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L'esito elettorale e la questione internazionale

di Francesco Mario Agnoli - 18/05/2011

 

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L'avere previsto per tempo il non felice esito elettorale del centro-destra non mi rallegra particolarmente, anche perché, almeno per quanto riguarda  Berlusconi e  il Pdl, non pochi  erano i segnali in tal senso anche per chi non aveva accesso ai sondaggi  pre-elettorali, che una assurda e antidemocratica cautela proibisce  (a tutela  non si sa bene di chi) di rendere noti ai cittadini.
    Qualche maggior vanto  potrei  accampare per avere previsto, in questo caso in contrasto con l'opinione dominante,  che la Lega Nord non solo non avrebbe intercettato i voti perduti dal Pdl, ma avrebbe stentato  a conservare i propri (difatti non c'è riuscita).  Una previsione azzeccata tutt'altro  che gratificante  e che  tuttavia  desidero ricordare perché  l'avevo motivata con l'eccessivo  appiattimento del partito di Bossi sul bellicismo di Berlusconi e dei suoi ministri della guerra e degli esteri.
    Non metto in dubbio  che, soprattutto per il Pdl, abbiano contribuito all'insuccesso  altri e prevalenti fattori, ma comunque mi ha stupito che nei dibattiti e negli incontri fra politici, giornalisti ed esperti, che lunedì hanno affollato fino a ora tarda  gli schermi televisivi, nessuno (a quanto ho captato) abbia accennato all'influenza negativa  esercitata sull'esito  dalle impopolari, anticostituzionali  e costose  spedizioni militari  del nostro paese nelle varie parti del mondo.  Sono persuaso che, molto o poco, questa influenza vi sia stata e che, autorizzando il bombardamento di Tripoli,  Berlusconi abbia colpito anche le proprie casematte elettorali.
    Mi rendo conto delle possibili obiezioni: la tradizionale scarsa attenzione degli italiani per la  politica estera;  i travolgenti successi del Pdl quando era già in corso  la guerra afgana; il successo elettorale del Pd ugualmente  pure schierato a favore delle bombe.
    Identica la risposta alle prime due obiezioni. Reali sia il disinteresse  degli elettori per la politica estera, sia i successi elettorali  berlusconiani nonostante l'Afghanistan, ma entrambi questi dati sono stati  almeno in parte ribaltati dalla guerra di Libia,  sia perché alle porte di casa, sia per la massiccia immigrazione di disperati,  che ne ha reso visibili a tutti i devastanti effetti sulla gente comune e gli innocenti, sia  per la presa di posizione della Chiesa cattolica locale (vescovo di Tripoli) e universale (papa Benedetto XVI), che ne ha contestato, di fronte al crescente numero delle vittime civili,  la pretesa natura umanitaria.  
    Quanto al Pd, anch'esso convinto sostenitore della guerra e dei bombardamenti a fianco degli Usa, il suo  successo oltre ad essere, per quanto direttamente lo riguarda, più apparente che reale, va attribuito quasi esclusivamente  all'affermazione (vedi  Pisapia a Milano e De Magistris  a Napoli) ad esponenti  di partiti che, pur fiancheggiandolo elettoralmente,  sono da sempre contrari alla guerra e alle  bombe.
    Quanto al mancato successo  (il termine è probabilmente eufemistico) della Lega immagino che gli esperti  sapranno  attribuirlo a mille altre cause. Personalmente  credo (come ho scritto prima dell'esito) che la pagliacciata della trasformazione dell'assoluta contrarietà ai bombardamenti e della dura richiesta di un termine certo e a breve  alla partecipazione  italiana  con un ordine del giorno di vago auspicio ad una  non troppo remota conclusione della guerra libica, non le abbia giovato.