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Il dominio dell'Innaturale

di Massimiliano Viviani - 10/06/2011

 




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Nell'opera "La grande trasformazione", Karl Polanyi si sofferma ad un certo punto in una riflessione illuminante: gli Stati del mondo capitalista, nel periodo in cui il capitalismo diventava un fenomeno mondiale irreversibile, tra la metà del XIX e gli inizi del XX secolo, se lasciati a sè e non sollecitati dall'"esterno" -per esempio dalla grande finanza internazionale o tramite accordi o imposizioni da parte di altri Paesi- tendevano a scegliere una politica di economia autarchica e protezionista, mai liberista o di mercato. Dal punto di vista economico forse questa osservazione potrebbe non dire molto, ma dal punto di vista antropologico sì. Scrivendo ciò infatti, il grande economista ungherese ribadisce implicitamente come il mercato cosiddetto "libero" e razionale, non fosse altro che una sorta di forzatura, imposta dal mondo del grande capitale e dell'industria, e niente invece di automatico, meccanico e naturale, come molti pensavano allora; perchè i presunti meccanismi razionali e "scientifici" del mercato libero derivavano da interventi esterni, pianificati e consapevoli, volti a distorcere una tendenza che le diverse Nazioni avevano come propria.
Siamo perciò di fronte ad un vero e proprio paradosso. Ogni Stato infatti tendeva appena possibile a guardare al proprio interno, in un atteggiamento che potremmo definire "egoistico". Ma tale atteggiamento veniva definito "irrazionale" dai profeti della modernità trionfante, mentre l'apertura al mercato "libero" veniva etichettata come razionale e quindi "naturale". Questa concezione -mai del tutto tramontata neppure dopo i fallimenti del Novecento e in buona parte valida tuttora- non era però limitata solo al versante liberale: anche da parte socialista infatti, "naturale" e razionale veniva considerato l'atteggiamento economico e politico di tipo universalista, anche se non in chiave competitiva bensì solidale.
Insomma, sia da un versante che dall'altro, la modernità etichetta come "non-naturale" (o non-razionale, che in questo senso risulta essere la stessa cosa) quello che invece è sempre stato un atteggiamento che gli uomini, i gruppi, le tribù, i feudi e gli imperi di ogni tempo e di ogni luogo hanno sempre avuto: pensare a se stessi, al proprio bene, al proprio equilibrio e alla propria stabilità, e occuparsi dell'esterno solo nei limiti dell'indispensabile. La solidarietà, l'apertura e la comunicazione esistevano certamente, ma erano dimensionate alla immediata vicinanza e avevano oltretutto spesso una connotazione di comodo.
La modernità ha capovolto tutto. Comunque si concepisca la modernità, sia in senso liberale, conservatore, socialista o comunista, in un modo o nell'altro, "naturale" è diventato l'universalismo razionale, l'aprirsi, il superare i confini, l'andare oltre, il non fermarsi mai. Che poi tutto questo venga fatto con buone o cattive intenzioni, per gonfiare l'egoismo individuale o per aiutare ogni bisognoso del pianeta, per incrementare la ricchezza mondiale o per liberare le donne musulmane, non cambia la sostanza della cosa.
Abbiamo affrontato un esempio di carattere storico in ambito economico-politico, ma chiaramente la validità di tali princìpi si estende ad ogni aspetto sociale e individuale del vivere moderno. Perchè comunque la si prenda, sotto ogni suo aspetto, in ogni ambito, la modernità è un andare contro natura. La pretesa da parte della modernità di avere portato l'uomo nella sua vera dimensione naturale rasenta il ridicolo. La modernità identifica una utilità diversa, astratta, dell'uomo, e non immediata, "primitiva" ed "egoista" come i popoli antichi avevano. Correggendo tale natura egoista, "irrazionale" dell'uomo -la stessa per intenderci che fa sì che l'Islam non ne voglia sapere di aprirsi al mondo universalista ma voglia restare ancorato alla propria tradizione e alla propria identità, al proprio carattere appunto "islamico", e non genericamente "umano"- l'uomo moderno scoprirebbe una utilità maggiore -razionale appunto- per se stesso. E quindi starebbe meglio. Ma a che prezzo?
La modernità si presenta come uno sforzo, un impegno, un lavoro continuo, incessante, crescente, pervasivo, in ogni ambito della vita quotidiana e della vita sociale. Uno sforzo che aumenta ogni giorno di più e che non risparmia nessuno. Non è un caso che nei tempi moderni, l'uomo finalmente "libero" non riesca più a reggere nemmeno un anno di una vita simile senza fare un mese di vacanze e di riposo, cosa inaudita, mai successa in nessuna civiltà al mondo perchè mai in passato nessuno ne aveva sentito il bisogno.
Tutti siamo risucchiati entro questo vortice nel quale nemmeno ci si rende più conto di quanto innaturale sia tutto quello che si fa. Innaturale il volere possedere sempre più oggetti il cui possesso una volta raggiunto lascia un vuoto e l'amaro in bocca; innaturale la tensione ad accumulare sempre più denaro che spesso resta inutilizzato e quindi fine a se stesso. Innaturale la ricerca della novità ad ogni costo, la ricerca perpetua dell'eccitazione e dell'emozione, come innaturale è l'ottimismo forzato e il pensare positivo. Innaturale il non stare mai fermi, la frenesia del movimento, del cambiamento, dell'evento in sè. Innaturale quell'amore e quella sensibilità che portano a fare solidarietà per i bambini del terzo mondo -dinanzi ai quali si vuole che ci si commuova al solo vederli in fotografia- quando il nostro vicino di casa, che noi non conosciamo, può anche essere sull'orlo della disperazione per qualunque motivo, ma di lui non sappiamo nulla, non vogliamo saperne nulla nè ne sapremo mai nulla. Innaturale stare seduti tutto il giorno al lavoro, per poi andare in palestra, coi relativi costi. Innaturale cercare nuovi amici in chat o su facebook, quando in teoria basterebbe uscire in strada per conoscere altra gente come noi. Innaturale essere contenti della notizia di una nuova scoperta tecnologica o del Pil che aumenta, come innaturale è attendere tutte queste notizie inutili, ogni giorno, su carta o in tv, come si attende il verbo di un messia.
Perchè questa è una società che necessita di un enorme sforzo quotidiano: far credere alle persone di vivere nel migliore dei mondi possibili costa fatica. Occorre un enorme dispendio di energia e di mezzi, principalmente mediatici -quotidiani, riviste, telegiornali, pubblicità, telefilm, musica e quant'altro- ma non solo. La stessa produzione incessante di oggetti, di eventi e di opportunità, che vengono sfornati a getto continuo, assume i caratteri del lavaggio del cervello, tramite cui uno si illude di vivere nel bengodi.
E' un mezzo di controllo della psiche. Perchè per dire una verità, basta dirla una volta sola, mentre per convincere di una menzogna bisogna ripeterla all'infinito. Questo è il significato della coazione a ripetere dentro la quale siamo immersi.