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Obama, cameriere dei banchieri

di Matteo Simonetti - 31/01/2011






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Sembra che qualcosa si muova, almeno dal punto di vista dell'informazione. Mentre la situazione economica e sociale sta sempre peggiorando, dalla Tunisia all'Albania, dalla Grecia all'Irlanda, almeno la grande informazione si sta accorgendo che dietro alla crisi e al dissesto non vi sono solo Stati spreconi e corrotti, ma che si tratta dell'azione mirata di una élite di potere.
Forse per la prima volta, a parte qualche articolo apparso nelle pagine interne de Il Giornale, un quotidiano “generalista” come Il Messaggero ha deciso di pubblicare in prima pagina, lunedì 17 Gennaio, un'analisi “politicamente scorretta”, come quella di Mario Margiocco dal titolo “Se vincono ancora le banche americane”.
Si tratta di un lungo articolo di critica all'operato e alla figura di Obama, che smaschera l'inconsistenza della sinistra progressista americana, mostrando come il Presidente americano abbia portato con sé alla Casa Bianca i soliti nomi noti delle banche private e di quegli organismi che si dicono “di pubblico controllo” mentre in realtà sono comuni imprese, le più grandi, che agiscono per il profitto. Parlo del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.
Finalmente qualcuno, oltre ai soliti complottisti, visionari ed estremisti -così come si è soliti chiamare chi cerca di indagare sulle dinamiche nascoste delle vicende geopolitiche- ha osato dire che l'agenda politica statunitense è dettata da Wall Street, che Obama si è adoperato per salvare le banche con i soldi dei contribuenti, senza nemmeno nazionalizzarle, cioè regalando soldi di molti ai soliti pochi.
Al di là della questione del “salvataggio”, che secondo me è di per sé una delle truffe più grandi della storia, Margiocco sottolinea come la presenza del potere reale, che sovrasta quello politico, sia testimoniata dai nomi di cui si è contornato Obama nella scelta del suo gruppo dirigenziale. Il nuovo capo dello staff della Casa Bianca, che praticamente è equivalente ad un nostro ministro, è William Daley, top manager della JPMorgan Chase. Fresco di nomina è anche il superconsigliere per l'economia (direttore del National Economic Council) Gene Sperling, della Goldman Sachs. Entrambi i personaggi, a testimoniare la continuità con cui questa élite finanziaria occupa i posti chiave di Washington al di là delle varie presidenze, erano collaboratori di Bill Clinton.
E' successo quindi che, a punizione delle malefatte con cui le banche hanno provocato la maggior crisi degli ultimi 70 anni, i loro dirigenti sono stati insediati nei ruoli chiave per la risoluzione della crisi stessa. Un'operazione talmente clamorosa da tradire l'immenso potere delle banche americane, che ormai non si curano nemmeno più di mascherare la loro invadenza. Margiocco evidenzia numerosi altri “passaggi” di campo dalle banche alla politica, mostrando in alcuni casi anche parentele e amicizie, a sottolineare ancora di più il carattere elitario e personalistico di tale oligarchia.
Da parte mia, già un anno e mezzo fa, nel mio saggio “Demonocrazia” edito da Solfanelli, avevo sottolineato la vera natura di Obama, ancor prima che muovesse i primi passi politici, soltanto prendendo in esame la provenienza dei finanziamenti per la sua campagna elettorale. Le mie previsioni si sono rivelate esatte, non solo per quanto riguarda la finanza, ma anche per l'immediato aumento delle truppe impegnate nel cosiddetto “Peace keeping”.
Lodi allora a Margiocco e al Messaggero, con l'unica critica di essersi mossi a guaio già avvenuto. In realtà possiamo fare un'ulteriore critica, al di là della tempistica, all'articolo in questione. Per prima cosa, si nota come questa denuncia dello scandaloso viavai tra le poltrone dei ministeri e quello delle banche soffia di presbiopia, prendendo in considerazione gli Stati Uniti ma non casa nostra, dove con i vari Draghi, Monti (entrambi Goldman Sachs) Padoa Schioppa, Ciampi (Bankitalia) e via dicendo è accaduto la stessa cosa.
Ciò che non si chiede l'autore dell'articolo, ma non lo pretendiamo visto che si tratta non di cronaca politica ma quasi di analisi storica, è il motivo di tale controllo economico che le oligarchie finanziarie esercitano sempre più sulle società globalizzate. Qual è il fine della globalizzazione stessa dunque? Non può trattarsi di mero possesso del denaro, visto che quello possono stamparselo a piacimento senza copertura né limiti, ci dev'essere qualcosa di più importante. Si tratta del controllo delle popolazioni attraverso una manipolazione delle coscienze, popolazioni che, costrette a lavorare, ad indebitarsi, alla precarietà allo spossessamento e alla perdita di beni e tempo, inebetite da media ed intrattenimento alienante, saranno ridotti ad imbelli automi da mungere e tenere al giogo.
Altro appunto, che dovrebbe seguire le considerazioni sul familismo statunitense, è il mancato rilievo dell'appartenenza dei nomi citati e di molti altri che si potrebbero citare ad una medesima “cultura”: Rahm, Axelrod, Geithner, Bernanke, Kagan, Summers, Orszag... ma questo è un discorso che ci porterebbe altrove.