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Gli effetti devastanti della “società aperta”

di Manfredi Camici - 11/02/2011

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Le pressioni volte a sfondare e a smantellare i confini, che vanno comunemente sotto il nome di “globalizzazione”, sono riuscite nel loro intento, con poche eccezioni, e ogni identità nazionale è in via di rapida sparizione: adesso tutte le società sono completamente e veramente spalancate a livello materiale e intellettuale” (Zygmunt Bauman).
L’ “apertura” della società, termine introdotto da Popper ha assunto ormai un significato del tutto diverso da quello attribuitogli dal suo creatore. Ai nostri giorni questo termine significa che una società non è più in grado di completarsi e di decidere il proprio cammino autonomamente. Per Popper invece “apertura” voleva significare la capacità di farsi valere, capacità oggi scomparsa e prevalentemente sottoposta al “destino”. La popolazione occidentale è oggi messa dinanzi a fenomeni che non riesce a capire, come la crisi economica e manifesta la propria incapacità di difendersi nei propri confini.
Il mercato senza alcun limite è la ricetta per il disordine mondiale che ogni giorno vediamo dinanzi a noi, erigersi a mito per l’uomo moderno. “La deregulation, che sfocia nell’illegalità planetaria, e la violenza armata si alimentano a vicenda, si rafforzano reciprocamente e traggono vigore l’una dall’altra. Più volte era stato dichiarato che la guerra in Iraq non si sarebbe conclusa “finché gli americani non si sentiranno sicuri”. Tuttavia l’invio dei soldati ha paradossalmente contribuito ad aumentare il sentimento di insicurezza personale e di insoddisfazione. Una volta insinuatasi nel mondo dell’uomo, la paura si alimenta da sé; nasce e cresce nel ventre di ogni persona senza bisogno di un atto sessuale. Questa stessa paura ci farà assumere un assetto difensivo, che darà vita immediatamente alla concretezza della paura.
Quelli tra di noi più abbienti si trincerano contro tutti i pericoli chiudendosi in casa, mettendo delle telecamere ad ogni angolo possibile, assumendo guardie di sicurezza. “Il problema è che queste attività contribuiscono a riaffermare e a produrre una sensazione di disordine che le nostre sensazioni accelerano” (Altheide). Ogni chiavistello in più non fa che produrre altri chiavistelli.
“Come il capitale liquido pronto a qualsiasi tipo di investimento, il capitale della paura può essere indirizzato verso qualsiasi tipo di profitto, commerciale o politico. E così l’incolumità personale diventa uno dei principali, se non il principale selling point in tutti i tipi di strategie di marketing… Mettere in mostra le minacce all’incolumità personale è diventata una delle principali, se non la principale risorsa della guerra degli ascolti tra i mass media, rimpinguando continuamente il capitale della paura e rendendone ancora più efficace l’utilizzo sia commerciale che politico” (Bauman). A Roma abbiamo un esempio di quanto affermato da Bauman nelle elezioni che hanno portato Alemanno a divenire sindaco sfruttando, tra l’altro, il caso di una donna uccisa e violentata da un extracomunitario.
Nel corso degli ultimi anni lo stato capitalista ha assunto il ruolo di garante della sicurezza psicologica. Tuttavia questa sicurezza è stata sottoposta ed esposta alle stravaganze del mercato, un mercato globale e fuori dal controllo del singolo stato. Con la conseguenza che la problematica connessa alla sicurezza sia sfuggita al controllo politico. Lo stato moderno dunque si trova inerme e non è più in grado di svolgere il suo ruolo, “le politiche di assicurazione contro le sventure individuali garantite della collettività, che nel corso del secolo passato vennero note complessivamente col nome di Stato sociale o “welfare”, oggi vengono eliminate in tutto o in parte e ridotte a livelli tali da non essere più in grado di convalidare e alimentare il sentimento di sicurezza, e quindi anche la fiducia in se stessi degli interessati… Quanto rimane delle istituzioni che ancora incarnano il loro compito originario non offre più la speranza, men che meno la certezza, di poter sopravvivere a tagli ulteriori e imminenti”. (Bauman)
Oggi è l’individuo stesso costretto a garantirsi tale sicurezza, è il singolo che deve porre rimedi ai problemi prodotti dalla società. Il via via crescente degrado sociale al quale lo Stato sociale cercava di porre rimedio per legittimare il suo potere, viene sostituito dallo “Stato dell’incolumità personale”. In parole povere lo stato moderno non potendo più tenere sotto controllo l’economia sociale autonomamente, è costretto a dover cercare un altro campo d’azione e lo trova facilmente nella sicurezza individuale, alimentando le nostre paure complice l’ aiuto delle televisioni. Il compito dello stato non è più difendere la comunità, bensì è quello di proteggere il singolo da un serial killer, da un mendicante invadente, da un rapinatore, da un malintenzionato, da un avvelenatore, da un terrorista, o meglio da tutte queste minacce magari riunite in un’unica figura, quella dell’immigrato clandestino. Ecco perché lo Stato moderno nella sua più recente incarnazione, promette di difendere i suoi sudditi. Ed è proprio in questa nuova funzione che esso cerca i suoi nuovi martiri, cercando di legittimare il suo potere, grazie alle nostre fobie, grazie all’11 settembre, grazie a Bin Laden, grazie al caso di Sara Scazzi.
Dunque crediamo di poter condividere quanto affermato da Curtis: “In un periodo in cui tutte le grandi idee hanno perso credibilità, la paura di un nemico fantasma è tutto quello che è rimasto ai politici per conservare il potere”. (A. Curtis)