisamente si blocca in mezzo alla strada. I fari si spengono e le portiere si aprono senza che il conducente abbia il tempo di muovere un dito.  Sulla strada, proprio di fronte a lui, compare una misteriosa palla arancione, dalla forma schiacciata.. L’oggetto si appoggia al suolo e dal suo fianco si apre una breccia.  Il boscaiolo, in preda al panico, stenta a comprendere quello che gli sta capitando.  Dal passaggio apparso sull’oggetto spunta una figura di color bronzo-rame. Ricorda nelle fattezze un essere umano, piuttosto basso però.  Balza al suolo mentre di lui ne compare un altro perfettamente identico. Anch’egli salta a terra.

Il boscaiolo non sa che fare, la paura lo blocca. Esce dall’auto a fatica, e accorgendosi di non poter fuggire, si appoggi alla portiera per non svenire.  I due esseri si avvicinano, indossano una tuta aderente dai riflessi metallici, e pare squamata, alla stregua di un pesce.  Le dita delle mani sono molto lunghe e terminano a punta.  Al posto delle parecchie hanno due fili attorcigliati, forse delle antenne, e quando si muovono vibrano e producono un ronzio. Il Conte è immobile, mentre le due creature si avvicinano lenta,ente, pare vogliano comunicargli qualcosa, gli fanno dei cenni, desiderano che lui salga sulla loro navicella. Il boscaiolo ricorda il loro sguardo, non cattivo, gentile,  a poco a poco la diffidenza si scioglie.  In preda a sentimenti e sensazioni contrastanti, tra paura e curiosità, l’uomo trova la forza di muoversi, si avvicina alo strano oggetto di luce e infine vi entra.

”Non c’era molto all’interno…” racconterà in seguito agli amici e ad un giornalista, l’ambiente aveva l’ampiezza di un paio di metri quadri. Tutt’intorno nota una serie di apparecchiature elettroniche, al suo fianco uno schermo in cui delle palline luminose si muovono all’impazzata. Davanti a lui una superficie illuminata, semitrasparente, al di là della quale gli pare di intravedere delle creature in movimento. Mentre sta esaminando il luogo in cui si trova, tentando di darsi conto delle proprie sensazioni,  uno dei due esseri che lo avevano invitato a salire gli si avvicina con l’evidente intenzione di togliergli la giacca.  Il boscaiolo non sa che fare, in un primo momento è sorpreso, irrigidito, passivo, lascia che la creatura lo tocchi, poi rinviene,  ancora una volta, risvegliato dalla paura,  ora teme che vogliano fargli del male,  forse anche sottoporlo a qualche terribile esperimento.  Istintivamente retrocede, si allontana, rifiuta il contatto. La creatura si blocca, si accosta alla parete che al suo tocco si apre lasciando comparire una tuta del tutto simile a quella che indossano loro. Ora all’uomo le cose incominciano a chiarirsi, intuisce che i due strani “compagni” vogliono condurlo da qualche parte. Viene preso dallo sconforto, le gambe gli cedono improvvisamente e il Conte si accascia a terra; inizia a implorare  che lo lascino andare, non vuole saperne di andare con loro, si sente braccato, in trappola, l’angoscia è indescrivibile.  Uno dei due esseri tocca nuovamente la parete che sembra aprirsi dal nulla, dalla fessura preleva un piccolo oggetto, con una delle due mani pare incidervi qualcosa sulla sua superficie e poi lo porge all’uomo, invitandolo a metterselo al collo. Quasi contemporaneamente ricompare lo sportello dal quale il Conte era salito a bordo e l’uomo non ci pensa due volte, trascinandosi fuori carponi.  Tutto si consuma in pochi attimi, la palla luminosa svanisce prima ancora che il povero testimone si riprenda dallo spavento, ogni cosa è tornata normale intorno a lui: il freddo della notte invernale, il fruscio lieve della campagna ed i vaghi rumori attutiti e lontani che provengono dal vicino centro abitato. I fari dell’auto, come si erano spenti, ora si riaccendono, l’auto va in moto al primo colpo. Riavutosi un poco,il Conte esausto rientra a casa, la madre ancora alzata, vedendolo s’impressiona. Suo figlio è sconvolto, tenta di spiegarle l’accaduto, ma le parole non escono. Neppure i gesti gli sono d’aiuto, trema come una foglia. La notte è piena di incubi, di ricordi confusi, l’uomo si alza e quasi inconsapevolmente prende l’oggetto che le due creature gli hanno consegnato e lo nasconde in una breccia del muro di casa.  È un estremo tentativo di rimuovere quanto ha vissuto, di cancellare l’ansia “post eventum”.

Il mattino successivo, quando il suo amico, Giuseppe Sciessere, lo passa a prendere per andare al lavoro, lo trova ancora stravolto e angosciato, di poche parole, chiuso in se stesso.  Ci vuole del tempo e molta delicatezza, ma alla fine il Conte racconta tutta la sua storia  e la confessione fatta ad un amico si trasforma ben presto in una storia che fa il giro del paese e richiama l’attenzione di tutti, stampa compresa.»

 

La stampa locale, infatti, si era subito occupata del suo caso.

«Il Giornale di Vicenza» del 20 gennaio 1979 aveva pubblicato un’intervista ad Antonio Conte, da questi spontaneamente rilasciata: la prima e l’ultima; perché, demoralizzato dalla reazione dei suoi compaesani, fra scettica e derisoria, egli si chiuse ben presto in un silenzio totale, rifiutando ogni ulteriore incontro con dei giornalisti.

Più di qualcuno insinuava che tutta la storia era soltanto il risultato di una solenne sbronza, cosa che aveva ferito il protagonista, uomo dalle abitudini estremamente morigerate e, inoltre, descritto da tutti come persona riservata e schiva e dagli interessi limitati, esattamente il contrario di un esibizionista o di un individuo dalla troppo fervida immaginazione.

Agli Ufo, poi, non aveva mai rivolto un pensiero particolare, né era stato propenso a credervi, prima della sua personale esperienza di quella famosa sera; anzi, capitato il discorso in proposito, ne aveva riso apertamente con gli amici. Quest’ultimo è un elemento assai significativo, perché getta una luce eloquente sulla assoluta mancanza, in lui, di propensione a quelle suggestioni che, invece, portano legittimamente a dubitare dei racconti di altri protagonisti di esperienze relative ad “incontri ravvicinati” con creature aliene.

Il caso di Antonio Conte è comunque emblematico della solitudine e dell’angoscia che afferrano i protagonisti di simili esperienze, specialmente quando mancano del tutto degli indizi oggettivi che qualcosa di straordinario sia realmente accaduto: ad esempio, avvistamenti di luci “strane” nel cielo, da parte di altri testimoni, oppure segni di bruciature sull’erba, là dove l’oggetto volante si sarebbe posato al suolo.

Vi sarebbe, tuttavia, quella misteriosa “scatolina” che gli alieni, poco prima del commiato, avrebbero consegnato al boscaiolo, facendogli cenno di mettersela al collo; ma lui, che si trovava in uno stato di estrema agitazione, l’aveva tenuta in mano e, sembra, portata poi fino a casa propria, nascondendola in una cavità della parete. Non si sa se altri l’abbiano più vista; si sussurra che il Conte l’abbia fatta scomparire, per cercar di dimenticare la sua traumatica esperienza, oppure che l’abbia nascosta chissà dove, temendo che potesse venirgli sequestrata dai carabinieri. In ogni caso, se mai è esistita, ora non c’è più: sono passati trentadue anni e il protagonista della vicenda, che allora aveva quarantadue anni, non ha più voluto incontrare nessuno intenzionato a parlarne.

In un primo tempo, il Conte aveva dichiarato di ritenere che quelle creature fossero mosse da intenzioni non cattive nei suoi confronti, perché, se avessero voluto, avrebbero potuto fargli qualsiasi cosa, avendolo totalmente alla loro mercé. Anche il fatto che non abbiano insistito per farlo spogliare ed indossare la tuta e che, anzi, gli abbiano permesso di uscire dall’astronave e di allontanarsi, sena averlo sottoposto ad alcun esame o prelievo o qualunque altra pratica di studio, depone a favore di tale interpretazione.

E tuttavia, l’esperienza di quella notte non sembra aver agito in modo positivo nella sua vita: gli ha provocato terrore, incomprensioni, solitudine, amarezza. Non si sa se abbia avviato in lui un percorso di ricerca spirituale; si sa solo che ha trasformato un uomo normale, pacifico, bonario, in un sospettoso introverso, perseguitato dai propri fantasmi. Come si può sostenere, dunque, che incontri di questo genere sono positivi per quanti li hanno vissuti?

Quando un biologo, su qualche isoletta antartica, cattura un pinguino o un albatro e poi li lascia andare, dopo aver applicato sulla zampa una targhetta di riconoscimento, per poterne seguire gli spostamenti e le abitudini sul medio e lungo periodo, ritiene di compiere un’azione non solo legittima, in quanto motivata da intenti puramente scientifici, ma anche assolutamente innocua e indolore. Ed è certo che non agisce con intenzioni cattive.

Tuttavia, dovremmo forse porci la seguente domanda: che cosa ne sappiamo di quel che avviene nella vita di un altro essere vivente, allorché venga fatto oggetto di una attenzione invasiva da parte di una specie molto più evoluta o, comunque, molto più potente di quella cui appartiene?