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A Bratunac, la città della leucemia

di Giuseppe Zaccaria - 05/06/2006

 
IN BOSNIA, DOPO LA GUERRA, CONTINUAVA UNA STRAGE SILENZIOSA A CUI DAVANO UN NOME: URANIO 



Nell'autunno del '96, quattro anni dopo gli accordi di Dayton, mi accadde di ritornare in una cittadina di Bosnia piuttosto lontana ai percorsi abituali. Si chiama Bratunac, sorge a ridosso del fiume Drina, è una zona abitata quasi interamente da serbi, durante la guerra quattromila case su cinquemila vennero distrutte ma in qualche modo lì il dopoguerra si mostrava perfino peggiore degli anni di sangue.

Bratunac è la città dei leucemici, dei cancerosi, dei linfomi di Hodgkin, dei feti malformati: nella voce popolare, la città dell'uranio.

Trascorrono gli anni e nessuno è ancora in grado di fornire cifre precise sui morti del dopoguerra in parte perché molti vanno a farsi curare a Belgrado ma anche perché il governo bosniaco tende a non enfatizzare il problema per via delle ottime relazioni con gli Stati Uniti e i Paesi della Nato. Peraltro Bratunac non è la sola città funestata da questa sciagura: molti anni dopo in Serbia i bombardamenti compiuti dalla Nato in nome del Kosovo si accanirono particolarmente su una cittadina che è ad appena sessanta chilometri da Belgrado, sede di grandi impianti chimici.

Quel luogo si chiama Pancevo e lì i casi di tumore sono aumentati di oltre il trecento per cento ed è molto raro che una gravidanza si concluda felicemente. Gli specialisti ammettono che sì, ordigni all'uranio impoverito sono stati usati in grande copia nei bombardamenti del petrolchimico ma aggiungono che poi incendi e fumi hanno liberato una tale quantità di sostanze dannose da rendere impossibile adesso individuare il vero fattore di rischio. Un po' come consigliare a chi ha bevuto arsenico di ingurgitare un cocktail di veleni assortiti tanto per confondere le tracce.

Da tempo se accade di chiedere notizie di gente conosciuta in tempo di guerra si sentono emergere storie terribili di malattie e sofferenze prolungate, e dunque nonostante le relazioni di commissioni mediche e specialisti di ogni nazionalità ho maturato la convinzione che l'uranio impoverito stia seminando morte nell'unica zona d'Europa in cui è stato impiegato in grandi quantità.

Oramai anche le nostre forze armate cominciano a fare i conti con tutto questo. La faccenda è delicatissima, anche perché può mettere in moto un vertiginoso giro di risarcimenti, ma è ormai assodato che sono almeno trecento i casi di militari italiani affetti da strane sindromi dopo missioni all'estero. La stragrande maggioranza dei casi si riferisce a periodi trascorsi in Bosnia anche se già si contano una quindicina di casi collegati all'Iraq e alla missione «Antica Babilonia».

I comitati di sostegno alle famiglie dei militari segnalano fra le altre cose un incredibile incremento di aborti spontanei fra le mogli dei soldati. Sintomi e conseguenze paiono identici a quelli descritti nei Balcani. Sembra giunto il momento di affrontare il problema in termini più seri.